Il teorema di Asterix: gli intellettuali
francesi e il Kosovo Massimiliano
Panarari
Dal giorno dellesplosione del conflitto tra la Nato (o, come si
dice a Parigi, lOtan) e la Serbia, la Une (ovvero, la prima pagina) di "Le
Monde" si è trasformata anchessa in un campo di battaglia (per fortuna, in
questo caso, cruenta solo a livello verbale). A contendersi il terreno lo
"spazio vitale" che, in termini di promozione e visibilità, regala
leditoriale di taglio basso del più autorevole e diffuso quotidiano di Francia
sono gli intellos parigini, impegnati in una feroce "guerra per bande"
finalizzata a ridisegnare la "mappa geopolitica" della cultura transalpina?
Oppure, la posta in gioco corrisponde a qualcosa di più significativo?
A leggere lanalisi di Christophe Gallaz (nuovamente "Le
Monde", 13 aprile 1999), tutto si ridurrebbe allo scontro farsesco e caricaturale
se loggetto non avesse i contorni della tragedia tra gli ego
ipertrofici che animano il dibattito doltralpe (troppi galli nel pollaio...). Per
usare le sue parole: "Lindecenza dellintelligentsia parigina che
sfrutta da più di quindici giorni gli eventi del Kosovo per organizzare i propri
particolaristici giochi di posizionamento in tutte la tribune libere pubblicate sulla
stampa risulta totale e costernante. Pierre risponde a Pascal che replica a Jean-François
la tesi del quale gli sembra sottintendere quella di Régis, nel momento stesso in cui il
ministro Jean-Pierre cita un autore tedesco in maniera tale da confortare il terribile Le
Pen secondo Bernard-Henri". [Per facilitare il "decrittaggio", i nomi di
battesimo fanno rispettivamente riferimento a Vidal-Naquet, Bruckner, Kahn, Debray,
Chevènement, Lévy].
Tuttavia, ridurre il dibattito, destinato a restare a lungo aperto, ad
una faida interna al tout Paris intellettuale, per quanto contenente più di una
"particella" di verità (per inciso, termine alquanto in voga oltralpe dopo il
romanzo "reazionario di sinistra" di Michel Houellebecq) si configura alla
stregua di una lettura esageratamente semplicistica. Lenjeu, a ben guardare,
si rivela decisamente più complesso ed importante, ed attraversa gli stessi schieramenti,
scomponendoli e riarticolandoli sulla base di alleanze inedite e di finalità condivise ex
novo, sino a disegnare una geografia della scena politica francese in profondo divenire e
molto meno monolitica di quanto una intepretazione superficiale potrebbe lasciare
scorgere. Nelle dissertazioni degli intellettuali si delineano categorie quali sovranità,
nazione, universalismo, morale, epocali come soltanto un drammatico ed
"imprevisto" conflitto, giunto a funestare lEuropa che si pensava e voleva
definitivamente pacificata sulla scorta della "fine della storia", avrebbe
potuto fare riaffiorare così radicalmente. Il quesito sulla bocca e nella testa
di tutti gli osservatori si può riassumere in questo modo: risulta possibile
fondare un ordine planetario sui diritti delluomo? Per alcuni la risposta è
positiva, senza esitazioni, mentre per altri i droits de lhomme rischiano di
venire "strumentalizzati" ed impiegati quali "foglia di fico" per
giustificare un regime coincidente con il famigerato "nuovo ordine mondiale"
seguito alla fine del bipolarismo. In una parola, la pax americana, legemonia e
linterventismo degli Usa sul globo, esistenti de facto e carenti esclusivamente di
una legittimazione de iure, reperita, al fine, per lappunto, nella tutela
degli human rights, da perseguire anche mediante il dispiegamento della forza.
Una argomentazione siffatta non può che incontrare una selva di
critiche ed opposizioni nel paese che ama presentarsi, al tempo stesso, come lultima
trincea della civilisation europea al cospetto della barbarie e del prepotere
doltreoceano (in nome, non raramente, di una nostalgica e malcelata grandeur)
ed il laboratorio del pensiero anti-globalizzazione. Comunque sia, una delle poche sedi
sopravvissute, deputate a promuovere la resistenza contro la pensée unique
veicolata, in primis, dagli Stati Uniti e dai suoi vassalli anglosassoni. Un luogo
allinterno del quale la lotta contro il nemico comune, come naturale in un
fortilizio assediato (si pensi al villaggio gallico di Asterix che nella versione filmica
ha polverizzato i records dincassi ai botteghini cinematografici: la sindrome della résistance...),
ha rinserrato le fila ed ha tenuto a battesimo inusuali ed insospettabili solidarietà,
allacciate, sovente, in nome della difesa ad oltranza del patrimonio trasmesso dalla république,
la quale, a sua volta, non può prescindere dai legami comunitari che danno linfa ad una nation.
A farsi alfiere di queste opinioni, nel corso di una riunione del
Consiglio dei ministri di inizio aprile che aveva assistito allunanimità dei
convenuti, concordi con la linea di inflessibilie appoggio alla Nato del premier Lionel
Jospin, è la sola voce dissonante del responsabile degli Interni, Jean-Pierre
Chevènement, il quale distribuisce ai colleghi le fotocopie di alcuni testi estratti da
due opere del notissimo scrittore e saggista tedesco Hans Magnus Enzensberger (in
francese, La Grande migration e Vues sur la guerre civile). Nelle frasi a
cui lesponente di primo piano dellesecutivo e presidente del Mouvement des
citoyens ha inteso affidare il proprio pensiero in merito alla partecipazione di
Marianna alla campagna bellica, si leggono lappello a "rinunciare ai fantasmi
di una morale onnipotente", a rigettare la "trappola" della "retorica
universalistica" e della "teologia" dei "diritti delluomo",
a "fissare delle priorità", ad "esaminare i diversi gradi della
responsabilità", a prestare attenzione alla "differenza tra il prossimo ed il
lontano". Tale presa di distanza dalla condotta del proprio stesso gabinetto forniva
lavallo più ufficiale che ci si potesse attendere ad una foltissima schiera di
commentatori ed intellettuali riconducibili alle posizioni della gauche nationaliste,
nella quale confluiscono spezzoni della gauche de la gauche e coloro che,
recentemente, il "Nouvel observateur" (sempre in prima fila nel conio di
neologismi e nella mappatura delle "nuove tendenze" serpeggianti
allinterno della società francese) chiamava réac de gauche (il drappello
dei "reazionari di sinistra", tra cui si devono annoverare allineati a fianco
del ministro degli Interni, Régis Debray e Max Gallo).
Pronti a saldarsi con la destra, affermano gli avversari ed i
detrattori (il "rosso-verde" Daniel Cohn-Bendit, da sempre bandiera
dellinternazionalismo e del cosmopolitismo, lo scrittore Pascal Bruckner, irritato
per il riemergere del mai sopito pregiudizio anti-yankee, ed il mediaticamente
onnipresente Bernard-Henri Lévy, impietoso e quanto mai virulento nellasserire che
Chevèment spartisce con Le Pen la medesima "torva" visione dellEuropa),
in nome di malintesi "valori comuni" e di un sempiterno ed intramontabile
antiamericanismo tanto per portare un esempio, Gallo firma un editoriale insieme a
Charles Pasqua, ove si perora la causa della riconquista dellindipendenza da parte
del nostro continente, calpestato nella sua autonomia dallo scomodo "grande
fratello" doltreoceano. Latto un po "situazionista" del
ministro dellInterno ha così dato la stura ad una controversia gravida di risvolti
profondi e suscettibile di avviare una riflessione veramente proficua sulle trasformazioni
del diritto e delle relazioni internazionali allepoca della mondializzazione, a cui
non ha fatto mancare il proprio apporto lo stesso Enzensberger, avventurandosi in una
sequela di distinguo e precisando di aver voluto soltanto mettere in guardia dal rischio
di farsi travolgere da una retorica illusoria e manipolatrice, ma schierandosi nettamente
contro il socialisme droitier di Chevènement, intriso di umori pericolosi.
La gauche nationaliste (impegnata anche nella battaglia contro
quella internazionalista, capeggiata da Pierre Bourdieu) appare spasmodicamente ripiegata
sulla propria funzione di vestale delleredità della Francia nazionale e socialista,
che affonda le radici nella "gloriosa" Rivoluzione del 1789 e nella sua lotta di
popolo e, per lappunto, di nation contro lautocrazia ed il dispotismo
monarchici, trionfalmente sedimentatasi infine nella Dichiarazione dei diritti
delluomo e del cittadino. Il nodo della contesa risiede precisamente qui,
nell"infamante accusa", rivolta contro gli "interventisti", di
predicare a favore dei droits de lhomme, non prendendo in considerazione e
lasciando negletti quelli del citoyen. Spazio primario e determinante nel quale si
svolge la socializzazione del cittadino è, come naturale nellambito di tale
visione, la "nazione", della quale viene proposta una concezione al contempo
elitaria e "modernista". Razza, lingua, religione, territorio vanno a disegnare
le componenti di una cultura fondante che si colloca alla base della costruzione
identitaria assolutamente indispensabile per ciascun popolo. La "forma-nazione"
manifesta la capacità di universalizzarsi (ed ecco lunico autentico
"universale" esistente) e di creare lo spazio fondamentale di emancipazione ed
identificazione per i cittadini, al di là delle divisioni di classe e sociali, rispetto a
cui costituisce un dato invariante ed un fattore primigenio. Il paradigma storico
realizzato affermerebbe Debray della valenza progressiva della figura
nazionale si identifica con la Francia rivoluzionaria e repubblicana e, del resto,
non sarebbe casuale il fatto che i movimenti di liberazione nazionale si fossero
contraddistinti per il carattere socialista.
Questi souverainistes paventano comprensibilmente e con ragione
la possibilità che la mondializzazione del diritto proceda al rimorchio e in una
condizione di subordinazione rispetto allinfluenza della superpotenza dominante, ma
lasciano altresì, colpevolmente, molto sullo sfondo la questione delledificazione
effettiva e durevole di unEuropa democratica, la quale non può non essere anche
multirazziale e sociale, intravedendovi prevalentemente lo spossessamento ed il
depauperamento di quel principio di sovranità nazionale che giudicano irrinunciabile. La
scomunica rivolta allindirizzo del "diritto dingerenza" e della
"politica della morale" targati Nato (si legga, in realtà, USA) non cancella
levidenza che, come proclama Bertrand Badie, docente di relazioni internazionali
allInstitut détudes politiques della capitale francese, la Realpolitik
conosciuta negli ultimi due secoli appare irreversabilmente vocata al tramonto. Questo
studioso, sulla scorta dei lavori dei sociologi Georges Lavau e Pierre Birnbaum, si
applica allanalisi del divenire e delle incessanti mutazioni dei rapporti tra gli
Stati alla luce degli sconvolgimenti tecnologici e sociali in corso, attribuendo una
preminenza al ruolo giocato dalla globalizzazione delleconomia ma, soprattutto,
della comunicazione nello spodestare il primato fino ad oggi incontrovertibile della
sovranità nazionale, relegandola ad una posizione marginale a profitto di valori comuni
allumanità. Di cui, è vero ed è difficile non riconoscerlo, si avverte
limprescindibilità e lurgenza quando collimano con gli interessi nazionali
necessariamente dei più forti ma al cospetto dei quali, qualora si chiamino
diritti umani e delle minoranze, non si può fare scattare alcun meccanismo di equivalenza
"etica" o, peggio ancora, di indifferenza. Labolizione delle distanze
indotta dalla mondializzazione informativa può, adeguatamente intesa, agevolare una presa
di coscienza planetaria della nozione di diritto universale e di quella di
responsabilità.
Due concetti di fronte ai quali il peraltro irreprensibile grand
éducateur républicain Jean-Pierre Chevènement (insieme agli altri souverainistes)
minaccia di fare arretrare il dibattito in seno allopinione pubblica francese,
allinsegna di una argomentazione che pare non tenere nel debito conto come, quanto
meno talvolta, debba prodursi una gerarchia normativa privilegiante i diritti degli uomini
su quello dello Stato. Non una mera polemica franco-française, né una zuffa tra le
tribù dellintelligentsia parigina, dunque, questa discussione sui frappes
aerei della Nato in Jugoslavia, ma certamente molto di più...
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