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Due vie (forse tre) per la sinistra. E' ora di scegliere

Forum con Bogi, Buffo, Cafagna, Coen, Mancina, Mussi, Petruccioli, Salvati a cura di Tommaso Debenedetti

 

RESET - Lo scopo del nostro incontro è quello di discutere sui possibili cammini della sinistra, affrontando un tema che viene spesso evitato, lasciato sullo sfondo, ma che agisce nelle posizioni dei protagonisti politici della sinistra italiana e che li divide in modo piuttosto serio. Noi vorremmo rendere esplicito quello che quasi sempre rimane implicito. Allora: le opzioni proposte nel testo di Salvati, per semplificare brutalmente, ma spero efficacemente, sono una "via socialdemocratica", a sua volta suddivisibile in una via "socialdemocratica ambiziosa", che punta cioè ad ottenere una quota di consenso attorno al 30 per cento dei voti e oltre, una "socialdemocratica realistica", che prende atto della realtà attuale e mira dunque ad aggregazioni tra le formazioni disponibili (i Ds intorno al 20%, i Verdi, i Popolari, l’Asinello etc.) e una terza, detta del "Partito Democratico", che riprenda le caratteristiche della coalizione che ha vinto le elezioni del 1996 e le sviluppi in una forma organica che assuma la stabilita di una nuova formazione. Quale via vi appare più convincente?

SALVATI: Al testo che vi ho presentato voglio aggiungere soltanto che questa discussione è più che mai necessaria, perché purtroppo oggi nel Partito dei democratici di sinistra viviamo una forte conflittualità. Essa è assai maggiore adesso rispetto a quando, nel passato, si viveva la contrapposizione fra riformisti e massimalisti. Ora siamo tutti riformisti, eppure le divisioni giungono fino all’acrimonia. Vorrei che questo dibattito portasse ad una chiarificazione....

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CAFAGNA- Lo dico subito. Sono a favore della prospettiva socialdemocratica cosiddetta "ambiziosa". E’ indispensabile collegarsi, in Italia, alla tradizione socialista, perché nel nostro paese esiste e resiste una forte presenza di sinistra. E’ indispensabile compattare tutte le forze di sinistra. Quanto alla prospettiva "democratica", la nascita del "partitino" di Prodi mi pare che dimostri quale sia il segno della volontà da parte dei democratici di lavorare per proprio conto alle prospettive di innovazione.

PETRUCCIOLI- I partiti nascono dall’intreccio di due fattori: cioè un’idea di società ed un assetto del mondo. Da tale intreccio nacque il Pci. Oggi tali fattori hanno subito una radicale modificazione. Pertanto, la pretesa di identificare i partiti con la loro tradizione storica è non solo anacronistica ed errata, ma destinata al fallimento. E questo, anche nei Ds, non viene compreso abbastanza. La guerra nei Balcani fa capire quanto sia inconcludente richiamarsi al passato: tutti gli schieramenti, le strategie politiche, vengono infatti ridisegnati in modo nuovo. E allora, adesso più che mai si può affermare che chi considera la politica come continuità con i vecchi partiti è su un binario morto. Giorni fa ho assistito a un dibattito dei cossuttiani. Ad un certo punto Gian Maria Cazzaniga ha posto un problema centrale: se quel partito si fondi oggi sul riferimento marxiano al lavoro salariato, o se invece possa definirsi come partito dei cittadini di sinistra. Ecco il punto, non solo per i cossuttiani. Il vero salto da fare oggi, per i Ds, è questo: diventare il partito dei cittadini di sinistra. Tale partito deve avere un punto basilare: dare un senso ai diritti. Ciò segna il discrimine decisivo con la destra: la destra, infatti, tenderà ad escludere, la sinistra a includere e a costruire il maggior numero di scelte possibili per il maggior numero possibile di individui. Se partiamo da tale idea, allora le differenze interne alla sinistra si riveleranno esclusivamente relative alle tradizioni culturali. A questo punto, mi pare essenziale dire quali caratteristiche si richiedano a tale partito. Sappiamo tutti come il vecchio Pci unificava tutti i livelli (rappresentanza, identificazione, decisione) nel rapporto individuo-partito. Tale unificazione è oggi impossibile, ed è anche pericolosa, perché rinvia ad una leadership carismatica, non dissimile da quella temuta da Weber all’epoca della Repubblica di Weimar. Ed è ben noto cosa è accaduto dopo Weimar…

MUSSI – Ho letto con attenzione il testo di Salvati ed ho ascoltato le parole con le quali ha aperto questo dibattito. Salvati si è chiesto poco fa come sia possibile che oggi, quando tutti siamo riformisti, ci sia più conflittualità interna di quanta ve ne fosse all’epoca della contrapposizione fra riformisti e massimalisti. Non mi stupirei troppo di questo: un tempo, infatti, le contrapposizioni erano accese, ma all’interno di un sistema istituzionale ed elettorale dato, all’interno cioè di un quadro stabile. Oggi no, perché dobbiamo scegliere il sistema. Detto questo, la proposta di Salvati mi sembra stimolante, come lo fu, nei primi mesi del 1989, la sua idea di cambiare nome al Partito, ben prima della caduta del Muro. Posso tranquillamente affermare che la costituzione di un partito socialdemocratico a vocazione maggioritaria in Italia non è possibile, per il semplice fatto che gli italiani non lo voterebbero mai. Basti pensare ad un dato inconfutabile: il nostro Paese è l’unico Stato d’Europa in cui la sinistra, sin dal 1912, non è mai stata maggioranza (solo nel 1976 raggiunse il 45 % ma era divisa). Nonostante tutti i nostri sforzi, credo che non lo diventerà ancora per lungo tempo, specialmente a causa di quella vera e propria "maledizione" che grava sui DS, una maledizione che deriva dal fatto che noi proveniamo da un ceppo che fu comunista (e lo fu pienamente!) fino al 1991! Si tratta di un retaggio gravissimo. L’ultima occasione utile per uscirne prima sarebbe stata quando Berlinguer parlò di "fine della spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre". Eravamo agli inizi degli anni ottanta ma, se ricordate bene, la sua azione riformista venne immediatamente bloccata dall’apparato dirigente del Pci. Risultato? Ancora oggi noi paghiamo le conseguenze di quell’occasione perduta! Ricordiamoci che il Pci era un partito nel quale, fino a tutti gli anni ’70, il ricambio dei dirigenti avveniva solo se moriva qualcuno...Va poi sottolineato un altro fattore che renderebbe di fatto impossibile la conquista della maggioranza: la politica di Craxi ha portato tutta un’area della sinistra (quella del Psi) verso il centro-destra, e tale spostamento purtroppo si è rivelato irreversibile.

E’ per questo che considero il Partito socialdemocratico, l’opzione "ambiziosa", un progetto a venire, una cosa da tenere all’orizzonte, una prospettiva importante ma ancora lontana. Una prospettiva che, perseguita oggi, sarebbe puramente velleitaria, quindi inutile. Cosa fare, allora? Sicuramente lavorare sull’Ulivo attraverso una strategia graduale di integrazione progressiva, attraverso la formazione di quelle che Salvati chiama "federazioni con l’anima", federazioni che si riconoscono nel progetto, nel programma e nella simbologia. Naturalmente sono pienamente d’accordo con quello che ha detto Petruccioli, l’idea cioè di un partito dei cittadini di sinistra. A patto che si precisi che tali cittadini non sono angeli, ma persone con i loro valori e i loro interessi da tutelare; valori e interessi che devono necessariamente essere compatibili con una prospettiva di sinistra. Naturalmente di una sinistra nuova, moderna, attuale. Pensiamo alla guerra, ad esempio: un elemento davvero trasformatore, che fa comprendere quanto il tema dei diritti sia la questione fondamentale e caratteristica – lo ha sottolineato recentemente anche Veltroni - della sinistra. Ma oggi, come dimostra la missione della Nato in Serbia, per sostenere tali diritti bisogna lottare. Dunque non si pensi che proponiamo solo valori di pacificazione. La realtà ci obbliga a proporre anche valori di lotta. Ciò detto resta da analizzare un punto cruciale: quello delle coalizioni. La loro identità, e la loro forza, viene determinata dalla situazione politica contingente. Situazione oggi molto critica e vacillante. Per esempio, c’è il grande problema dei Democratici di Prodi, bisogna vedere se diventeranno un partito...

CAFAGNA –Lo sono già!

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MUSSI- Non mi pare, direi piuttosto che sono una formazione o, se si vuole, una sorta di partito allo stato nascente. Occorre vedere se dopo il 13 Giugno si stabilizzeranno. Abbiamo anche il problema dei Popolari, con i quali il contenzioso si va allargando: potrebbe accadere che, con l’elezione del Capo dello Stato, si verifichi un ulteriore strappo. C’è poi la questione dei Verdi, che si vanno sempre più arroccando in una mediocre nicchia politica. E ancora, ci chiediamo dove andranno ad assestarsi tutte le altre formazioni di centro. Infine, non dobbiamo dimenticare il grande tema della sinistra radicale, che in Italia pesa, e molto!

COEN –Infatti dopo la crisi del Kosovo l’estrema Sinistra prenderà molti più voti!

MUSSI- Siamo in una fase difficilissima, in cui può darsi che i Ds avranno una risalita, ma è anche possibile, e bisogna metterlo in conto, un arretramento di qualche punto rispetto ai risultati che ci attendiamo.

MANCINA- Vorrei fare un’osservazione di fondo in merito al testo di Salvati. Mi pare che non sia accettabile l’idea che partito democratico e partito socialdemocratico siano opzioni strategiche contrapposte. Sono pienamente d’accordo con Mussi su un punto: costruire in Italia un grande partito socialdemocratico a vocazione maggioritaria oggi non è possibile. Non solo perché non raggiungerà mai il 35 % dei voti, ma anche per una questione di cultura politica. Voglio dire con chiarezza che se la sinistra non è mai stata maggioritaria, ciò lo si deve anche ai molti difetti soggettivi di ogni sua singola componente, Pci compreso. Se negli anni Settanta la sinistra fosse stata, ad esempio, capace di unirsi adottando una prospettiva non proporzionalista, sarebbe potuta divenire maggioranza! Non bisogna tuttavia rinunciare all’idea di un partito della sinistra. Il vero quesito, tuttavia, non è se esso debba essere o no socialdemocratico o democratico, bensì se esso debba avere alla base i DS o la coalizione. La situazione italiana ed europea di oggi ci dice a chiare lettere che occorre partire dalla coalizione. Ma ciò pone alcuni problemi. Il primo riguarda quello che io chiamo un deficit di egemonia: non siamo stati capaci di caratterizzare in senso socialdemocratico il nostro partito e per questo ci siamo fortemente indeboliti. E’ chiaro ed evidente, a tale proposito, che dopo il 13 Giugno non sarà più possibile riproporre l’Ulivo come è stato fino ad oggi perché le forze vincitrici delle elezioni del ’96 avranno, dopo le Europee, pesi diversi. Bisogna dunque andare oltre l’Ulivo, creare qualcosa di più rispetto alla coalizione di tre anni fa. Non dobbiamo, insomma, rinnegare il nostro passato recente, ma dobbiamo alzare la posta.

Quanto al tipo di partito che auspicherei, ha ragione Petruccioli: il partito dei cittadini di sinistra è un buon punto di partenza sul quale lavorare, e ritengo giusto che esso si basi sul principio del dar senso ai diritti, sul principio dell’inclusione come elemento discriminante rispetto alla destra. Il che, a mio avviso, è pensabile solo avendo alla base una logica di coalizione. Resta il problema se questa coalizione debba avere o meno al suo interno la sinistra radicale. Personalmente la vorrei nella coalizione, ma non prima di aver chiarito diversi punti sui quali gli attriti sono stati, e restano, notevoli.

 

COEN- A me pare assai utile, anzitutto, che si scelga una delle opzioni proposte da Salvati, e che su di essa si lavori seriamente, altrimenti la politica dei DS è e resterà bloccata. Ritengo che rinunciare alla soggettività socialista significhi mettere fra parentesi il legame con la socialdemocrazia europea (e la guerra del Kosovo mostra quanto esso sia stato decisiva per la coesione tra i leaders), e con l’Internazionale socialista. Ciò sarebbe una sciagura. Dico questo anche tenendo conto della realtà politica italiana di oggi. Con i Popolari il dissenso ormai è molto forte, e su questioni non da poco che vanno dalla bioetica alla scuola. I Democratici di Prodi hanno la pretesa di liquidare i partiti e, se prendessero molti voti, ci sarebbe il rischio di una deriva personalistica della politica, una deriva fatta da magistrati-star, mezzibusti della tv e sindaci più o meno fotogenici. Un risultato di questo tipo farebbe assomigliare l’Italia al Sudamerica più che agli Stati Uniti. E’ illusorio, peraltro, il progetto dei Democratici di porre fine alla frammentazione e alla crescita smisurata del numero dei partiti, attraverso operazioni di vertice, senza consultare gli elettori. C’è poi un dato fondamentale che mi spinge verso l’opzione socialista: il fatto che nella politica italiana, e solo in quella italiana, ci sia una presenza cattolica-clericale che rende difficile, se non impossibile, l’aggregazione con il centro. Per attuare una prospettiva socialista occorre innanzi tutto una grande riforma presidenzialista. E non mi dispiacerebbe una riforma elettorale con uno sbarramento al 5% come avviene ad esempio in Germania.

 

MUSSI- Ma se in sede di discussione stava per scoppiare la crisi di governo perfino sullo sbarramento all’1 per cento! Il problema è che la colpa della frammentazione è anche nostra. Siamo noi i primi a favorire, o comunque a non frenare, il moltiplicarsi di partiti e partitini...

 

BOGI- Lo schema proposto da Salvati è intelligentemente provocatorio. Non si può dire "partito socialdemocratico a vocazione maggioritaria", perché un partito, se è socialdemocratico, non può non avere vocazione maggioritaria. Non è possibile la trasformazione della coalizione in partito, se non altro perché in questa coalizione c’è un unico partito ideologico, il Ppi, che costituisce di fatto un elemento di forte incomunicabilità. Inoltre, l’idea di unità della sinistra contiene in sé un obbligo alla coalizione: ma ciò significa per noi dover venire a patti con altre forze, il che bloccherebbe lo sviluppo dei DS. Dobbiamo dunque puntare ad un partito della sinistra capace di diventare maggioritario. Per farlo, esso deve contare su una riforma istituzionale ed elettorale che gli garantisca di esercitare la leadership. Già dalla sua origine, il Pds ha scelto una logica di coalizione, e ciò non è stato insensato, se non altro perché altrimenti oggi non sarebbe al governo . Ma questo, sia chiaro, non può durare a lungo: allora dico a Claudia Mancina che non bisogna partire dalla coalizione, ma da un partito della sinistra che oggi è temporaneamente costretto alla coalizione. Nella proposta di Salvati, scelgo dunque il partito socialdemocratico a vocazione maggioritaria, anche se ho qualche problema a definirlo socialdemocratico, perché tale termine implica la coalizione. Per quanto riguarda i rapporti con le altre forze, dovremmo cercare di rafforzare, rinnovandoli, il dialogo con la sinistra radicale, non certo con i cattolici. Anzi, se devo essere chiaro, privilegiare il dialogo con il centro cattolico è stato il grande limite dell’Ulivo. Guai, insomma, a pensare ad una grande sinistra che deleghi ad altri la rappresentanza degli interessi di centro. Possiamo e dobbiamo farlo da soli!

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BUFFO- A mio parere è illusoria la distinzione di Salvati tra opzione socialdemocratica e opzione democratica. Oggi esiste un partito che si dice socialdemocratico ma che si muove alla "democratica"; ad esempio sentendosi continuamente in dovere di dare prove di lealtà filo-occidentale. E non è tipica di un partito "democratico" la posizione tenuta dai Ds riguardo all’uninominale e al referendum? A favore dell’opzione "partito democratico" mi pare abbia lavorato, in questi anni, anche il modo di gestire la coalizione dell’Ulivo, restata ferma in un arroccamento verticistico, mai fertilizzata dal basso e comunque rimasta sempre una coalizione di partiti e niente altro. Tale situazione, non poteva durare a lungo. La mia scelta va quindi verso un partito di sinistra che corregga i processi di globalizzazione e che rifugga da una lettura ottimistica dell’89 come inizio del nuovo ordine mondiale. Dobbiamo aggregare sempre più e sempre meglio quel mondo democratico e di sinistra che è la forza essenziale per avere una maggioranza. Ma un partito che si etichetti come socialdemocratico è destinato a perdere, a meno che non si federi con quello che definirei un neo-socialdemocratismo: una sinistra più libera e meno d’ordine, con un riferimento keynesiano in campo economico, accompagnato da una cultura dei diritti e delle libertà più forte di quella oggi presente nei Ds. Infine, esiste un dato su cui riflettere: cioè la perdita, nei Ds, del collante che aveva sempre tenuto saldato il corpo del partito alla sua dirigenza, e che magari faceva votare per il Pci anche quando non si condividevano del tutto le scelte del segretario. A me pare che il termine di partito dei cittadini di sinistra sia troppo generico. Occorre invece che nei Ds prevalga un senso federativo simile a quello che stanno sviluppando i Democratici e che è, a mio avviso, l’ingrediente indispensabile per vincere. Allo stato attuale, comunque, credo che le coalizioni siano più che necessarie. Ignorarne l’importanza strategica ci porterebbe al fallimento.

CAFAGNA- Occorre, in Italia, ridurre il massimalismo a dimensioni europee, prendere esempio da Togliatti e dal suo capolavoro che fu la ‘internalizzazione’ del massimalismo. E, accanto a ciò, bisogna mantenere un vero rapporto con la tradizione, tornare a discutere. Perché se non ci si ancora alla tradizione socialista e non si mantiene l’unità della sinistra, si rischia di perdere davvero la partita. Questa è la sfida che i DS devono affrontare!

MUSSI- Condivido l’idea che bisogna, in qualche modo, risolvere il problema del massimalismo, ridurlo a proporzioni simili a quelle presenti in paesi europei come l’Inghilterra. Del resto proprio da un rapporto non risolto con il massimalismo è venuta la fine del governo Prodi e molti sono i rischi anche per l’esecutivo di D’Alema.

MANCINA- A patto che la risoluzione del problema del massimalismo, la internalizzazione di esso, non ci trasformi in un partito mono-culturale e non ci chiuda al dialogo con altre forze...

MUSSI- Vorrei anche dire che sono d’accordo con Claudia Mancina sui difetti soggettivi presenti nel Pci, ma si tenga presente che il problema essenziale del Pci fu quello dell’identità, e la svolta lo ha pienamente risolto.

RESET- Colpisce particolarmente l’affermazione di Claudia Mancina secondo la quale, dopo il 13 Giugno, l’Ulivo non sarà più proponibile…

MANCINA- Preciso quanto ho detto. Sarebbe un errore, dopo le Europee, riproporre la stessa coalizione che ha vinto le elezioni del ‘96. Occorre andare oltre l’Ulivo, allargarlo.

MUSSI - Dopo le Europee il quadro sarà assai diverso da quello uscito dalle elezioni del ’96. E il problema della natura della coalizione si porrà in tutti i suoi termini. Veltroni, di recente, ha proposto una nuova costituente dell’Ulivo. La si chiami come si vuole: di fatto occorrerà stabilizzare una coalizione democratica e di sinistra. E, insieme, bisogna sempre più rafforzare il carattere della sinistra di governo.

COEN- Però il partito non può vivere solo di governo, come fece il Psi di Craxi, altrimenti perde il contatto con la società. Per quanto riguarda la situazione dopo le Europee, è fuori di dubbio che, se si andrà alle elezioni sommessamente, dicendo magari che votare i Democratici di Prodi non è poi una follia, si perderà. E se si perderà potranno avvenire due cose: o l’avvilimento e la rassegnazione, oppure, da parte dei Ds, un soprassalto di orgoglio per la propria identità che faccia riprendere il dialogo con la sinistra radicale.

MUSSI- Non preoccuparti, non faremo una campagna elettorale sommessa, ma, anzi, combatteremo con le unghie e con i denti!

BOGI- Spero che dopo il 13 Giugno l’equilibrio quantitativo di tutti i partiti, eccetto il nostro, sia turbato. Mi auguro, insomma, che l’Asinello non abbia buoni risultati. Si potrebbe allora davvero mettere in moto un ripensamento dell’Ulivo verso quella che Salvati definisce una "federazione con l’anima".

BUFFO- Dopo il 13 Giugno, è essenziale che si abbia una coalizione che sappia stare insieme sia per governare sia, eventualmente, per fare opposizione. Ai Ds occorre un’altra marcia, e per avere l’altra marcia è indispensabile il dialogo con l’estrema sinistra. Ci saranno delle difficoltà, ma bisogna provarci, altrimenti vuol dire che non si ha abbastanza fiducia nel bipolarismo!"

 

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