Caffe' Europa
Attualita'



Confessioni di un dilettante



Michele Serra con Paola Casella




Ha appena pubblicato il suo settimo libro con Feltrinelli, e questa volta si tratta di una raccolta di poesie che hanno per bersaglio Berlusconi e la new economy, il nord leghista e le "maschere professionali". Canzoni politiche rischia di replicare l'exploit di Poetastro. Poesie per incartare l'insalata, la raccolta di versi pubblicata nel '93 che ha superato le ventimila copie di vendita.

Michele Serra, classe '54, giornalista, critico musicale, autore televisivo e teatrale (nonché prossimamente cinematografico) e persino librettista d'opera, si ritiene un amateur professionista, uno che "cede ancora alle tentazioni della sosta" e che rimane dalla parte degli "scopritori di misura" e dei "portatori di gentilezza".


Perché ha scritto Canzoni politiche?


Dai tempi di Tango ho intrapreso la strana attività di "poeta da giornale", sia sugli inserti satirici che, dopo, su la Repubblica. Scrivo in versi nel luogo più prosaico, cioé il quotidiano. Mi ha sempre profondamente divertito - e anche un pochino emozionato - il contrasto tra una forma così aulica, alta ed emotiva come la poesia e l'informazione, che della poesia è un po' il contrario. Dai tempi di Poetastro, mi sono ritrovato nel computer una bella mole di versi editi e inediti e ho proposto a Feltrinelli di farne una piccola raccolta. Così è nato Canzoni politiche.

Recentemente un nostro lettore (http://www.caffeeuropa.it/attualita/104lettera-carlotto.html) osservava che la satira in Italia è andata scomparendo dai tempi di Cuore e di Tango.

Più che scomparire, la satira è stata assorbita dall'informazione. Non c'è quotidiano che, in prima pagina ma anche all'interno, non pubblichi una gran quantità di vignette. Non ci sono più i giornali satirici, questo sì. E' finita la stagione, forse perché stiamo attraversando una fase individualista in cui ognuno è una monade nel suo mondo. Non esiste più quello che i francesi chiamano il milieu, cioé l'ambiente in cui si fondono particolari sensibilità dalle quali poi scaturisce qualcosa che fa da "volano". La pluralità di voci messe insieme, anche per quanto riguarda la satira - e in questo sono d'accordo col vostro lettore - è più potente. La "satira" infatti era un piatto latino, il corrispettivo del nostro minestrone, e il minestrone è tanto più saporito quanti più ingredienti lo compongono. Il giornale di satira riflette dunque questa origine etimologica.

Lei si considera ancora un autore satirico?

Non ne sono sicuro. In Canzoni politiche ci sono poesie che non sono affatto satiriche. Quella su Berlusconi, ad esempio, che conclude la raccolta, nelle intenzioni è un'ode civile, magari anche un po' pomposa, tant'è vero che quando è uscita per la prima volta su Cuore si chiamava proprio Carme pomposo. Il mio intento nello scriverla era proprio quello del moralista civile.

In quell'ode si legge un riferimento all'individualismo del quale parlava prima: "Il paradosso, Gran Capo della Destra,/è che dalla tua oggi stanno le masse/e dalla nostra gli ultimi individualisti".

Sono i due versi più importanti del libro. Stiamo vivendo un momento in cui tutto è frantumato, il che non vuol dire che sia necessariamente moribondo o prono rispetto a quello che succede. I fermenti esistono, ma sono scollegati, sfilacciati. Ci sono una serie di percorsi individuali che forse si ritroveranno da qualche parte, chissà.

E' una questione generazionale?

E' anche una questione di età: tutti gli autori di satira italiana importanti sono ormai sulla cinquantina e oltre, è mancato totalmente un ricambio. I milieu dei quali parlavamo prima sono fondamentali come "brodo di cultura" dal quale far nascere le idee e le iniziative nuove, e le generazioni che sono venute dopo di noi sono state molto svantaggiate dall'assenza di questo tipo di contesto. Noi avevamo i nostri giornali, i nostri movimenti. Loro invece hanno avuto pochissimi luoghi e momenti che facessero da catalizzatore delle energie individuali.

Qual è stato per voi il milieu di partenza?

Sicuramente la politica, anche se ha costretto tutti noi a pagare grandi prezzi, per via degli svarioni ideologici, della mancanza di elasticità di giudizio. Ma l'ideologia politica è come il latino: sembra che non serva a niente, e invece ti dà un metodo, ti insegna a ragionare. Anche se poi ti accorgi che i ragionamenti erano sbagliati, anche se essere sistematico ti costringe inevitabilmente a diventare schematico, lo sforzo di ragionare metodologicamente sul mondo è sempre formativo. Avere in comune una visione del mondo, un certo spirito, aiuta, ti dà una disciplina, ti serve per riconoscere, vent'anni dopo, uno che magari fa il general manager di qualche azienda, ma che nel fondo ha la tua stessa formazione.

Chi di noi è diventato autore di satira, ma anche scrittore o poeta, quasi sempre è partito da un'esperienza politica comune. Adesso invece è come se esistesse una via professionale alle cose. Uno dice: "Da grande farò l'autore di satira". Ma non è così che funziona. Prima devono succederti un certo numero di cose nella vita, che è l'unico humus possibile della comunicazione. Un tempo capitava di fare tutta una serie di mestieri - il cuoco, il direttore d'albergo, magari perfino l'astronauta - prima di arrivare a scrivere satira.

E' il concetto di Henry David Thoreau che lei cita, sempre in  A proposito della malattia del cittadino Berlusconi, descrivendolo come "scrittore, poeta, carpentiere, imbianchino/nonché praticante emerito di altri numerosi mestieri/per un totale di dieci, da lui descritti/con ironico orgoglio in una lettera a un amico/in segno di dispregio per la "professionalità"/che già allora trasformava gli uomini in maschere".

Esatto. Adesso questo iter si è rovesciato, in virtù di una specie di abbaglio sociale secondo il quale tutto è raggiungibile ed esprimibile per via tecnico-professionale.. Ricordo che a Cuore c'erano ragazzini che disegnavano benissimo, non potevi non riconoscere il loro talento tecnico, e anche una maggiore serietà e applicazione di quella che avevamo noi quando abbiamo iniziato. Noi invece eravamo dilettanti, amateur, come dicono i francesi. Eppure siamo riusciti a fare satira in modo efficace. Credo che un vero ricambio in campo satirico, e in generale in campo artistico e intellettuale, verrà fuori quando avverranno cambiamenti nella società che lo faranno scaturire.


Forse Internet potrà creare un brodo, se non di cultura, almeno di stimoli.

Me lo auguro, ma per adesso mi sembra che la fruizione della Rete sia ancora molto individuale, non condivido l'intuizione pionieristica di Internet come agorà globale. Mi pare invece un insieme sterminato di individui non so quanto collegati fra loro. E invece il linguaggio individuale si modifica, cresce, si arricchisce attraverso i conflitti e i confronti diretti, il contatto, la contiguità. Non siamo mica tutti Giovanni Soldini, il navigatore in grado di percorrere gli oceani in perfetta solitudine. L'uomo è un animale sociale. Anche se vivo per conto mio, sopra un cocuzzolo, sento spesso il bisogno di scendere in città, di urbanizzarmi, e sono felice di incontrare la gente.

I lettori di Caffè Europa ci considerano un luogo d'incontro all'interno del vasto universo di Internet.

Questo depone a vostro favore. Ma continuo a pensare che il caffè sia un ambiente molto poco virtuale che ha bisogno dei suoi odori - o anche delle sue puzze - dei suoi rumori, delle stecche da biliardo. L'idea di un unico caffè globale dove si ritrovano tutti i cittadini del mondo, da Melbourne a Canberra, da Joannesburg a Rieti, mi sembra un gigantismo e perciò mi provoca una certa diffidenza, un senso di spaesamento. Io credo ancora che ci si dovrebbe ritrovare in piccoli gruppi e con una certa intensità, e che da questi incontri possano partire le modificazioni del proprio punto di vista individuale il quale, a meno che uno non sia clamorosamente narciso o clamorosamente geniale, è sempre fragile, e cresce nel cozzo con i punti di vista degli altri. Temo invece che il conflitto, in questo momento della storia, sia diventato così impalpabile , così sfuggente, che non si capisce più come siano divise le forze in campo, a volte non si riesce nemmeno ad afferrare quale sia il motivo del contendere.

Lei si è occupato spesso di musica: la satira e l'impegno politico sembrano in via di estinzione anche in quel campo.

Non è detto. Fra i giovani ci sono autori intelligenti che provano ancora a fare un discorso musicale politico: Daniele Silvestri, ad esempio, ma anche Pelù, Jovanotti e Ligabue. Non trovo che ci sia un disinteresse nei confronti del sociale, ma noto che si tratta sempre di episodi singolari, che perciò rischiano di esaurirsi proprio linguisticamente. Nel casino, nel minestrone, invece, si cresce insieme al gruppo di persone che si sono imbarcate con te. Fra i molti milieu della mia vita, uno dei più importanti è stato il Club Tenco, dove oltre a cantanti e musicisti ho conosciuto Andrea Pazienza, Sergio Staino, Roberto Benigni, David Riondino, Paolo Hendel. E' uno dei luoghi che mi hanno formato, attraverso l'amicizia ma anche il confronto eclettico dei linguaggi più differenti. C'era una grande messa in comune di esperienze e di materiali.

Recentemente ha scritto anche un libretto d'opera, La madre del mostro.

E' stata un'esperienza molto felice. Fabio Vacchi, che è un musicista italiano contemporaneo molto importante, mi ha chiesto di scrivere per lui questo libretto e io ho avuto l'impudenza di accettare. E' la storia melodrammatica della madre di un tifoso ultras che muore durante gli scontri allo stadio. E' una vicenda grottesca, e mi sono divertito molto a scriverla.

Si direbbe che la corda del grottesco le sia particolarmente affine.

E' vero, la sento parecchio mia, ma non mi sono mai fatto eccessivi problemi riguardo al rapporto fra comico e tragico. Da lettore, avverto sempre il tragico nel comico, così come spesso vedo la comicità nella tragedia. Il tragico non sempre riesce a contenere anche la leggerezza del comico. Ma il buon comico contiene sempre il tragico.

Opinionista, critico musicale, poeta, librettista, autore televisivo e teatrale (Serra ha recentemente adattato Il suicida per Luca De Filippo e scritto la sceneggiatura dello spettacolo Giù al Nord con Antonio Albanese, nda): qual è il nesso fra i suoi "dieci mestieri"?

Alla fine faccio una cosa sola: scrivo. Certo, adopero linguaggi differenti, ma in sostanza metto pur sempre in fila le parole. Perciò ritrovo una certa unitarietà in quello che faccio, anche se uso mezzi e luoghi profondamente diversi. Sono antispecialistico per cultura e per mentalità, e finché riesco a guadagnare soldi continuando a fare il dilettante, sono l'uomo più felice del mondo. Si tratta solo di adattare artigianalmente quello che so fare, come fa il falegname al quale un giorno chiedono un comodino, un altro una libreria.

Il prossimo comodino?

Un libro di racconti che sto scrivendo, molto faticosamente. Sto anche provando a sceneggiare un film con Antonio Albanese: speriamo di cavarcela anche questa volta. Infine sto preparando un lavoro per un altro musicista, Marco Tutino: si tratta di un melologo, cioé un racconto di parole in musica, su Peter Pan,per l'Arena di Verona.

Ma lei sa fare musica?

Canticchio, suonicchio la chitarra, le stesse cose che facevo venticinque anni fa.

Da dilettante, ovviamente.

E' un privilegio acquisito con sudore: perché non sembra, ma anche il dilettante fatica.


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