
|
Le estinzioni di massa
Niles Eldredge
Articoli collegati:
Le estinzioni di massa
Chi è Niles Eldredge
Questo testo fa parte dell’Enciclopedia multimediale delle scienze
filosofiche, un’opera realizzata da Rai-educational in
collaborazione con l’Istituto italiano per gli studi filosofici e
con il patrocinio dell’Unesco, del Presidente della Repubblica
Italiana, del Segretario Generale del Consiglio d’Europa.
L'obbiettivo è quello di diffondere nel mondo, tramite le nuove forme
d’espressione e comunicazione sociale consentite oggi dalla tecnica,
la conoscenza della filosofia nel suo svolgimento storico e nei
termini vivi della cultura contemporanea.
Per ulteriori informazioni potete visitare il sito Internet: www.emsf.rai.it
Alla ricerca dell’intelligenza sulla Terra
Sono quattro i punti che vorrei trattare. Non voglio coprire un vasto
territorio, ma soffermarmi su quattro elementi fondamentali. Il primo
punto è il seguente: negli ultimi seicento milioni di anni all’incirca
ci sono state un certo numero di estinzioni di massa (in genere ne
vengono calcolate cinque). Esse hanno influenzato il corso dell’evoluzione
sul nostro pianeta. Un’estinzione di massa è la perdita di un
numero rilevante di specie. Entrando nel dettaglio, occorre spiegare
quali specie si siano estinte e perché. Il punto numero due é:
queste estinzioni hanno avuto un effetto profondo sull’evoluzione
della vita in questo pianeta. Ora sappiamo che i mutamenti nel mondo
fisico hanno una relazione con la velocità dei cambiamenti nell’evoluzione
molto più significativa di quanto non immaginassimo fino a poco tempo
fa. Punto numero tre: la sola forma di vita intelligente che
conosciamo con certezza nel pianeta e nell’universo è quella degli
esseri umani, che si evolve nello stesso contesto delle altre specie
del pianeta Terra, provocando una controreazione. Noi ci siamo evoluti
in questo contesto e l’estinzione è stata estremamente importante
anche nell’evoluzione umana. Torneremo su questo problema con
maggior dettaglio. Quanto al quarto punto, la ragione per la quale
parlerò di estinzioni di massa - è che la ricerca della vita
intelligente sulla Terra è semplicemente questa: anche oggi stiamo
vivendo un’estinzione di massa. Molti fra noi, coloro che si
occupano di fisica o di astronomia, possono non esserne consapevoli,
ma i biologi lo sono decisamente. Una delle più grandi estinzioni di
massa che hanno colpito il nostro pianeta sta avvenendo proprio ora.
Stiamo perdendo forse qualcosa come 27.000-30.000 specie - non lo
sappiamo con esattezza - ogni anno. Forse qualcosa come tre specie
ogni ora. E questo è interamente opera dell’uomo. Ci siamo evoluti
qui, siamo diventati intelligenti nel contesto dell’evoluzione della
vita nell’ecosistema, cominciando in Africa e poi diffondendoci
dappertutto nel mondo. Ma ora stiamo mimando gli eventi del nostro
passato geologico, stiamo trasformando la faccia del pianeta, stiamo
distruggendo ecosistemi a destra e a sinistra, facendo fuori all’incirca
30.000 specie di animali, piante, microbi e così via, ogni anno. È
senza dubbio un’estinzione di massa che minaccia di diventare di
proporzioni epiche ed il mio appello - ovunque io parli - è di
incitare a comprendere quello che stiamo facendo al pianeta e anche il
suo significato, per capire cosa fare per fermare l’estinzione di
massa che stiamo provocando. È dunque un programma ambizioso.
Cominciamo con la prima parte, che riguarda semplicemente la realtà
dell’estinzione di massa. Definisco estinzione di massa la perdita
di un numero rilevante di specie sul pianeta Terra. Quanto rilevante?
La più grande estinzione di massa che si sia mai verificata risale
alla fine del Permiano, fra la fine del Permiano e l’inizio del
Triassico. Ci sono tre grandi suddivisioni: il Paleozoico, che
significa “vita antica”, il Mesozoico, famoso per i dinosauri, che
significa “vita di mezzo”, e il Cenozoico, che significa “vita
moderna” o recente. Parliamo ora di due delle cinque o sei maggiori
estinzioni di massa che sono avvenute nella storia della vita. Si è
trattato di uno sconvolgimento profondo. Ho chiesto al paleontologo
David Roth, che insegnava all’Università di Chicago ed è andato da
poco in pensione, una stima relativa al numero delle specie estinte.
Sulla base dei materiali fossili, ma anche con sistemi statistici che
suppliscono alla mancanza di un’informazione diretta su quelle forme
di vita che non hanno lasciato una buona testimonianza fossile, egli
valuta che tra il 75 e il 95-96 % di tutte le specie sulla faccia
della Terra si siano estinte in un periodo di tempo relativamente
breve, forse mezzo milione di anni, alla fine del Permiano. È
veramente sorprendente pensare che forse solo il 4% delle specie
viventi alla fine del Permiano sia sopravvissuto. Stiamo parlando sia
di creature che vivevano nel mare, sia di creature che vivevano sulla
terra. Vi erano ad esempio dei rettili che vivevano sulla terra. Quasi
tutte queste creature - fortunatamente non tutte - si estinsero in un
periodo di tempo relativamente breve. E se l’estinzione ha
riguardato qualcosa come il 96 % delle specie, questo significa che
tutti gli ecosistemi e tutte le specie che sono riapparse o che sono
sopravvissute per istituire la vita nei nuovi ecosistemi nel Basso
Triassico, si ricostruirono forse sulla base di quel 4% di varianza
genetica che era presente nel periodo Permiano. Questo ci dice che la
vita ha incredibili capacità di recupero, è in grado di riprendersi,
che essa può subire colpi molto crudeli, fino al punto di essere
sterminata, per poi riapparire in forme molto, molto simili. Nuove
forme si evolvono per prendere il posto di tutte le forme precedenti.
In generale, tanto più devastante è un’estinzione di massa, tanto
più grande è il mutamento nelle creature che riappaiono, e che si
diffondono evolvendosi in maniera molto rapida, tipicamente con un
intervallo di cinque, sei o sette milioni di anni - è stato questo l’intervallo
fra il Permiano (e il periodo successivo) -; ci sono forme molto
strane all’inizio del Triassico e ci vogliono cinque o sei milioni
di anni perché le cose appaiano normali. Il cast dei personaggi può
essere molto diversificato, ma da un punto di vista ecologico tali
personaggi recitano dei ruoli molto, molto simili.
Il mio esempio preferito per il Permiano sono le barriere coralline,
molto importanti da un punto di vista ecologico e paleo-ecologico.
Esse costituiscono per esempio fonti importanti per il petrolio, in
molte parti del mondo. All’epoca esistevano enormi barriere
coralline, simili a quelle che abbiamo oggi, ma di specie differenti.
Le differenti specie sono di un tipo completamente diverso di corallo,
come animali, rispetto ai coralli del Paleozoico. Dopo che nel
Paleozoico essi finirono per estinguersi, ci fu una vera e propria
evoluzione, nel senso che i coralli dovettero essere reinventati.
Avvenne allora che gli anemoni di mare - che sono probabilmente molto
comuni qui sul litorale -, cominciarono a produrre dei coralli.
Conoscete sicuramente gli anemoni di mare. Dicendo che producono
coralli, intendo dire che essi divennero capaci di secernere uno
scheletro di carbonato di calcio e così i coralli furono reinventati
in senso vero e proprio, usando una diversa branca dello stesso grande
gruppo di quelli che chiamiamo celenterati. Questo è un buon esempio
di come la vita del Paleozoico fu in un certo senso reinventata nell’era
successiva e del fatto che l’evoluzione è profondamente
condizionata dall’estinzione di massa. La vita è molto stabile, gli
ecosistemi sono molto stabili: ve ne darò fra poco un esempio per
quel che riguarda l’evoluzione umana. Se non si verifica una grande
estinzione di massa, non si ha un cambiamento rilevante nell’ecosistema.
L’estinzione dunque avviene sempre. Io ad esempio vengo dalla
regione occidentale del Nord America ed è soprattutto qui che lavoro.
Se osserviamo in una mappa delle ere geologiche il Paleozoico, vediamo
una successione di tredici fasi differenti, della durata di circa
cinque milioni di anni. Gli ecosistemi sono incredibilmente stabili,
le temperature cambiano un poco, le faune si spostano quando accadono
certi eventi, ma le cose dal punto di vista dell’evoluzione sono
molto molto stabili, fino a che non sopravviene un cambiamento fisico
estremamente rilevante che bisogna affrontare. Allora, in maniera
relativamente rapida, si hanno delle estinzioni, accade che solo poche
specie sopravvivano. Quella di cui abbiamo parlato è stata l’estinzione
più grande, ma su grande scala ciò accade sempre, al ritmo all’incirca
di cinque, sei o sette milioni di anni, in particolare nel Paleozoico.
Ho appena fatto menzione di un’altra estinzione di massa, che non fu
la più grave - e in effetti non è tra le prime tre o quattro - , ma
che tuttavia è la più conosciuta, in parte perché le prove sono
state raccolte in Italia. Essa avvenne alla fine del Cretaceo, ed è
famosa per due ragioni: prima di tutto perché è quella in cui si
estinsero i dinosauri - io lavoro in un museo dove ci sono dei
dinosauri, per cui posso dirvi qualcosa a questo proposito. Dunque, i
dinosauri si estinsero. Un’altra ragione per la quale l’estinzione
avvenuta nell’Alto Cretaceo è così famosa è che ci sono buone
prove che questo evento particolare fu causato da una collisione tra
la Terra e un oggetto extraterrestre, un’ipotesi con la quale io
sono d’accordo. Se ne discute ancora ed in genere si ritiene che,
rispetto all’ipotesi della meteorite, ci sia stato piuttosto un urto
con una o più comete. Giove è un buon modello di ciò che potrebbe
essere accaduto alla fine del Cretaceo. Altri geologi propendono per l’ipotesi
di massicce eruzioni vulcaniche, le quali si sarebbero potute
verificare anche in concomitanza con l’altro evento, provocando la
terribile catastrofe che ebbe luogo alla fine del Cretaceo. La prova
originaria dell’impatto con un oggetto extraterrestre - è anche
questo che rende l’evento tanto famoso - proviene da Gubbio, in
Italia, dove io non sono mai stato, ma che mi piacerebbe visitare: la
cosiddetta anomalia dell’iridio.
C’è però un’altra morale della storia negli eventi verificatisi
nel Cretaceo, che è in effetti molto importante per la storia a
venire dell’evoluzione umana, ed è qui forse la prova più
sensazionale che l’evoluzione dipende molto strettamente dall’estinzione.
Vi chiederei di cercare di ricordare le suddivisioni del Cretaceo, del
Terziario, del Triassico, del Mesozoico. Abbiamo dunque i mammiferi
(noi siamo mammiferi), rettili sviluppati, vecchi dinosauri e parenti
molto vicini dei dinosauri, rettili acquatici come i plesiosauri, i
mesosauri e così via. Sia i mammiferi, sia questi gruppi di rettili e
alcuni rettili volanti si sonoevoluti. La cosa è nota da cento anni,
ma tutti gli scavi fatti in questo periodo hanno fallito nel tentativo
di mostrare qualche cambiamento su questo punto particolare. Furono i
dinosauri e i rettili loro simili ad evolversi molto rapidamente in
erbivori - animali che mangiano erba - piccoli e grandi, carnivori -
che mangiano carne, che mangiano altri dinosauri e così via -,
onnivori, vale a dire animali in grado di mangiare una grande varietà
di cibi. Essi erano di piccola, media e grande taglia e riprendevano
molte delle caratteristiche degli animali presenti negli ecosistemi
terrestri e anche acquatici dell’Alto Triassico. Il loro numero fu
però drasticamente ridotto da una grande estinzione di massa, dopo la
quale i dinosauri ritornarono e si diffusero nuovamente ricoprendo
quei ruoli che essi detenevano nell’ecosistema del Mesozoico. All’epoca
c’erano anche dei mammiferi, che in tutto questo periodo si
differenziarono in un certo grado, pur rimanendo per lo più di
piccola taglia. Essi non cambiarono mai molto, non smisero mai di
assomigliare fondamentalmente ad altro che a dei ratti, non divennero
mai grandi, non ebbero mai un’evoluzione che li portasse ad apparire
come cervi, o lupi o qualcosa di simile. In un certo senso essi non
partecipavano a quella diversificazione ecologica che toccava invece
ai dinosauri. Si riteneva un tempo che i mammiferi con la loro
intelligenza superiore e con il loro tipo di riproduzione superiore,
più efficiente, effettivamente più avanzato, fossero in qualche
maniera migliori dei rettili, che fosse dunque una questione di tempo,
ma che alla fine i mammiferi dovessero necessariamente spingere i
dinosauri - ormai divenuti obsoleti - all’estinzione, essendo essi
troppo stupidi e inefficienti fisiologicamente per tenere il passo. Ma
questo non è vero. Ciò che accadde con i dinosauri è che essi
durarono all’incirca per centocinquanta milioni di anni, furono
periodicamente falciati da estinzioni, ma poi tornarono, mentre i
mammiferi rimanevano molto umili, piccoli e indifferenziati. I
mammiferi non avevano alcuna possibilità di competere con i
dinosauri. Fu solo quando la cometa, o un altro corpo celeste, venne a
scontrarsi con la Terra, sessantacinque milioni di anni fa, alla fine
del Mesozoico, che i dinosauri - i quali stavano probabilmente
diminuendo di numero - (era proprio alla fine del Triassico che c’erano
i triceratopi e i tirannosauri) furono spazzati via, fatta eccezione
per gli uccelli, i quali sono anch’essi, tecnicamente parlando, dei
dinosauri. Alla fine essi si estinsero. E allora cosa accadde? Per due
o tre milioni di anni circa ci fu una relativa stasi. Finalmente a un
certo punto, in quella che chiamiamo epoca preistorica, e che getta le
fondamenta dei tempi moderni, del tutto improvvisamente, in maniera
molto rapida, si ebbe una diversificazione dei mammiferi, si
iniziarono ad avere grandi mammiferi erbivori, una specie di
precursori - per lo più le prime versioni sorte dalla
diversificazione dei mammiferi si estinsero rapidamente - e poi si
ebbero gli antenati dei cavalli, dei rinoceronti, dei cervi e tutti i
ben noti gruppi che abbiamo oggi. Si fa dunque sempre più chiaro che
senza quell’evento alla fine del Cretaceo - niente di questo genere
si è verificato negli ultimi sessantacinque milioni di anni - avremmo
ancora i dinosauri sulla Terra e noi non saremmo qui. Non nella forma
in cui esistiamo oggi. Certamente non saremmo qui a discutere della
ricerca di vita intelligente nell’universo, niente di questo genere
sarebbe accaduto. Dunque l’evoluzione è dipendente da eventi che
sono talvolta così decisivi da influenzare la fabbrica della vita e l’adattamento
della vita sulla Terra.
Noi ci siamo evoluti proprio come tutte le altre specie. Non sappiamo
quante specie ci siano ora sulla Terra, diciamo dai dieci ai tredici
milioni - qualcuno dice che ce ne siano cento milioni. In ogni caso,
siamo dei mammiferi, ma per volti versi unici. Vorrei brevemente
discutere un approccio ecologico per comprendere l’evoluzione umana,
che a mio avviso può fare un po’ di luce sull’origine della
Terra. Sto cercando di darvi il contesto ecologico evoluzionistico per
la comprensione dell’evoluzione dell’intelligenza. Non dirò nulla
sull’emergere della coscienza - un altro argomento a mio avviso
molto interessante -, che non è qui oggetto della mia esposizione.
Cercherò piuttosto di tracciare un quadro dell’evoluzione degli
esseri umani mostrando come ci sia stato un cambiamento graduale -
durato almeno tre o quattro milioni di anni - nel nostro approccio nei
confronti del mondo fisico, nel procacciarci il cibo e così via,
insomma nel pianificare la vita sul pianeta. Un approccio che non è
completamente e unicamente biologico, ma che ha anche a suo fondamento
una componente culturale, intelligente. E tale componente culturale, l’intelligenza,
è divenuta sempre più dominante nel corso dell’evoluzione umana ed
ironicamente è proprio questo successo, l’enorme successo che come
specie abbiamo conseguito nell’uso della nostra cultura a minacciare
il resto del pianeta e probabilmente - a mio avviso - anche la
condizione umana. Potremmo divenire le vittime del nostro stesso
successo, ed è per questo che sono alla ricerca dell’intelligenza.
A tre milioni di anni fa - ora siamo in Africa - risale il bambino di
Taung, il primo fossile indubitabilmente umano, sebbene della cosa si
discuta. Esso fu scoperto nel 1924 da un anatomista sudafricano nato
in Australia e di formazione inglese, Raymond Dart, che insegnò
medicina all’Università di Witwatersrand e divenne un paleontologo
dilettante. Questo è il bambino di Taung, di sei anni, a giudicare
dallo stato di crescita dei denti. È una storia bellissima. Sembra
che Dart fosse in abito da sera, pronto per un matrimonio che doveva
aver luogo a casa sua, e che annoiandosi decidesse di andare nel
capannone dove teneva un nuovo carico di fossili appena ricevuti. Era
abituato a studiare dei fossili di babbuini che il coordinatore gli
spediva nella loro matrice calcarea, ma quella che gli capitò fra le
mani era una pietra naturale. Gurdando si accorse che all’interno
del cranio mancava un osso. Con il suo occhio allenato di anatomista
egli riconobbe i tratti caratteristici di un cervello più complesso
di quello di un babbuino e non pensò neppure che fosse quello di una
scimmia. In realtà ora la cosa è oggetto di discussione, si dubita
che tali caratteri indichino in maniera univoca degli attributi umani.
Tuttavia oggi sappiamo che questa specie - chiamata Australopiteco
Africano - è molto importante. L’Australopiteco Africano è il
nostro antenato. Era dotato di un cervello il cui volume era all’incirca
400 millilitri, aveva più o meno la taglia di uno scimpanzé. Ma la
cosa molto importante è che questa creatura stava eretta, così come
noi. Ciò è provato dalla forma del bacino. Infatti, dopo la scoperta
del cranio, furono rinvenute delle ossa fossili del bacino e divenne
evidente che non si trattava di una scimmia. Sebbene infatti tale
bacino non sia pienamente umano, come il nostro, tuttavia è molto,
molto più simile al nostro bacino che non a quello dello scimpanzé,
che è molto più allungato a causa del fatto che gli scimpanzé sono
ancora fondamentalmente animali a quattro zampe. Il nostro è invece
il bacino di un animale eretto ed è essenzialmente questo il bacino
che hanno queste creature. Esse hanno dunque la posizione eretta e si
muovono camminando.
Due milioni e mezzo di anni fa si verificò un raffreddamento globale
che per quanto ne sappiamo non era ancora associato con l’effettiva
crescita dei ghiacciai nell’emisfero settentrionale, come avvenne
leggermente più tardi, e che non di meno sembra essere la prima causa
importante di raffreddamento di quella che poi divenne l’era
glaciale. Tale raffreddamento si verificò dunque due milioni e mezzo
di anni fa, e probabilmente durò all’incirca duecentomila anni dal
suo inizio fino alla sua massima incidenza sulla temperatura globale.
Fu una sorta di choc, di effetto soglia, è un po’ lo stesso
meccanismo dei terremoti. I sismologi hanno diversi modelli di
terremoto. Secondo uno dei modelli il terremoto è generato da una
tensione che si incrementa progressivamente nel terreno lungo una
frattura, fino a scaricarsi violentemente, provocando il terremoto.
Non sono sicuro se questo modello sia ancora valido, ma in ogni caso
sembra che nell’ecosistema dell’Africa Orientale sia avvenuto
qualcosa di simile. In altre parole, l’ecosistema è in grado di
sostenere una certa quantità di tensione generata da questo
raffreddamento globale, ma poi, in maniera relativamente rapida, le
piante, vale a dire gli organismi fondamentali dell’ecosistema
locale, si trasformano. Nell’Africa Orientale- i fossili furono
rinvenuti in una grande vallata dai pendii scoscesi, e anche in grotte
calcaree in Sudafrica -, la situazione era relativamente umida,
boschiva. Quando si verificò il raffreddamento globale, il clima dell’Africa
Orientale divenne più secco. Allora improvvisamente, dopo che l’ecosistema
era riuscito ad assorbire questo stress per un certo tempo, si ebbe in
maniera molto rapida una diffusione di ampie praterie, con condizioni
simili a quelle della savana, come le pianure del Serengeti che
abbiamo oggi, però non così estese, ma come macchie isolate
circondate da boschi. Bene, cosa accadde allora? Molte delle specie
che si erano adattate ai terreni boschivi emigrarono nell’Africa
Occidentale, dove erano in grado di sopravvivere poiché l’habitat
era loro familiare, oppure, se questo non fu possibile, si estinsero.
Furono molte le specie che allora si estinsero - diversi tipi di suini
e di antilopi, ad esempio - proprio per questo motivo. Ci furono però
anche delle nuove specie provenienti da altri territori, già adattati
a pianure come quelle proprie dell’habitat della savana. Si ha
dunque una frammentazione dell’habitat e nuove specie che si
evolvono. Così in Africa possiamo osservare su scala microscopica la
stessa storia che si verifica su scala macroscopica con le grandi
estinzioni di massa. Qui il fenomeno è molto più locale, ma è
proprio in questa maniera che l’evoluzione funziona, al livello
delle specie.
Questo è un punto. L’altro è che la stessa stirpe umana fa parte
integralmente di questo processo. Questa specie, infatti - l’Australopithecus
Africanus - si estinse e al suo posto troviamo due nuove specie. Di
esse, una non ha niente a che fare con noi, non è un antenato dei
moderni esseri umani. Queste creature assomigliavano piuttosto ai
gorilla, come se l’evoluzione con esse avesse fatto un passo
indietro, anche se le cose non stanno così. Il cranio diviene molto
più massiccio, l’attaccatura dei muscoli è simile a quella dei
gorilla maschi. Queste creature avevano una dentizione molto potente,
denti molto grandi, frantumavano tuberi e noci, erano esclusivamente
erbivori, non mangiavano carne. Sono stati fatti molti studi ed
analisi al microscopio dei denti da cui si può determinare che tipo
di cibo mangiavano. Sappiamo che erano assolutamente erbivori. Essi
dunque appartengono a un altro ramo, non sono nostri antenati, ma
rimangono in ogni caso affascinanti. Infatti, per oltre un milione di
anni, questo gruppo ebbe un’evoluzione molto rapida in differenti
specie, che si estinguevano molto rapidamente e continuavano a
evolversi. Questo è tipico di una specie ecologicamente
specializzata. Noi siamo generalisti e lo divieniamo sempre di più,
assumendo le abitudini della cultura.
Questo è l’Homo Habilis, e questo è Richard Leakey, il suo famoso
scopritore, questo è il cranio originario, ritrovato nel 1870. […]
Questa creatura, all’improvviso, presenta un cervello molto più
grande, nella categoria dei 750 millilitri. Come ricordate, vi ho
detto che il volume del cervello dell’Australopitechus Africanus era
all’incirca di 445 millilitri. Questa trasformazione avviene in
maniera improvvisa, - non ci sono, infatti, anelli mancanti, non c’è
stato un cambiamento graduale, ma una specie di salto e questa specie
lo dimostra. Questo particolare esemplare ha un anno e nove mesi di
età, ma ora sappiamo che era capace di fabbricare utensili, e questo
è molto importante. Questo è il primo segno. È vero infatti che gli
scimpanzé utilizzano strumenti nel senso che afferrano un bastone e
provano a rotearlo, tuttavia essi non costruiscono utensili in una
maniera determinata, ripetibile. Questa è la prima prova, risalente a
due milioni e mezzo di anni fa. Quello che voglio dire, per farla
breve, è che l’evoluzione umana è strettamente dipendente dall’evoluzione
di tutto ciò che era presente nella foresta africana, è una funzione
degli eventi fisici che portarono al collasso degli ecosistemi e così
via. L’ambiente fisico ha avuto veramente un ruolo importante nell’evoluzione
umana, nell’evoluzione della mia specie preferita, l’Homo Erectus,
che è ancora una volta africano e risale a un milione e mezzo di anni
fa, e che conosceva utensili molto più sofisticati. Ho storie
meravigliose da raccontarvi di questa creatura. Questa è la prima
specie che lasciò l’Africa, un milione di anni fa: a causa della
glaciazione esso si spostò verso nord, in Europa, presumibilmente per
cacciare la nuova fauna dell’era glaciale che si era evoluta intorno
alla Siberia. Ovunque in Italia e in altre regioni dell’Europa si
trovano utensili che risalgono al periodo glaciale. Erano delle specie
che ebbero molto successo, conoscevano il fuoco, e il fatto che si
siano spostate verso il nord con un raffreddamento del clima mostra la
superiorità della loro cultura.
Giungiamo ora ai moderni esseri umani. L’Homo Erectus durò per
quasi un milione di anni, fu estremamente stabile, ebbe un grande
successo, ma fu alla fine sostituito dall’uomo moderno. Questo è il
primo Homo Sapiens, proveniente da Israele, questo è il suo cranio, e
questo è il moderno essere umano. La cultura ha avuto il sopravvento;
diecimila anni fa inventammo l’agricoltura e questo cambiò le cose
enormemente. Diecimila anni fa c’erano forse solo cinque milioni di
uomini sul pianeta, secondo le valutazioni dei demografi e degli
archeologi. Ora, solo diecimila anni dopo, ci sono quasi sei miliardi
di uomini sul pianeta. La ragione per cui questo è accaduto è che
vennero abbattuti gli ostacoli frapposti fino ad allora all’aumento
della popolazione grazie all’invenzione dell’agricoltura e al
mutamento della nostra relazione con l’ecosistema, mediante il quale
siamo praticamente usciti dagli ecosistemi locali. Da tutto questo
sono derivate molte cose buone, sono nate le civiltà. Ma il nostro
controllo sulla nostra popolazione, che avveniva automaticamente
quando eravamo all’interno degli ecosistemi, è stato cancellato. Si
afferma che la popolazione non si stabilizzerà fino a che non saremo
arrivati a dodici miliardi di persone - naturalmente se ne discute -,
e che si stabilizzerà in quanto noi siamo parte del sistema globale,
ma il timore è che si stabilizzerà non prima di aver condotto all’estinzione
di molte specie e di aver saccheggiato le risorse del pianeta. È
dunque una grande calamità, una calamità ecologica quella che si sta
producendo proprio perché siamo intelligenti. Mi fermo qui, ma il mio
appello per la ricerca della vita intelligente sulla Terra è
fondamentalmente questo: siamo qui perché siamo intelligenti.
Dobbiamo allora renderci conto che stiamo provocando la prossima
grande ondata di estinzione di massa e che, a meno di divenire
veramente intelligenti e di capire quanto sta accadendo - e in
particolare che dobbiamo stabilizzare la popolazione -, ci troveremo
forse ad affrontare un’estinzione provocata da noi stessi.
Articoli collegati:
Le estinzioni di massa
Chi è Niles Eldredge
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio
Attualita' |
|
  
|