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Partito democratico o Partito socialdemocratico?

Michele Salvati

 

Lo scopo di questa discussione sarà raggiunto se le due opzioni strategiche saranno riconosciute come aventi pari dignità ed egual diritto di cittadinanza all’interno del partito. Oggi non è così: chi sostiene l’opzione PD è percepito come meno leale verso il partito (meno fedele, più tiepido, meno partigiano…) di chi sostiene l’opzione PSD. Si tratta di una percezione senza fondamento e per una ragione molto semplice: entrambe le opzioni (per quella PSD mi riferisco all’opzione ambiziosa, di partito "a vocazione maggioritaria" ) fanno riferimento ad prospettive molto lontane ed incerte, contro le quali si ergono nel breve periodo (cioè nel periodo per cui si possono fare calcoli e previsioni affidabili) ostacoli poderosi. Entrambe le opzioni hanno dunque un grado di realismo e un contenuto previsionale molto deboli. Ma anche opzioni con queste caratteristiche, anche stelle polari molto lontane, possono avere riflessi importanti sull’azione politica ed è per questo che ne discutiamo.

Un punto cruciale della discussione ha a che fare con il modello di sistema politico che assumiamo come punto di riferimento. Tra i DS tutti sembrano far riferimento ad un modello di democrazia dell’ alternanza, in cui valutazioni politiche condivise, leggi elettorali e modifiche costituzionali (auspicate) spingono verso l’aggregazione di due poli, di un centro-sinistra e di un centro-destra, possibilmente guidati da un candidato-premier annunciato agli elettori: chi vince governa e l’altro fa opposizione in attesa delle elezioni successive. E tutti sembrano ritenere preferibile una situazione in cui chi vince ha le risorse istituzionali per governare l’intera legislatura: nel caso di defezione di una parte della coalizione vincente si dovrebbe tornare davanti agli elettori. Questo punto è cruciale perché il modello appena esposto ha un peso ben diverso nelle due opzioni in discussione: fortissimo nell’opzione PD, assai minore in quella PSD, anche se al momento i sostenitori di questa opzione sembrano condividere quel modello. E’ infatti evidente che l’opzione PD si indebolisce molto al di fuori di un contesto bipolare: perché cercare una coalizione forte, una federazione, in prospettiva una fusione tra sinistra e centro, se questa non è richiesta da un contesto di competizione bipolare? Rimangono certo i motivi di programma su cui torneremo, ma, in assenza di una spinta derivante da quel contesto, essi probabilmente si infrangerebbero contro le ragioni di appartenenza di forze politiche orgogliose della propria tradizione e di ceti politici gelosi del proprio orticello. L’ opzione PSD sopravvive tranquillamente anche in un contesto non bipolare, soprattutto nella sua versione meno ambiziosa, quella che nel breve periodo rinuncia alla sua "vocazione maggioritaria".

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Ma veniamo agli ostacoli che si frappongono a entrambe le opzioni e le rendono "stelle polari" molto lontane. Quelli che si frappongono all’opzione PSD ambiziosa, di partito a vocazione maggioritaria, sono semplicemente dovuti al fatto che non si riesce ad immaginare un processo politico che conduca in tempi ragionevoli e attraverso passaggi prevedibili un partito del 21% a un partito del 35-40%: l’antica anomalia getta lunghe ombre sul presente e sembra assai difficile che un partito ex-comunista e neo-socialdemocratico possa sottrarre rapidamente elettori a partiti di grande tradizione e forte radicamento, o possa resistere a incursioni di forze nuove in un territorio in cui i DS continuano a muoversi a disagio. E questo proprio in un momento la stessa socialdemocrazia è in grave crisi di identità e sembra essere costretta, anche dov’è storicamente maggioritaria, a scelte molto drastiche per "tenere" il centro. A queste obiezioni si potrebbe rispondere che non ce l’ha ordinato il medico di essere ambiziosi e di sfondare verso il centro: quieto vivere, difesa della identità tradizionale, buoni rapporti con i "fratelli separati" alla nostra sinistra rendono del tutto legittimo un disegno di PSD senza ambizioni maggioritarie e che si coalizza in modo tradizionale con forze di centro per accedere al governo: è quello che stiamo facendo ora e che potremmo fare in qualsiasi contesto elettorale-istituzionale. Questa è una risposta debole, non tanto perché abbandona la "vocazione" maggioritaria, ma perché rischia di compromettere il bipolarismo e il processo di transizione istituzionale: anche se leggi elettorali idonee ci costringessero a coalizioni, esse potrebbero essere percepite come coalizioni tradizionali, in cui i partiti si ritengono liberi di disfare in parlamento ciò che gli elettori hanno deciso col loro voto.

Gli ostacoli che si frappongono all’opzione PD sono altrettanto evidenti. Al di là delle ragioni di merito e di programma che possono opporsi ad un disegno di federazione-fusione tra tutti i riformismi (in realtà assi diversi tra loro), resta il fatto che sono ben rare le esperienze di successo, nel nostro paese e altrove, di operazioni del genere. Queste riescono in momenti molto caldi (statu nascenti), e lo stesso UlivoUno non è stato caldo abbastanza. Oppure riescono per ragioni di dura necessità e dopo ripetute prove, ad esempio se passa una legge elettorale totalmente maggioritaria e a turno unico. Meglio ancora se necessità e "calore" congiungono i loro effetti: solo in queste condizioni, forse, possono sciogliersi i legami tenacissimi che tengono legate al loro interno le diverse culture (e soprattutto i diversi apparati) che dovrebbero federarsi-fondersi: comunque si tratterebbe di una avventura rischiosa e dagli esiti incerti, di una lunga marcia in cui una buona parte dei partenti rimane sul terreno.

Sembreremmo allora condannati ad un’alternativa poco entusiasmante: o abbandoniamo il bipolarismo , il premier di legislatura, lo stesso "spirito" della transizione; oppure, in nome di quello spirito, abbandoniamo il noto per l’ ignoto e ci lanciamo in una avventura precaria, in cui quel poco di cemento di appartenenza che fa dei DS il più grande partito italiano rischia di essere spazzato via, lasciando gli attivisti e i quadri frustrati e delusi. Di quest’ alternativa dobbiamo discutere per vedere se essa è veramente così netta come l’ho raffigurata. Intanto, credo, potremmo essere d’accordo con una prima conclusione: questa è una scelta strategica importante anche per le sue ripercussioni immediate e chi sostiene l’una o l’altra delle due opzioni deve avere piena legittimità e rispetto nel partito: nessuna delle due è "ovviamente" superiore all’altra.

6. Prima di lasciare spazio alla discussione, vediamo se l’alternativa è proprio così netta come è stata raffigurata, se non esistono terreni sui quali è possibile fare un pezzo di strada insieme: poi le cose possono cambiare e quella che ora appare come una "scelta tragica" potrebbe sciogliersi in passaggi molto più agevoli. I terreni in cui l’opzione PSD (quella ambiziosa, però) e l’opzione PD possono incontrarsi sono due, a mio modo di vedere: quello delle riforme elettorali e costituzionali e quello del programma.

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Se l’opzione PSD è interpretata in modo ambizioso, in un contesto di governo (e premier) di legislatura, allora ne discendono alcune conseguenze sul piano elettorale e delle riforme costituzionali sulle quali ci può essere un accordo di massima tra i sostenitori delle due opzioni. Sul piano elettorale entrambe sollecitano soluzioni che che assicurino la vittoria netta di una coalizione sull’altra e, quantomeno, la designazione del capo dell’ esecutivo (probabilmente ci sono dissensi di ordine inferiore: il turno unico costringe con più forza a federarsi e dà una visibilità minore ai partiti che non il doppio turno). Sul piano costituzionale entrambe prevedono un’ uscita dal parlamentarismo puro e norme che rendano impossibili o molto improbabili soluzioni parlamentari di una crisi di governo e favoriscano l’unicità del capo dell’esecutivo per tutta la legislatura.

Sul piano programmatico un’ opzione PSD ambiziosa conduce a problemi e a soluzioni non molto diverse dall’opzione PD. Che l’obiettivo sia quello di conquistare gli elettori che ora votano per i partiti di centro (opzione PSD, ovvero "beat them" ) oppure quello di federarsi-fondersi con questi (opzione PD, ovvero "join them"), comunque il programma del partito o della coalizione va curvato in modo da essere appetibile per quegli elettori e di raggiungere uno scopo maggioritario. Aggiungo che c’è una sostanziale equivalenza anche con il programma effettivo di governo di una tradizionale coalizione di centro-sinistra. Le differenze, importanti, sono che tale programma effettivo sarà di solito meno coerente, frutto di spinte e ricatti nel corso dell’esperienza di governo; e che però i vari partiti potranno salvarsi l’anima e imputare le discrepanze tra l’azione di governo e i loro programmi identitari alla necessità di tenere in vita la coalizione ("la colpa è degli altri" ). Questo modo di presentare gli obiettivi programmatici di un PSD a vocazione maggioritaria e del PD è piuttosto grezzo e certamente sottovaluta il fascino di adattare un programma di "terza via" alla situazione italiana: è facile fare programmi identitari vecchi: il difficile, ma anche il bello, è spremere quanto più è possibile di sinistra da un messaggio potenzialmente maggioritario nell’attuale situazione economica e sociale. Ma di questo discuteremo un’altra volta.

Confesso alla fine di aver usato l’opzione PSD "versione forte" come un espediente retorico e come espressione di preferenza personale: se fosse possibile, questa sarebbe l’opzione che preferirei. Ma non è possibile e temo che quella versione possa essere usata come un pretesto per far digerire la ben più realistica "versione debole". Il contrasto vero è, da un lato, tra coloro che scommettono fortemente su un bipolarismo composto da due poli ragionevolmente omogenei al loro interno -anzi, su coalizioni-federazioni con un’"anima"-, dunque su un passo indietro dei partiti, su riforme elettorali e costituzionali che assicurino un governo e un capo dell’esecutivo di legislatura; e, dall’altro, coloro che credono nei partiti come sono ora, su coalizioni tradizionali, su una minore urgenza di una riforma del regime parlamentare puro. Come ho già detto, quest’ultima è una posizione dignitosa, meno lacerante per i partiti, sicuramente più realistica per l’ immediato futuro, forse anche più saggia per quello più lontano. Basta sapere di che cosa si discute.

 

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