Anteprima Reset/La ricchezza non genera
mostri Francis Fukuyama
Questo articolo apparirà sul prossimo numero di Reset, in libreria e in edicola a
marzo
Quale avvenire ha la democrazia liberale? Ci piacerebbe sapere se essa rimarrà
stabile, e se sarà in condizione di estendersi anche a quegli stati che attualmente sono
governati da regimi autoritari. Oppure se la democrazia, come è accaduto negli anni
trenta, sarà di nuovo repressa e paralizzata.
La risposta dipende dallorizzonte temporale che si sceglie. A breve termine, le
prospettive non sono buone. A più lungo termine, invece, non ci sono valide ragioni per
mettere in dubbio né lassicurazione di Alexis von Tocqueville, secondo la quale la
democratizzazione era già iniziata negli 800 anni precedenti la sua epoca, né la sua
previsione che la democrazia si sarebbe in futuro ulteriormente diffusa.
Nel passato, la democratizzazione si è attuata a ondate. Tra gli anni 70 e gli
anni 90, nellEuropa meridionale, in America Latina, in Asia e nellex
mondo comunista si è verificata chiaramente quella che Samuel Huntington ha definito una
"terza ondata" di nuova democrazia. Tale ondata ha ormai chiaramente
oltrepassato il suo culmine, e marca oggi la ritirata.
Proprio mentre scrivo, Hugo Chavez in Venezuela sfrutta il suo mandato elettorale per
smantellare le istituzioni democratiche e lo stato di diritto, proprio come, prima di lui,
ha già fatto Fujimori in Perù. Quegli ex stati comunisti che potevano contare sulle
premesse culturali ed istituzionali per compiere una riuscita transizione verso la
democrazia (tra essi, la Polonia, lUngheria e la Repubblica ceca), lo hanno ormai
fatto. Altri, come la Russia e lUcraina, si trovano in grandi difficoltà, e non si
prevede che potranno porre molto presto la loro candidatura a far parte dellUnione
Europea. In Russia e in Ucraina, le riforme si sono arenate. Ciò che si è sviluppato in
questi paesi, non è né uneconomia pianificata né uneconomia di mercato, ma
solo un insieme di istituzioni politiche corrotte, che il popolo considera sempre più
come illegittime.

Nel frattempo, la politica economica neoliberista, introdotta non soltanto nellex
mondo comunista, ma anche in tutta lAmerica Latina ed in altre parti del mondo, è
caduta in disgrazia dal punto di vista intellettuale. Le crisi valutarie e le recessioni
che hanno colpito paesi come il Messico, la Tailandia, la Corea del Sud e il Brasile,
hanno spinto alla ribalta un numero crescente di movimenti di protesta molto ben
organizzati e che hanno uno scopo in comune: arrestare la liberalizzazione e fare marcia
indietro.
Per molti, la crisi finanziaria asiatica e la profonda instabilità dei mercati dal
1997 al 1999 sono un segnale dei limiti della globalizzazione. Diversi osservatori vedono
nella globalizzazione una vera e propria minaccia per la salute e la felicità degli
esseri umani. Perciò lapertura verso una maggiore libertà sia nei mercati che
nella politica è stata frenata. E poiché ben conosciamo la tendenza della politica
internazionale ad accodarsi al trend generalizzato, possiamo aspettarci un ulteriore
allontanamento rispetto alle posizioni degli ultimi anni 80.
E tuttavia, a lungo termine, una logica forte favorisce lipotesi che la
democrazia liberale si estenderà a tutto il mondo. In fin dei conti, lo sviluppo del
genere umano, nel senso di Hegel e di Marx, dipende dalle scienze moderne, le quali
promuovono il progresso tecnico. Tale progresso apre una molteplicità di possibilità
produttive e conduce a dinamici processi di modernizzazione economica. In un sistema
competitivo di stati nazionali è difficilissimo chiamarsi fuori da questa corsa. Persino
quando un paese decide di non adottare la tecnologia più moderna, come il Giappone
durante il periodo Togukawa, nel XVI secolo, quando rifiutò le armi da fuoco, prima o poi
appare sempre qualcuno, come il commodoro Perry, con armi migliori oppure con uno standard
di vita più accattivante, creando così il bisogno di recuperare.
Ciò che chiamiamo globalizzazione. è appunto questo adeguamento delle strutture
economiche rispetto ad un orizzonte tecnologico in costante ampliamento. Ma lessenza
della globalizzazione è mutata radicalmente tra linizio e la fine del XX secolo.
Mentre gli economisti tendono a criticare il fatto che, a livello internazionale, il
commercio e gli investimenti, come parte delle prestazioni mondiali, siano oggi di poco
maggiori di quanto non lo fossero un secolo fa, la moderna tecnologia della comunicazione
ha unito il mondo in un modo che, a quellepoca, era ben difficilmente immaginabile.
Così, è stato impossibile tenere nascosto ai tedeschi orientali il livello di vita
che godevano i tedeschi occidentali, mentre Baywatch oppure Seinfeld vengono
ricevuti dalle TV del più lontano villaggio dellAmerica Centrale o del Medio
Oriente. Di conseguenza, la possibilità di scendere con tutta facilità dal treno della
tecnologia è oggi più limitata che mai. La tecnologia elettronica, per sua stessa natura
priva di frontiere, rende permeabili la maggior parte delle comunità culturali,
esponendole ad influssi esterni. Ciò ha una enorme azione democratizzatrice, poiché la
tecnologia schiude innumerevoli possibilità di aggirare la vigilanza dei guardiani del
sapere e dellinformazione.
La globalizzazione favorisce la democrazia liberale in maniera molteplice.
Leconomia globale esige la creazione di strutture che garantiscano in primo luogo il
buon funzionamento dei mercati. E tuttavia, ciò invade anche il terreno dei valori
politici: gli investitori stranieri pretendono che viga uno stato di diritto trasparente,
oltre ad un sistema stabile di diritti della persona e della proprietà. Thomas Friedman
in The Lexus and the Olive Tree descrive numerose situazioni in cui il desiderio di
partecipare alleconomia globale per ragioni puramente economiche ha avuto in realtà
un effetto di democratizzazione; così, ad esempio, nellIndonesia di Suharto agli
attivisti pro-democrazia era proibito criticare direttamente il governo, mentre al tempo
stesso era loro permesso citare le critiche dellOrganizzazione Mondiale del
Commercio al nepotismo della famiglia Suharto.
Il benessere in quanto tale produce tendenzialmente una democrazia stabile: non esiste
infatti alcun esempio storico di un paese democratico, che disponesse di un reddito annuo
pro capite maggiore di 6000 dollari, che sia ricaduto in un regime autoritario.
Globalizzazione avanzata e benessere crescente dovrebbero dunque offrire ad un numero
sempre maggiore di società lo stimolo a dedicarsi alla democrazia ed a tutto ciò che è
necessario per la sua conservazione.
Lindividualismo liberista distrugge la collettività
La domanda è dunque la seguente: la globalizzazione manterrà la promessa di un
migliore livello di vita in ogni paese che accetti le condizioni da essa poste? La crisi
finanziaria asiatica è stata particolarmente significativa proprio perché ha fatto
pensare che il nuovo ordine mondiale globale sia sostanzialmente instabile, e dunque
inaffidabile come motore di crescita. E tuttavia lAsia, fino al 1997, per i suoi
risultati positivi, era stata il fiore allocchiello della globalizzazione: in tutta
la regione, infatti, in circa 40 anni gli stati sono passati da standard da terzo mondo ad
uno status da primo mondo, con tassi di crescita che superavano di gran lunga quelli
delloccidente dellepoca della propria industralizzazione.
Ma alla fine del 1997, nellarco di pochi mesi, uno stato come la Corea del Sud è
sceso dal dodicesimo al ventesimo posto nellelenco dei paesi industrializzati,
mentre in Indonesia milioni di persone precipitavano nella povertà. Alla fine
dellestate del 1998, dopo che la Russia era diventata insolvente, per un breve
periodo si è creduto che il panico nei nuovi mercati avrebbe fatto precipitare
lintera economia mondiale in una crisi simile a quella degli anni 30. Il dato
di fatto è invece che la crisi non si sta ampliando. Grazie alla capacità della Banca
centrale americana di inondare di liquidità i mercati finanziari, essa è stata arginata
con successo.
Guardando indietro si può affermare che questa crisi è nata da una complessa miscela
di errori da parte dei paesi interessati, degli investitori internazionali e delle
istituzioni finanziarie responsabili a livello internazionale: la Corea e la Tailandia
avevano liberalizzato i loro mercati di capitali prima di aver costruito un adeguato
sistema di regole; le banche europee avevano dedicato troppo poca attenzione ai rischi dei
mercati immobiliari asiatici; ed i fondi valutari internazionali spingevano con troppa
forza per una rapida liberalizzazione dei mercati di capitali.
Tutti questi problemi possono essere risolti mediante vari aggiustamenti della
politica, ed in realtà la maggior parte dei paesi asiatici nel frattempo hanno recuperato
il loro tasso di crescita precedente. La crisi, comunque, ha spinto molti dei paesi
colpiti sulla via di riforme che, allo stesso titolo della maggiore trasparenza negli
affari finanziari e delle misure contro la corruzione, in fin dei conti non potranno che
portare giovamento alla democrazia ed allo stato di diritto.
La crisi economica degli anni 1997/99 doveva essere un incitamento a ripensare i molti
aspetti della cosidetta politica del consenso di(con?) Washington dei primi anni
90, a ripensare, in un certo senso, anche landamento della liberalizzazione
nei mercati di capitali, cosa che però non vuol dire che leconomia mondiale avrebbe
cessato di rappresentare un percorso di crescita.
La globalizzazione confronta la democrazia liberale con una serie di altre sfide, ad
esempio con il decrescente controllo dellopinione pubblica democratica sulla propria
politica sociale ed economica, con il reddito in caduta e/o con una disoccupazione di
lunga durata di lavoratori non specializzati nei paesi sviluppati, così come con
lerrore dei meccanismi internazionali di controllo, che sono responsabili nei
confronti dellopinione pubblica democratica. Altri autori si sono occupati
esaustivamente di questi temi, e dunque in questa sede io rinuncerò a farlo. Preferisco
invece dedicarmi ad un tema di importanza secondaria, cioè allaspetto interno dello
sviluppo democratico: vale a dire alla domanda sulla qualità della vita nelle democrazie
consolidate. Io non credo che la sfida principale della democrazia moderna sia la
perdurante disuguaglianza dal punto di vista sociale ed economico.

Gli esseri umani sono diseguali nelle loro stesse capacità individuali: i gruppi
invece si differenziano per il loro capitale culturale. Le democrazie attuali non sono
obbligate a garantire uguali risultati, bensì adeguate opportunità di mobilità sociale.
Questo ricorso alla mobilità, nel corso del tempo e nella maggior parte delle democrazie
attuali, è anche aumentato. Ma ancor più importante è la capacità della moderna
democrazia liberale di tenere insieme la società, ed in particolare in modo tale da non
giungere allesclusione sociale, allemarginazione e allodio tra
gruppi di popoli o di razze.
Il problema dunque non è tanto quello della democrazia, quanto quello di un liberismo
falsamente inteso: leccessiva accentuazione dellautonomia del singolo rispetto
alla società come base di uneconomia e di una politica moderne.
Lindividualismo liberista distrugge la società a tutti i livelli, dalla famiglia al
vicinato, dal posto di lavoro allo Stato, proprio in quanto mina lautorità delle
istituzioni e riduce ad una sfera piccolissima la cultura, cioè lambito dei valori
condivisi. Le società, un tempo tenute insieme dagli stretti legami della religione,
della tradizione e della comunità locale, sono ora diventate reti mutevoli ed effimere di
identità sovrapposte, la cui relazione è al tempo stesso più ampia e meno vincolante.
In un certo senso, Internet porta questa logica al suo estremo: chiunque può entrare in
contatto con una quantità a scelta di persone in tutto il mondo, a dispetto di tutte le
barriere culturali, ma ciò accade con crescente superficialità e per una durata di tempo
sempre più breve.
Il modello asiatico non viene più preso sul serio
La conservazione della società non è una sfida soltanto per le democrazie avanzate,
ma anche per quelle giovani ed emergenti. La parola dordine è società civile. Intanto,
è persino banale sostenere che la democrazia liberale non può esistere senza
unintatta società civile. Nello sviluppo postcomunista, la differenza tra la
Polonia, lUngheria e la Repubblica Ceca da un lato e la Russia e lUcraina
dallaltro ha a che fare almeno in parte con la quasi totale mancanza di una società
civile nelle ultime due. Lincapacità degli esseri umani di consociarsi su una base
libera e democratica rende probabile che ciò avverrà invece sulla base di una società
intollerante, vale a dire per gruppi fondati sulla razza, sulletnia o sul
nazionalismo.
Il problema delle democrazie liberali, giovani o vecchie che siano, consiste nel fatto
che molte di esse devono creare una comunità e dei valori condivisi allinterno di
società che di fatto sono diventate multiculturali e che lo diverranno ancor più nel
futuro. Gli Stati Uniti, lAustralia, il Canada, ed altri paesi cosidetti di nuova
colonizzazione lo sono già da lungo tempo. E tuttavia, anche per le nazioni europee, come
conseguenza del loro basso tasso di natalità, nel prossimo secolo sarà praticamente
inevitabile dover far ricorso alla forza lavoro degli stranieri, se non vorranno
scomparire come società.
Le società democratiche devono poter tollerare la molteplicità culturale, imparando a
trarre vantaggio da essa. Ma nessuna comunità può sussistere senza un insieme condiviso
di norme e di valori. Una cultura comune, allinterno di una società che è di fatto
multiculturale, si fonda pertanto molto più sul senso civile e sui valori politici che
non sulla razza, letnia o la religione. In questo senso, lEuropa, dove le
identità sono più fortemente legate allappartenenza ad un popolo, nel prossimo
secolo avrà più problemi della maggior parte degli altri paesi dellemisfero
occidentale.
In ultima analisi, è impossibile prevedere se alle democrazie liberali del futuro
riuscirà di creare unadeguata base morale per la coesistenza e la collaborazione
dei loro popoli. Possiamo comunque consolarci con lidea che anche nel passato molte
società sono state sottoposte a trasformazioni tecnologiche, durante le quali le
consuetudini morali esistenti sono andate in frantumi. E tuttavia, col tempo, esse sono
riuscite a ristabilire un ordine morale ed una società intatta. E così che
loccidente, nella prima metà del XIX secolo, nel corso della propria trasformazione
da società agraria a società industriale, ha subito un poderoso scossone a tutti i
propri valori. E tuttavia, allinizio del XX secolo, esso era riuscito a creare nuove
norme e nuovi valori, corrispondenti alle mutate condizioni. Non sappiamo se in futuro
accadrà lo stesso. Ma ciò che sappiamo è quanto segue: gli esseri umani dispongono di
fortissime capacità interne di darsi un ordine e delle regole di gioco.
Molto dipenderà da come si svilupperà nei prossimi anni leconomia mondiale. Per
quanto la globalizzazione possa essere inevitabile, il fatto che essa agirà come forza a
favore del bene oppure a favore del male dipenderà in buona sostanza dalla sua capacità
di mantenere la promessa di una rapida crescita economica. Nonostante i contraccolpi e
linstabilità economica, resta pur sempre il dato di fatto che non esiste alcuna
alternativa alla globalizzazione in quanto via allo sviluppo economico. Il Messico, dopo
la devastante crisi del peso e nonostante le sue antiche tradizioni marxiste e
nazionaliste, non ha visto altra possibilità che non quella di attaccarsi tenacemente al
libero commercio nordamericano. Il modello asiatico, che appariva come il più plausibile
antagonista di un avvicinamento liberista alla globalizzazione, dopo la persistente
stagnazione del Giappone e di fronte ai problemi di altri paesi in questa regione, non
viene più preso seriamente in considerazione.
Democrazia ed economia di mercato continuano ad essere, come del resto sono sempre
state, la sola via percorribile. Fino a quando ciò varrà, possiamo star certi che
entrambe vivranno per lungo tempo nel prossimo millennio.
(Traduzione di Laura Bocci)
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