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Le estinzioni di massa



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Questo testo fa parte dell’Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, un’opera realizzata da Rai-educational in collaborazione con l’Istituto italiano per gli studi filosofici e con il patrocinio dell’Unesco, del Presidente della Repubblica Italiana, del Segretario Generale del Consiglio d’Europa.

L'obbiettivo è quello di diffondere nel mondo, tramite le nuove forme d’espressione e comunicazione sociale consentite oggi dalla tecnica, la conoscenza della filosofia nel suo svolgimento storico e nei termini vivi della cultura contemporanea.

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Alla ricerca dell’intelligenza sulla Terra

Sono quattro i punti che vorrei trattare. Non voglio coprire un vasto territorio, ma soffermarmi su quattro elementi fondamentali. Il primo punto è il seguente: negli ultimi seicento milioni di anni all’incirca ci sono state un certo numero di estinzioni di massa (in genere ne vengono calcolate cinque). Esse hanno influenzato il corso dell’evoluzione sul nostro pianeta. Un’estinzione di massa è la perdita di un numero rilevante di specie. Entrando nel dettaglio, occorre spiegare quali specie si siano estinte e perché. Il punto numero due é: queste estinzioni hanno avuto un effetto profondo sull’evoluzione della vita in questo pianeta. Ora sappiamo che i mutamenti nel mondo fisico hanno una relazione con la velocità dei cambiamenti nell’evoluzione molto più significativa di quanto non immaginassimo fino a poco tempo fa. Punto numero tre: la sola forma di vita intelligente che conosciamo con certezza nel pianeta e nell’universo è quella degli esseri umani, che si evolve nello stesso contesto delle altre specie del pianeta Terra, provocando una controreazione. Noi ci siamo evoluti in questo contesto e l’estinzione è stata estremamente importante anche nell’evoluzione umana. Torneremo su questo problema con maggior dettaglio. Quanto al quarto punto, la ragione per la quale parlerò di estinzioni di massa - è che la ricerca della vita intelligente sulla Terra è semplicemente questa: anche oggi stiamo vivendo un’estinzione di massa. Molti fra noi, coloro che si occupano di fisica o di astronomia, possono non esserne consapevoli, ma i biologi lo sono decisamente. Una delle più grandi estinzioni di massa che hanno colpito il nostro pianeta sta avvenendo proprio ora. Stiamo perdendo forse qualcosa come 27.000-30.000 specie - non lo sappiamo con esattezza - ogni anno. Forse qualcosa come tre specie ogni ora. E questo è interamente opera dell’uomo. Ci siamo evoluti qui, siamo diventati intelligenti nel contesto dell’evoluzione della vita nell’ecosistema, cominciando in Africa e poi diffondendoci dappertutto nel mondo. Ma ora stiamo mimando gli eventi del nostro passato geologico, stiamo trasformando la faccia del pianeta, stiamo distruggendo ecosistemi a destra e a sinistra, facendo fuori all’incirca 30.000 specie di animali, piante, microbi e così via, ogni anno. È senza dubbio un’estinzione di massa che minaccia di diventare di proporzioni epiche ed il mio appello - ovunque io parli - è di incitare a comprendere quello che stiamo facendo al pianeta e anche il suo significato, per capire cosa fare per fermare l’estinzione di massa che stiamo provocando. È dunque un programma ambizioso.

Cominciamo con la prima parte, che riguarda semplicemente la realtà dell’estinzione di massa. Definisco estinzione di massa la perdita di un numero rilevante di specie sul pianeta Terra. Quanto rilevante? La più grande estinzione di massa che si sia mai verificata risale alla fine del Permiano, fra la fine del Permiano e l’inizio del Triassico. Ci sono tre grandi suddivisioni: il Paleozoico, che significa “vita antica”, il Mesozoico, famoso per i dinosauri, che significa “vita di mezzo”, e il Cenozoico, che significa “vita moderna” o recente. Parliamo ora di due delle cinque o sei maggiori estinzioni di massa che sono avvenute nella storia della vita. Si è trattato di uno sconvolgimento profondo. Ho chiesto al paleontologo David Roth, che insegnava all’Università di Chicago ed è andato da poco in pensione, una stima relativa al numero delle specie estinte. Sulla base dei materiali fossili, ma anche con sistemi statistici che suppliscono alla mancanza di un’informazione diretta su quelle forme di vita che non hanno lasciato una buona testimonianza fossile, egli valuta che tra il 75 e il 95-96 % di tutte le specie sulla faccia della Terra si siano estinte in un periodo di tempo relativamente breve, forse mezzo milione di anni, alla fine del Permiano. È veramente sorprendente pensare che forse solo il 4% delle specie viventi alla fine del Permiano sia sopravvissuto. Stiamo parlando sia di creature che vivevano nel mare, sia di creature che vivevano sulla terra. Vi erano ad esempio dei rettili che vivevano sulla terra. Quasi tutte queste creature - fortunatamente non tutte - si estinsero in un periodo di tempo relativamente breve. E se l’estinzione ha riguardato qualcosa come il 96 % delle specie, questo significa che tutti gli ecosistemi e tutte le specie che sono riapparse o che sono sopravvissute per istituire la vita nei nuovi ecosistemi nel Basso Triassico, si ricostruirono forse sulla base di quel 4% di varianza genetica che era presente nel periodo Permiano. Questo ci dice che la vita ha incredibili capacità di recupero, è in grado di riprendersi, che essa può subire colpi molto crudeli, fino al punto di essere sterminata, per poi riapparire in forme molto, molto simili. Nuove forme si evolvono per prendere il posto di tutte le forme precedenti. In generale, tanto più devastante è un’estinzione di massa, tanto più grande è il mutamento nelle creature che riappaiono, e che si diffondono evolvendosi in maniera molto rapida, tipicamente con un intervallo di cinque, sei o sette milioni di anni - è stato questo l’intervallo fra il Permiano (e il periodo successivo) -; ci sono forme molto strane all’inizio del Triassico e ci vogliono cinque o sei milioni di anni perché le cose appaiano normali. Il cast dei personaggi può essere molto diversificato, ma da un punto di vista ecologico tali personaggi recitano dei ruoli molto, molto simili.
Il mio esempio preferito per il Permiano sono le barriere coralline, molto importanti da un punto di vista ecologico e paleo-ecologico. Esse costituiscono per esempio fonti importanti per il petrolio, in molte parti del mondo. All’epoca esistevano enormi barriere coralline, simili a quelle che abbiamo oggi, ma di specie differenti. Le differenti specie sono di un tipo completamente diverso di corallo, come animali, rispetto ai coralli del Paleozoico. Dopo che nel Paleozoico essi finirono per estinguersi, ci fu una vera e propria evoluzione, nel senso che i coralli dovettero essere reinventati. Avvenne allora che gli anemoni di mare - che sono probabilmente molto comuni qui sul litorale -, cominciarono a produrre dei coralli. Conoscete sicuramente gli anemoni di mare. Dicendo che producono coralli, intendo dire che essi divennero capaci di secernere uno scheletro di carbonato di calcio e così i coralli furono reinventati in senso vero e proprio, usando una diversa branca dello stesso grande gruppo di quelli che chiamiamo celenterati. Questo è un buon esempio di come la vita del Paleozoico fu in un certo senso reinventata nell’era successiva e del fatto che l’evoluzione è profondamente condizionata dall’estinzione di massa. La vita è molto stabile, gli ecosistemi sono molto stabili: ve ne darò fra poco un esempio per quel che riguarda l’evoluzione umana. Se non si verifica una grande estinzione di massa, non si ha un cambiamento rilevante nell’ecosistema.

L’estinzione dunque avviene sempre. Io ad esempio vengo dalla regione occidentale del Nord America ed è soprattutto qui che lavoro. Se osserviamo in una mappa delle ere geologiche il Paleozoico, vediamo una successione di tredici fasi differenti, della durata di circa cinque milioni di anni. Gli ecosistemi sono incredibilmente stabili, le temperature cambiano un poco, le faune si spostano quando accadono certi eventi, ma le cose dal punto di vista dell’evoluzione sono molto molto stabili, fino a che non sopravviene un cambiamento fisico estremamente rilevante che bisogna affrontare. Allora, in maniera relativamente rapida, si hanno delle estinzioni, accade che solo poche specie sopravvivano. Quella di cui abbiamo parlato è stata l’estinzione più grande, ma su grande scala ciò accade sempre, al ritmo all’incirca di cinque, sei o sette milioni di anni, in particolare nel Paleozoico. Ho appena fatto menzione di un’altra estinzione di massa, che non fu la più grave - e in effetti non è tra le prime tre o quattro - , ma che tuttavia è la più conosciuta, in parte perché le prove sono state raccolte in Italia. Essa avvenne alla fine del Cretaceo, ed è famosa per due ragioni: prima di tutto perché è quella in cui si estinsero i dinosauri - io lavoro in un museo dove ci sono dei dinosauri, per cui posso dirvi qualcosa a questo proposito. Dunque, i dinosauri si estinsero. Un’altra ragione per la quale l’estinzione avvenuta nell’Alto Cretaceo è così famosa è che ci sono buone prove che questo evento particolare fu causato da una collisione tra la Terra e un oggetto extraterrestre, un’ipotesi con la quale io sono d’accordo. Se ne discute ancora ed in genere si ritiene che, rispetto all’ipotesi della meteorite, ci sia stato piuttosto un urto con una o più comete. Giove è un buon modello di ciò che potrebbe essere accaduto alla fine del Cretaceo. Altri geologi propendono per l’ipotesi di massicce eruzioni vulcaniche, le quali si sarebbero potute verificare anche in concomitanza con l’altro evento, provocando la terribile catastrofe che ebbe luogo alla fine del Cretaceo. La prova originaria dell’impatto con un oggetto extraterrestre - è anche questo che rende l’evento tanto famoso - proviene da Gubbio, in Italia, dove io non sono mai stato, ma che mi piacerebbe visitare: la cosiddetta anomalia dell’iridio.
C’è però un’altra morale della storia negli eventi verificatisi nel Cretaceo, che è in effetti molto importante per la storia a venire dell’evoluzione umana, ed è qui forse la prova più sensazionale che l’evoluzione dipende molto strettamente dall’estinzione.

Vi chiederei di cercare di ricordare le suddivisioni del Cretaceo, del Terziario, del Triassico, del Mesozoico. Abbiamo dunque i mammiferi (noi siamo mammiferi), rettili sviluppati, vecchi dinosauri e parenti molto vicini dei dinosauri, rettili acquatici come i plesiosauri, i mesosauri e così via. Sia i mammiferi, sia questi gruppi di rettili e alcuni rettili volanti si sonoevoluti. La cosa è nota da cento anni, ma tutti gli scavi fatti in questo periodo hanno fallito nel tentativo di mostrare qualche cambiamento su questo punto particolare. Furono i dinosauri e i rettili loro simili ad evolversi molto rapidamente in erbivori - animali che mangiano erba - piccoli e grandi, carnivori - che mangiano carne, che mangiano altri dinosauri e così via -, onnivori, vale a dire animali in grado di mangiare una grande varietà di cibi. Essi erano di piccola, media e grande taglia e riprendevano molte delle caratteristiche degli animali presenti negli ecosistemi terrestri e anche acquatici dell’Alto Triassico. Il loro numero fu però drasticamente ridotto da una grande estinzione di massa, dopo la quale i dinosauri ritornarono e si diffusero nuovamente ricoprendo quei ruoli che essi detenevano nell’ecosistema del Mesozoico. All’epoca c’erano anche dei mammiferi, che in tutto questo periodo si differenziarono in un certo grado, pur rimanendo per lo più di piccola taglia. Essi non cambiarono mai molto, non smisero mai di assomigliare fondamentalmente ad altro che a dei ratti, non divennero mai grandi, non ebbero mai un’evoluzione che li portasse ad apparire come cervi, o lupi o qualcosa di simile. In un certo senso essi non partecipavano a quella diversificazione ecologica che toccava invece ai dinosauri. Si riteneva un tempo che i mammiferi con la loro intelligenza superiore e con il loro tipo di riproduzione superiore, più efficiente, effettivamente più avanzato, fossero in qualche maniera migliori dei rettili, che fosse dunque una questione di tempo, ma che alla fine i mammiferi dovessero necessariamente spingere i dinosauri - ormai divenuti obsoleti - all’estinzione, essendo essi troppo stupidi e inefficienti fisiologicamente per tenere il passo. Ma questo non è vero. Ciò che accadde con i dinosauri è che essi durarono all’incirca per centocinquanta milioni di anni, furono periodicamente falciati da estinzioni, ma poi tornarono, mentre i mammiferi rimanevano molto umili, piccoli e indifferenziati. I mammiferi non avevano alcuna possibilità di competere con i dinosauri. Fu solo quando la cometa, o un altro corpo celeste, venne a scontrarsi con la Terra, sessantacinque milioni di anni fa, alla fine del Mesozoico, che i dinosauri - i quali stavano probabilmente diminuendo di numero - (era proprio alla fine del Triassico che c’erano i triceratopi e i tirannosauri) furono spazzati via, fatta eccezione per gli uccelli, i quali sono anch’essi, tecnicamente parlando, dei dinosauri. Alla fine essi si estinsero. E allora cosa accadde? Per due o tre milioni di anni circa ci fu una relativa stasi. Finalmente a un certo punto, in quella che chiamiamo epoca preistorica, e che getta le fondamenta dei tempi moderni, del tutto improvvisamente, in maniera molto rapida, si ebbe una diversificazione dei mammiferi, si iniziarono ad avere grandi mammiferi erbivori, una specie di precursori - per lo più le prime versioni sorte dalla diversificazione dei mammiferi si estinsero rapidamente - e poi si ebbero gli antenati dei cavalli, dei rinoceronti, dei cervi e tutti i ben noti gruppi che abbiamo oggi. Si fa dunque sempre più chiaro che senza quell’evento alla fine del Cretaceo - niente di questo genere si è verificato negli ultimi sessantacinque milioni di anni - avremmo ancora i dinosauri sulla Terra e noi non saremmo qui. Non nella forma in cui esistiamo oggi. Certamente non saremmo qui a discutere della ricerca di vita intelligente nell’universo, niente di questo genere sarebbe accaduto. Dunque l’evoluzione è dipendente da eventi che sono talvolta così decisivi da influenzare la fabbrica della vita e l’adattamento della vita sulla Terra.

Noi ci siamo evoluti proprio come tutte le altre specie. Non sappiamo quante specie ci siano ora sulla Terra, diciamo dai dieci ai tredici milioni - qualcuno dice che ce ne siano cento milioni. In ogni caso, siamo dei mammiferi, ma per volti versi unici. Vorrei brevemente discutere un approccio ecologico per comprendere l’evoluzione umana, che a mio avviso può fare un po’ di luce sull’origine della Terra. Sto cercando di darvi il contesto ecologico evoluzionistico per la comprensione dell’evoluzione dell’intelligenza. Non dirò nulla sull’emergere della coscienza - un altro argomento a mio avviso molto interessante -, che non è qui oggetto della mia esposizione. Cercherò piuttosto di tracciare un quadro dell’evoluzione degli esseri umani mostrando come ci sia stato un cambiamento graduale - durato almeno tre o quattro milioni di anni - nel nostro approccio nei confronti del mondo fisico, nel procacciarci il cibo e così via, insomma nel pianificare la vita sul pianeta. Un approccio che non è completamente e unicamente biologico, ma che ha anche a suo fondamento una componente culturale, intelligente. E tale componente culturale, l’intelligenza, è divenuta sempre più dominante nel corso dell’evoluzione umana ed ironicamente è proprio questo successo, l’enorme successo che come specie abbiamo conseguito nell’uso della nostra cultura a minacciare il resto del pianeta e probabilmente - a mio avviso - anche la condizione umana. Potremmo divenire le vittime del nostro stesso successo, ed è per questo che sono alla ricerca dell’intelligenza.
A tre milioni di anni fa - ora siamo in Africa - risale il bambino di Taung, il primo fossile indubitabilmente umano, sebbene della cosa si discuta. Esso fu scoperto nel 1924 da un anatomista sudafricano nato in Australia e di formazione inglese, Raymond Dart, che insegnò medicina all’Università di Witwatersrand e divenne un paleontologo dilettante. Questo è il bambino di Taung, di sei anni, a giudicare dallo stato di crescita dei denti. È una storia bellissima. Sembra che Dart fosse in abito da sera, pronto per un matrimonio che doveva aver luogo a casa sua, e che annoiandosi decidesse di andare nel capannone dove teneva un nuovo carico di fossili appena ricevuti. Era abituato a studiare dei fossili di babbuini che il coordinatore gli spediva nella loro matrice calcarea, ma quella che gli capitò fra le mani era una pietra naturale. Gurdando si accorse che all’interno del cranio mancava un osso. Con il suo occhio allenato di anatomista egli riconobbe i tratti caratteristici di un cervello più complesso di quello di un babbuino e non pensò neppure che fosse quello di una scimmia. In realtà ora la cosa è oggetto di discussione, si dubita che tali caratteri indichino in maniera univoca degli attributi umani. Tuttavia oggi sappiamo che questa specie - chiamata Australopiteco Africano - è molto importante. L’Australopiteco Africano è il nostro antenato. Era dotato di un cervello il cui volume era all’incirca 400 millilitri, aveva più o meno la taglia di uno scimpanzé. Ma la cosa molto importante è che questa creatura stava eretta, così come noi. Ciò è provato dalla forma del bacino. Infatti, dopo la scoperta del cranio, furono rinvenute delle ossa fossili del bacino e divenne evidente che non si trattava di una scimmia. Sebbene infatti tale bacino non sia pienamente umano, come il nostro, tuttavia è molto, molto più simile al nostro bacino che non a quello dello scimpanzé, che è molto più allungato a causa del fatto che gli scimpanzé sono ancora fondamentalmente animali a quattro zampe. Il nostro è invece il bacino di un animale eretto ed è essenzialmente questo il bacino che hanno queste creature. Esse hanno dunque la posizione eretta e si muovono camminando.

Due milioni e mezzo di anni fa si verificò un raffreddamento globale che per quanto ne sappiamo non era ancora associato con l’effettiva crescita dei ghiacciai nell’emisfero settentrionale, come avvenne leggermente più tardi, e che non di meno sembra essere la prima causa importante di raffreddamento di quella che poi divenne l’era glaciale. Tale raffreddamento si verificò dunque due milioni e mezzo di anni fa, e probabilmente durò all’incirca duecentomila anni dal suo inizio fino alla sua massima incidenza sulla temperatura globale. Fu una sorta di choc, di effetto soglia, è un po’ lo stesso meccanismo dei terremoti. I sismologi hanno diversi modelli di terremoto. Secondo uno dei modelli il terremoto è generato da una tensione che si incrementa progressivamente nel terreno lungo una frattura, fino a scaricarsi violentemente, provocando il terremoto. Non sono sicuro se questo modello sia ancora valido, ma in ogni caso sembra che nell’ecosistema dell’Africa Orientale sia avvenuto qualcosa di simile. In altre parole, l’ecosistema è in grado di sostenere una certa quantità di tensione generata da questo raffreddamento globale, ma poi, in maniera relativamente rapida, le piante, vale a dire gli organismi fondamentali dell’ecosistema locale, si trasformano. Nell’Africa Orientale- i fossili furono rinvenuti in una grande vallata dai pendii scoscesi, e anche in grotte calcaree in Sudafrica -, la situazione era relativamente umida, boschiva. Quando si verificò il raffreddamento globale, il clima dell’Africa Orientale divenne più secco. Allora improvvisamente, dopo che l’ecosistema era riuscito ad assorbire questo stress per un certo tempo, si ebbe in maniera molto rapida una diffusione di ampie praterie, con condizioni simili a quelle della savana, come le pianure del Serengeti che abbiamo oggi, però non così estese, ma come macchie isolate circondate da boschi. Bene, cosa accadde allora? Molte delle specie che si erano adattate ai terreni boschivi emigrarono nell’Africa Occidentale, dove erano in grado di sopravvivere poiché l’habitat era loro familiare, oppure, se questo non fu possibile, si estinsero. Furono molte le specie che allora si estinsero - diversi tipi di suini e di antilopi, ad esempio - proprio per questo motivo. Ci furono però anche delle nuove specie provenienti da altri territori, già adattati a pianure come quelle proprie dell’habitat della savana. Si ha dunque una frammentazione dell’habitat e nuove specie che si evolvono. Così in Africa possiamo osservare su scala microscopica la stessa storia che si verifica su scala macroscopica con le grandi estinzioni di massa. Qui il fenomeno è molto più locale, ma è proprio in questa maniera che l’evoluzione funziona, al livello delle specie.

Questo è un punto. L’altro è che la stessa stirpe umana fa parte integralmente di questo processo. Questa specie, infatti - l’Australopithecus Africanus - si estinse e al suo posto troviamo due nuove specie. Di esse, una non ha niente a che fare con noi, non è un antenato dei moderni esseri umani. Queste creature assomigliavano piuttosto ai gorilla, come se l’evoluzione con esse avesse fatto un passo indietro, anche se le cose non stanno così. Il cranio diviene molto più massiccio, l’attaccatura dei muscoli è simile a quella dei gorilla maschi. Queste creature avevano una dentizione molto potente, denti molto grandi, frantumavano tuberi e noci, erano esclusivamente erbivori, non mangiavano carne. Sono stati fatti molti studi ed analisi al microscopio dei denti da cui si può determinare che tipo di cibo mangiavano. Sappiamo che erano assolutamente erbivori. Essi dunque appartengono a un altro ramo, non sono nostri antenati, ma rimangono in ogni caso affascinanti. Infatti, per oltre un milione di anni, questo gruppo ebbe un’evoluzione molto rapida in differenti specie, che si estinguevano molto rapidamente e continuavano a evolversi. Questo è tipico di una specie ecologicamente specializzata. Noi siamo generalisti e lo divieniamo sempre di più, assumendo le abitudini della cultura.
Questo è l’Homo Habilis, e questo è Richard Leakey, il suo famoso scopritore, questo è il cranio originario, ritrovato nel 1870. […] Questa creatura, all’improvviso, presenta un cervello molto più grande, nella categoria dei 750 millilitri. Come ricordate, vi ho detto che il volume del cervello dell’Australopitechus Africanus era all’incirca di 445 millilitri. Questa trasformazione avviene in maniera improvvisa, - non ci sono, infatti, anelli mancanti, non c’è stato un cambiamento graduale, ma una specie di salto e questa specie lo dimostra. Questo particolare esemplare ha un anno e nove mesi di età, ma ora sappiamo che era capace di fabbricare utensili, e questo è molto importante. Questo è il primo segno. È vero infatti che gli scimpanzé utilizzano strumenti nel senso che afferrano un bastone e provano a rotearlo, tuttavia essi non costruiscono utensili in una maniera determinata, ripetibile. Questa è la prima prova, risalente a due milioni e mezzo di anni fa. Quello che voglio dire, per farla breve, è che l’evoluzione umana è strettamente dipendente dall’evoluzione di tutto ciò che era presente nella foresta africana, è una funzione degli eventi fisici che portarono al collasso degli ecosistemi e così via. L’ambiente fisico ha avuto veramente un ruolo importante nell’evoluzione umana, nell’evoluzione della mia specie preferita, l’Homo Erectus, che è ancora una volta africano e risale a un milione e mezzo di anni fa, e che conosceva utensili molto più sofisticati. Ho storie meravigliose da raccontarvi di questa creatura. Questa è la prima specie che lasciò l’Africa, un milione di anni fa: a causa della glaciazione esso si spostò verso nord, in Europa, presumibilmente per cacciare la nuova fauna dell’era glaciale che si era evoluta intorno alla Siberia. Ovunque in Italia e in altre regioni dell’Europa si trovano utensili che risalgono al periodo glaciale. Erano delle specie che ebbero molto successo, conoscevano il fuoco, e il fatto che si siano spostate verso il nord con un raffreddamento del clima mostra la superiorità della loro cultura.

Giungiamo ora ai moderni esseri umani. L’Homo Erectus durò per quasi un milione di anni, fu estremamente stabile, ebbe un grande successo, ma fu alla fine sostituito dall’uomo moderno. Questo è il primo Homo Sapiens, proveniente da Israele, questo è il suo cranio, e questo è il moderno essere umano. La cultura ha avuto il sopravvento; diecimila anni fa inventammo l’agricoltura e questo cambiò le cose enormemente. Diecimila anni fa c’erano forse solo cinque milioni di uomini sul pianeta, secondo le valutazioni dei demografi e degli archeologi. Ora, solo diecimila anni dopo, ci sono quasi sei miliardi di uomini sul pianeta. La ragione per cui questo è accaduto è che vennero abbattuti gli ostacoli frapposti fino ad allora all’aumento della popolazione grazie all’invenzione dell’agricoltura e al mutamento della nostra relazione con l’ecosistema, mediante il quale siamo praticamente usciti dagli ecosistemi locali. Da tutto questo sono derivate molte cose buone, sono nate le civiltà. Ma il nostro controllo sulla nostra popolazione, che avveniva automaticamente quando eravamo all’interno degli ecosistemi, è stato cancellato. Si afferma che la popolazione non si stabilizzerà fino a che non saremo arrivati a dodici miliardi di persone - naturalmente se ne discute -, e che si stabilizzerà in quanto noi siamo parte del sistema globale, ma il timore è che si stabilizzerà non prima di aver condotto all’estinzione di molte specie e di aver saccheggiato le risorse del pianeta. È dunque una grande calamità, una calamità ecologica quella che si sta producendo proprio perché siamo intelligenti. Mi fermo qui, ma il mio appello per la ricerca della vita intelligente sulla Terra è fondamentalmente questo: siamo qui perché siamo intelligenti. Dobbiamo allora renderci conto che stiamo provocando la prossima grande ondata di estinzione di massa e che, a meno di divenire veramente intelligenti e di capire quanto sta accadendo - e in particolare che dobbiamo stabilizzare la popolazione -, ci troveremo forse ad affrontare un’estinzione provocata da noi stessi.

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