Una letteratura senza speranza
Tina Cosmai
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Segnalazione/Ieri ad Albachiara
“Ho sempre scritto per me stessa, senza pensare agli editori e ai
lettori. Era una necessità, un modo per interessarmi alla vita,
anche se certo non è stato facile riportare alla luce i ricordi
spiacevoli del passato. Oggi non riesco più a leggere i miei libri,
mi fanno troppo male. Forse perché assomiglio troppo alla mia
scrittura secca, negativa, senza speranza”

Sì, il percorso letterario di Agota Kristof, è contrassegnato da
uno spiccato senso della tragedia. Non v’è drammaticità nei suoi
scritti, ma soluzioni estreme che conducono i suoi personaggi verso
una morte spirituale, la non speranza appunto.
Nata in Ungheria, la Kristof abbandonò il suo Paese nel 1956
attraversando la frontiera tra l’Ungheria e l’Austria
clandestinamente, con il marito e la figlia. Aveva soltanto ventun
anni. Si stabilì in Svizzera dove lavorò in una fabbrica di
orologi, e dove più tardi cominciò a scrivere, usando la lingua
francese.
Il suo è uno stile estremamente sobrio, che però non censura il
pathos delle sue storie terribili, popolate da tabù quali l’incesto,
la pedofilia, l’omosessualità, il masochismo, il sadismo.
Eppure, anche in quest’immensa tragicità, la bellezza della
letteratura trova la sua manifestazione e diviene l’unico canale
di rimembranza di un dolore immenso, quello subito durante l’infanzia,
l’adolescenza, un dolore che è percepito nella sua verità
ambivalente: amore/odio, vita/morte, tenerezza/crudeltà.
E’ ciò che accade nella Trilogia della città di K., l’opera
che ha reso celebre la Kristof negli anni Ottanta, in La chiave
dell’ascensore, L’ora grigia e Ieri, il suo
ultimo romanzo, tutti editi da Einaudi. La chiave dell’ascensore
e L’ora grigia sono testi teatrali, ma anche i romanzi
recano un’impronta di essenzialità: frasi brevi, dialoghi
sintetici, uso minimo di aggettivi.
Nella Trilogia, i protagonisti Klaus e Lucas sono due
gemelli, forse la stessa persona, oppure due visioni di una stessa
esistenza, ma ciò che emerge con forza è il distacco che questi
due piccoli personaggi vivono nei confronti della loro realtà
emozionale. Un distacco necessario forse, considerate le violenze
morali e fisiche che i due subiscono.
In un Paese dell’Est dell’Europa, durante e dopo il secondo
conflitto mondiale, la guerra, la fame, la miseria morale e
spirituale, il totalitarismo, avvolgono le esistenze di Klaus e
Lucas che scrivono della loro vita su un “Grande Quaderno”.
Annotazioni di verità false e di menzogne, il tutto per celare
quell’unica realtà, quella vera, che ha reso infelici le loro
esistenze: l’omicidio del proprio padre da parte della madre.

Da bambini i gemelli vivono ogni tipo di esperienza perversa;
vengono usati dagli adulti per vivere piaceri intensi e pregenitali.
Esperienze sessuali alle quali essi reagiscono con freddezza, con
crudeltà :
Sotto di noi, tra le gambe dell’ufficiale, sentiamo un movimento
caldo…Ci respinge dolcemente, ci scompiglia i capelli, si alza. Ci
porge due frustini e si corica sul letto a pancia in giù. Dice una
sola parola che, anche senza conoscere la sua lingua, comprendiamo.
Colpiamo. Una volta uno, una volta l’altro.
Il percorso letterario della Kristof mette in evidenza l’ambiguità
dolorosa di realtà perverse e dominanti, che scuotono le esistenze
di coloro che le vivono. Sandor, il protagonista di Ieri, ama
profondamente sua sorella e tenta di uccidere suo padre e sua madre.
Sono amori tormentati, carichi di rabbia, di possessività, che
sfociano inevitabilmente in lutto. Relazioni familiari lacerate da
desideri parricidi e matricidi, conseguenze di violenze subite. La
Kristof si fa portatrice di una verità sconvolgente, che è la
verità dell’efferatezza, della reazione crudele di chi è
maltrattato, ignorato, ucciso nella sua intimità personale.
Alla Kristof va il merito di aver fatto luce, spietatamente, sulle
relazioni schiavizzanti, dove i protagonisti delle storie vengono
piegati a bisogni maniacali. Ciò accade proprio nella descrizione
fredda e attenta di queste esistenze lacerate, di questi amori
incestuosi, di questi godimenti infantili. L’opera della Kristof
è uno spazio dove le relazioni primigenie vengono vissute e
descritte nella loro realtà conflittuale e perversa. E la
letteratura diviene il luogo d’espressione di questo universo
arcaico, inconscio, che emerge nella sua sconvolgente crudezza. E'
come una luce che permette di illuminare gli aspetti più reconditi
dei rapporti primari: genitori-figli, fratello-sorella.
Nell’epilogo delle sue storie non v’è elaborazione, speranza;
come nella tragedia greca, la colpa non è mai espiata ma vissuta
sino alla morte. Il sentimento della colpa si radica nella
personalità dei personaggi che perseverano nella loro morale
tragica.
Mi metto a letto e prima di addormentarmi parlo mentalmente a Lucas…
Gli dico che la vita è di un’inutilità totale, è non-senso,
sofferenza infinita, invenzione di un Non-Dio di una malvagità che
supera l’immaginazione.
Ecco alcuni link per saperne di più sull'autrice e sulle sue
opere:
Recensione
“ Trilogia della città di K.”
Recensione
“La chiave dell’ascensore”
Solothurner
Fimtage 1999 Kontinent K.
Recensione
“ Ieri” di Lalla Romano
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