Mosca/L'incubo dell'orso frustrato Intervista a Victor Zavlasky di Antonio Carioti
Un nuovo spettro sembra aggirarsi per lEuropa: quello del
panslavismo. Lopposizione della Russia allazione militare della Nato contro la
Jugoslavia ha risvegliato inquietudini antiche. Cè chi ricorda che nel 1914 la
solidarietà dellimpero zarista verso la Serbia, dopo lattentato di Sarajevo,
fu la miccia che innescò il primo conflitto mondiale. Altri già vedono
allorizzonte un nuovo blocco orientale, cementato dalla comune fede
cristiano-ortodossa, destinato a fronteggiare le potenze occidentali nel prossimo secolo.
Minacce reali o semplici suggestioni, amplificate dai mass media?
Victor Zaslavsky, docente della Luiss "Guido Carli" di Roma e grande esperto del
sistema sovietico, invita a distinguere: "Si parla molto del mito della fratellanza
slava o del richiamo alla religione ortodossa come fattori di coesione tra la Russia e la
Serbia, ma credo che nessuno dei due abbia il peso che gli viene attribuito. Vi sono però
altre ragioni, da non sottovalutare, che avvicinano questi due paesi nellattuale
fase storica".
Eppure gli appelli al comune destino degli slavi, o alla difesa della
cultura ortodossa, sono assai frequenti da parte dei politici nazionalisti di Mosca e
Belgrado.
Nei fatti linfluenza dellideologia panslavista è molto
limitata: Paesi slavi come la Polonia, la Repubblica Ceca, la Croazia, la Slovenia,
perfino lUcraina, appoggiano lintervento della Nato e non mostrano alcuna
simpatia verso il leader serbo Slobodan Milosevic. Non mi pare proprio che si possa
parlare di unità slava.
Quanto alla comunanza religiosa, è un elemento cui attribuisce molta
importanza lo studioso americano Samuel Huntington, che ipotizza nel futuro uno
"scontro di civiltà" tra blocchi di nazioni dalle differenti radici culturali.
Osservo però che la Grecia, paese ortodosso a pieno titolo, nella Nato tiene una
posizione defilata, ma non appoggia certo Belgrado. Bisogna inoltre tener conto che
lélite politica russa ha con la religiosità un rapporto puramente strumentale: non
deve ingannare limmagine del presidente Boris Eltsin in chiesa con una candela in
mano, perché basta osservarlo con attenzione per accorgersi che non sa nemmeno farsi il
segno della croce.

Ma allora che cosa spinge i russi a solidarizzare con Milosevic?
Per quanto concerne la classe dirigente, il sostegno a Belgrado deriva
dalla ricerca di un ruolo sullo scenario internazionale. Dopo il crollo rovinoso
dellUrss, Mosca si è ridotta, da una precedente condizione di antagonista diretta
degli Stati Uniti, al rango di potenza minore, dotata al massimo di una capacità
dinfluenza regionale. E di fatto per alcuni anni non è esistita una politica estera
russa. Oggi, grazie alla crisi del Kosovo, il Cremlino ha ritrovato la possibilità di far
sentire la sua voce e potrebbe dare un contributo costruttivo alla soluzione del
conflitto.
Cè poi un secondo punto, ancora più importante, che riguarda
lopinione pubblica. In generale i russi condividono con i serbi un acuto sentimento
di umiliazione, derivante soprattutto da una situazione economica drammatica, che li
costringe a mendicare laiuto dellOccidente. Allorgoglio nazionale ferito
si unisce poi leredità del regime sovietico, la cui propaganda ha lungamente
educato i cittadini allostilità verso le potenze capitalistiche. Non cè da
meravigliarsi se questo intreccio di rancore e frustrazione trova uno sfogo
nellappoggio alla Jugoslavia.
Se la guerra dovesse prolungarsi, si potrebbe ipotizzare linvio
di aiuti militari russi a Belgrado?
Non mi pare immaginabile che Mosca possa entrare in conflitto aperto
con la Nato. È sempre valida la massima secondo cui gli Stati non hanno amici né nemici,
ma soltanto interessi nazionali da tutelare. E la Russia non avrebbe nulla da guadagnare
compiendo una mossa così azzardata.

Milosevic è stato forse liniziatore dellideologia
cosiddetta "rosso-bruna", che congiunge lanticapitalismo di matrice
comunista al nazionalismo esasperato. Non cè il pericolo che lesempio
jugoslavo contribuisca a rafforzare questa tendenza anche in Russia?
Penso di no. Proprio la situazione disperata della Serbia dimostra che
il progetto di unalleanza "rosso-bruna", tra comunisti ed estrema destra,
porta in un vicolo cieco. Vorrei ricordare che la carta nazionalista è stata giocata
recentemente, senza alcun successo, da un politico russo considerato tra i favoriti per le
elezioni presidenziali del 2000, il sindaco di Mosca Jurij Luzhkov. Nel suo programma ha
inserito la proposta che la Russia rifiutasse di firmare laccordo per il passaggio
definitivo della Crimea, e soprattutto della città portuale di Sebastopoli, sotto la
sovranità ucraina. Ma il suo atteggiamento irresponsabile, da cui poteva derivare un
forte innalzamento della tensione tra Mosca e Kiev, è stato stroncato dalla Camera Alta:
il Consiglio della federazione, composto dai governatori delle varie regioni russe, ha
approvato a larghissima maggioranza lintesa raggiunta con lUcraina. Questi
"grigi amministratori", che si misurano ogni giorno con i problemi reali della
popolazione, non si sono lasciati incantare dalle sirene dello sciovinismo. Sono ben
consapevoli che da un conflitto di natura territoriale possono scaturire soltanto
ulteriori guai.
Del resto la guerra con la Cecenia è stata una lezione amara.
Quellavventura insensata ha provocato una fortissima resistenza
da parte dei cittadini russi ed è sostanzialmente terminata con la sconfitta
dellesercito di Mosca. Oggi per fortuna le ferite del conflitto si vanno
rimarginando. Lo status definitivo della Cecenia, forte autonomia allinterno della
Federazione russa o indipendenza vera e propria, verrà deciso tra qualche tempo, ma
nessuno mette più in discussione il diritto dei ceceni di decidere il proprio futuro.
Si parlava prima dellorientamento ragionevole del Consiglio della
federazione russa. Però laltra Camera, la Duma, ha votato addirittura lunione
tra Russia, Bielorussia e Serbia.
Si tratta di uniniziativa puramente propagandistica e simbolica,
che non può produrre nessuna conseguenza pratica. Anche laccordo di federazione tra
Russia e Bielorussia, del resto, non ha avuto alcuno sviluppo ed esiste soltanto sulla
carta. I governanti di Minsk non hanno nessuna intenzione di delegare alla Russia una
parte del loro potere: vorrebbero ottenere vantaggi economici, in particolare ottenere
rifornimenti energetici a buon mercato, senza sacrificare minimamente la sovranità
bielorussa. Ed è chiaro che a Mosca non conviene un patto del genere, che le costerebbe
risorse preziose in cambio di nulla.
Intanto, dopo il primo ministro russo Evgenij Primakov, anche il
presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko si è recato a Belgrado.
Non paragonerei le due visite. Lukashenko ha compiuto una mossa
pubblicitaria, senza alcuna concreta rilevanza politica. Si è profuso in grandi baci e
abbracci con Milosevic e tutto è finito lì. Primakov, ricevute assicurazioni
dallOccidente circa la questione scottante del debito estero russo, ha cercato di
indurre il presidente jugoslavo alla ragionevolezza sulla questione del Kosovo. Ma
purtroppo ha incontrato un muro dintransigenza.
Adesso però Eltsin ha rimesso in gioco la figura dellex premier
Viktor Cernomyrdin.
Sì, lha nominato commissario speciale per i rapporti con la
Serbia e la questione del Kosovo. Per Primakov è un colpo molto duro, tanto che si è
parlato di sue dimissioni. Cernomyrdin è strettamente legato a Eltsin, che probabilmente
punta a farne il suo successore alla presidenza russa.

Però Cernomyrdin ha sulle spalle il disastro della crisi economica
esplosa nella scorsa estate. Molti osservatori ritengono che lOccidente abbia
sbagliato nellappoggiare Eltsin e i suoi uomini, perché la loro politica di riforme
si è rivelata un clamoroso fallimento.
Non dobbiamo sopravvalutare la forza delle potenze occidentali. Non è
possibile guidare dellesterno le riforme nellex Unione Sovietica, perché la
ristrutturazione di una società organizzata secondo i criteri del sistema sovietico è
una faccenda maledettamente complicata. Basta pensare alla Germania orientale, che ha solo
17 milioni di abitanti e negli ultimi dieci anni ha ricevuto sussidi dallOvest per
un totale di 700 mila miliardi di lire, ma continua a soffrire di problemi enormi.
Il corso delle riforme in Russia, paese cinquanta volte più esteso e
otto volte più popolato, sarà inevitabilmente lungo e doloroso. Ormai è stato raggiunto
il punto di non ritorno, per cui nessuno può pensare di restaurare il sistema sovietico,
ma il cammino resta ancora difficile. Il passaggio al mercato di una società
militare-industriale come lUrss, in cui lindustria bellica aveva il primato
assoluto, è un esperimento mai realizzato prima, che presenta difficoltà immense. La
classe dirigente russa ha difetti molto evidenti, ma è insensato pensare che
lOccidente possa promuovere di sua iniziativa unélite migliore e diversa.
Bisogna aspettare un ricambio generazionale, che non può certo avvenire dalla sera alla
mattina.
Alcuni commentatori criticano severamente un passaggio al mercato
avvenuto in maniera troppo brusca.
Anche questo è un luogo comune, che non corrisponde alla realtà. In
Russia le imprese statali sono ancora molto numerose, circa il 35 per cento. E le aziende
cosiddette "privatizzate", oltre il 40 per cento del totale, in maggioranza sono
tali soltanto nominalmente, perché la proprietà appartiene ai collettivi dei lavoratori,
il che rende impossibile una gestione efficiente delle risorse. Ad esempio il problema
delleccedenza di manodopera non viene affrontato, per cui la disoccupazione resta
relativamente contenuta, ma le imprese continuano ad accumulare perdite enormi e finiscono
per non pagare gli stipendi ai loro dipendenti per lunghi periodi di tempo.
Torniamo alla crisi del Kosovo. Si dice che la via della pace può
passare per Mosca, grazie al rapporto privilegiato tra la Russia e la Serbia. Sono
speranze fondate?
Il conflitto è giunto a un tale livello di asprezza che non credo una
mediazione russa possa raggiungere grandi risultati. Mi riesce molto difficile immaginare
Milosevic come interlocutore della Nato, dopo tutto quello che è successo. Tuttavia, se
si arriverà allo schieramento di una forza internazionale di interposizione nel Kosovo,
credo che la Russia, magari insieme allUcraina, potrà dare un contributo
importante, partecipando alla missione con le sue truppe. Una consistente presenza
militare russa renderebbe molto più accettabile, dal punto di vista dei serbi, una
soluzione di compromesso. Va chiarito comunque che una simile spedizione dovrebbe essere
finanziata dallOccidente, perché Mosca non dispone dei mezzi necessari.
Si diceva prima delle scarse possibilità che ci sono di condizionare
le vicende interne russe. Ma allora non è stato un grave errore intromettersi in quelle
serbe, pensando di poter indurre Belgrado ad accettare lautonomia del Kosovo? Non ci
siamo infilati in una trappola ricorrendo alle armi?
Purtroppo Milosevic non ha lasciato altra scelta ai governi
occidentali. Già prima di rifiutare gli accordi di Rambouillet, il governo serbo aveva
ammassato le sue forze speciali nel Kosovo, con levidente intenzione di mutare la
composizione etnica della regione deportando in massa gli albanesi. Ciò sarebbe avvenuto
in ogni caso, anche se la Nato non fosse intervenuta. Iniziare i bombardamenti è stata
una decisione difficile, che implica grossi rischi, ma non si poteva fare altro. Anche i
tentativi della Russia di premere su Milosevic sono rimasti senza esito.
Ora bisogna sperare che la popolazione serba si renda conto al più
presto che la politica seguita dal governo attuale attira sul loro Paese soltanto
sofferenze e distruzioni. A questo servono gli attacchi aerei sulle infrastrutture
industriali. Se Milosevic verrà messo da parte, credo sia possibile arrivare a un
compromesso accettabile, che garantisca i diritti dei kosovari senza cedere alle
rivendicazioni estremistiche dei nazionalisti albanesi, che vorrebbero lindipendenza
della regione. Probabilmente bisognerà arrivare a un mandato europeo sul Kosovo, che si
accompagni a un piano di massicci aiuti economici per la ricostruzione della Serbia.
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