Fin qui sarebbe tutto normale: se
vuoi fare la riforma del commercio te la devi vedere con i commercianti, se vuoi riformare
le pensioni te la devi vedere con i pensionati e con i sindacati. Ma cè una
complicazione: i professori universitari sono anche istituzionalmente depositari del
sapere. Questo fa si che la discussione su una riforma universitaria produca
materiali di una difficolta senza pari. Gli accademici dominano tutti i discorsi e i
metadiscorsi su se medesimi. La quantita di profonde riflessioni, sottigliezze,
acudezas, sofisticherie messe in moto per sostenere o contrastare un argomento è
incommensurabile con i comuni parametri di altre categorie sociali.
Provate a cimentarvi con la questione del "tre piu due", ovvero con la
proposta di introdurre in Italia la cosiddetta "laurea breve" di tre anni,
seguita da biennio, e vedrete che al confronto labolizione delle pensioni di
anzianita è un gioco da ragazzi. Tutto lapparato sapienziale entra in
movimento e le difficolta di comprensione crescono al quadrato. Dopo di che,
crescono ancora, al cubo, quando nella controversia ci si vuole mettere una
contrapposizione politica tra professori di destra e di sinistra, come è avvenuto per
iniziativa di Angelo Panebianco, che ha avuto comunque il merito di provocare una vasta
discussione sulla riforma (su vari giornali, compreso questo, sono da ricordare gli
interventi di Guido Martinotti, Alessandro Figa Talamanca, il ministro Ortensio
Zecchino, Andrea Casalegno, Umberto Eco, Francesco Alberoni, Franco Rositi).
Ora, la lettura destra-sinistra, cosi spesso illuminante nelle grandi questioni
pubbliche, da in questo caso un contributo uguale a zero. È vero che, a ben vedere,
anche in questo campo si puo far valere una ispirazione piu o meno
egualitaria, piu o meno inegualitaria, ma in verita sulla formazione a livello
universitario nessuno difende, da una parte (e fortunatamente), il "diritto alla
laurea" per tutti, cosi come nessuno sconfessa, dallaltra (e anche qui
fortunatamente), la necessita di coltivare e valorizzare i talenti piu dotati.
Per cui un professore come Eco, notoriamente sinistrorso, è piu sensibile alle
sorti di quei ragazzi "il cui padre, per colpevole distrazione, non è diventato
miliardario", mentre il professor Giuseppe Bedeschi, sul "Giornale" ritiene
che per definizione se una proposta di riforma viene dal centrosinistra è inutile
"chiedere serieta".
Nonostante queste nuances, tuttavia, possiamo presumere una larga unanimita
intorno ai fatti: lItalia ha troppo pochi laureati (7% della popolazione, meno della
Grecia e della Spagna, e si laurea solo il 30% degli iscritti), ha troppi studenti
parcheggiati come fuori corso, tempi di adempimento degli studi fuori mercato, e ha uno
scarto insopportabile fra le esigenze delleconomia e il tipo di formazione erogato
dal sistema scolastico.
Da tutta la discussione seguita allarticolo di Panebianco sono venuti fuori molti
punti focali di grande importanza il rapporto tra laurea di primo e secondo
livello, il numero chiuso, il burocratismo delle strutture, la complessita dei
rapporti tra formazione di base in una disciplina e preparazione a uno sbocco
professionale piu rapido dellattuale laurea, lattuazione
dellautonomia degli atenei e la sperimentazione delle novita , ma per il
momento credo che si debba far davvero tesoro della decisiva considerazione svolta da
Casalegno sul "Sole-24Ore": "Un attacco generico alle riforme rischia oggi
di tradursi in sostegno allimmobilismo e alla storica tara delle politiche educative
in Italia: la prassi dei veti incrociati". Insomma, tanti deliziosi sofismi per non
farne nulla.
Evitiamo dunque di spaventarci e procediamo a esaminare un aspetto cruciale della
riforma che nessun governo, di destra o di sinistra, potrebbe evitare: quella che deve
istituire un livello di formazione intermedio tra il diploma di media superiore e
l'attuale laurea in quattro o cinque anni. Se seguiamo la via, suggerita
dallIstituto Universitario di Studi Superiori (diretto da Franco Rositi), e
dallUniversita di Pavia (rettore Roberto Schmid), che hanno riunito, nel clima
austero di una storica aula di anatomia, esperti e analisti europei dei sistemi accademici
(Felicitas Pflichter, Austria; Heinz Thoma, Germania; Jon Gubbay, Inghilterra; Jean
Dhombres, Francia; gli italiani Alessandro Cavalli, Guido Martinotti, Giorgio Cusatelli)
scopriamo alcune cose e un principio guida per orientarci nella rissa.
La prima è che i dolori di questa riforma riguardano tutti i paesi europei, non solo
perche in 27 hanno assunto questo impegno, quello di istituire la laurea triennale,
in una conferenza internazionale nel giugno del 99 a Bologna, ma perche tutti
sono alle prese con i problemi da cui nasce questa esigenza. E tutti cercano di muovere
verso questo sbocco omogeneo partendo da situazioni molto diverse, chi avendo un vecchio e
poderoso sistema di formazione professionale post-maturita ma fuori
dellUniversita, come la Germania, chi non avendocelo per niente o quasi come
lItalia. Le complicazioni per dare coerenza alla riforma su corpi cosi diversi
sono infinite e coinvolgono tre lati di un triangolo molto difficile da tenere insieme: la
formazione orientata alla professione, la formazione orientata alla ricerca, la convivenza
di ricerca e insegnamento. Ad uso dei lettori, cerchiamo di spiegare come stanno e come
dovrebbero cambiare le cose in Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna, dal punto di
vista dellarticolazione dei tre livelli di titolo universitario.
In Italia abbiamo attualmente la normale laurea, seguita dal dottorato (orientato
tradizionalmente alla ricerca) o dal master (orientato tradizionalmente alla professione,
ma attenzione: le due strade post-laurea si stanno in molti casi opportunamente
contaminando). A questi due gradini si deve aggiungere nei prossimi diciotto mesi, secondo
decreto ministeriale, la laurea di primo livello, o laurea breve, dopo tre anni.
In Germania, come da noi, non cè ancora la laurea breve e sara
probabilmente introdotta, anche se la discussione tedesca è complicata dal fatto che la
formazione professionale è massicciamente garantita da una istituzione
extra-universitaria, la Fachhochschule (vale a dire "scuola di specializzazione
superiore") che garantisce il Fachhochschule-Abschluss (ovvero un diploma di
specializzazione). I tedeschi hanno quindi attualmente il Magisterium (cioe la
laurea), seguito dal dottorato o master. Ed il loro problema è quello di inserire un
titolo accademico di primo livello che non sia il doppione del diploma di specializzazione
(che hanno gia).
Mentre in Italia la laurea breve, il triennio, avra anche la funzione essenziale
di riempire il vuoto di professionalita nella fascia medio-alta (portando per
esempio la preparazione di un chimico proveniente dagli istituti tecnici a livello di un
triennio universitario di specializzazione), nella discussione tedesca si va cercando una
intrinseca congruenza del triennio per studenti che hanno scelto il percorso universitario
anziche quello della Fachhochschule (che è una specie di super-istituto tecnico).
In Francia i tre livelli ci sono gia ed hanno il loro nome: la licence (laurea
breve), la maîtrise (laurea), il diplome en études approfondies (dottorato). Qui il
paesaggio è arricchito, e complicato, dal percorso selettivo delle Grandes Ecoles, come
lEna, destinato su base meritocratica agli studenti piu dotati in corsa per i
ruoli dirigenti nello Stato e nelle imprese.
In Gran Bretagna, come negli Stati Uniti, lo schema dei tre livelli è da tempo in
vigore con la sua nomenclatura: il "b.a." (bachelor of arts, che è la laurea
breve), lo m.a. (master of arts, che è la laurea), il "ph.d." (philosophy
doctor, che non sta per dottore in filosofia ma per dottorato in generale). Il modello
inglese, affine a quello americano, a ben vedere è alla base di tutto quanto il
sommovimento europeo per la riforma ed il triennio. È proprio lo schema base verso il
quale dovrebbero convergere gli altri paesi, anche se probabilmente la fortuna dei titoli
universitari piu "corti" deve la sua origine al fatto che le high-schools
americane durano un anno meno di quelle europee. In altre parole, una scuola media
superiore piu corta (e tanto criticata per la sua pochezza) ha imposto la creazione
di un titolo di studio intermedio piu spiccio della nostra laurea (il
"b.a.").
Il paradosso è che adesso i paesi europei dotati, come lItalia, di licei
piu lunghi e qualificati (e di solito tanto apprezzati a fronte delle bistrattate
highs-chools, anche se servono una minoranza della popolazione, circa un terzo) devono
tarare i loro percorsi formativi in modo piu compatibile con le esigenze
delleconomia e del mercato del lavoro.
Il principio-guida che scopriamo, che pure non dovrebbe creare attriti politici, ma
solo gli attriti legati alla obbiettiva difficolta della riforma, è quello che
lofferta di formazione universitaria va sempre piu necessariamente
differenziandosi in livelli, ai quali corrispondono diverse quantita e qualita
di formazione e specializzazione. Se luguaglianza e lobbligo sono i principi
della scuola di base, la diversita, il merito e la libera scelta sono le bandiere
della formazione universitaria.
Informazioni sul convegno internazionale organizzato il 21 gennaio a Pavia si trovano
sul sito dell'Universita' e della Scuola universitaria superiore: http://www.unipv.it/iuss/sus/welcome.html