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Un ponte a sinistra tra Europa e Usa

Giancarlo Bosetti


Giancarlo Bosetti

Con la caduta del Muro di Berlino, tra le molte ragioni di sollievo e di speranza che si potevano raccogliere negli Stati Uniti alla fine del 1989, c’era anche una conseguenza che al momento forse non appariva chiara: cambiavano i rapporti tra quel paese e l’Europa occidentale, si accorciavano le distanze, cadevano delle diffidenze di lunga data, si intavolavano discorsi nuovi che avrebbero reso piu’ interdipendenti le culture politiche.

Tra due settimane si riuniranno a Firenze i leader del centrosinistra su scala internazionale; nonostante le forti differenze che rimangono, il titolare della Casa Bianca partecipera’ a un incontro che non riunisce i capi di governo in quanto tali, nella loro veste istituzionale, come accade per il G7, ma che è basato su un'affinita’ politica, sulla comune ricerca di una "nuova via" per combinare sviluppo economico, giustizia sociale, governo degli squilibri mondiali.

Con il Muro in piedi sarebbe stato del tutto impensabile. Ancora piu’ impensabile che il presidente degli Stati Uniti partecipasse a un seminario politico con un premier che ha guidato il maggior partito della sinistra italiana. Fino ad allora i rappresentanti del Pci che avevano avuto incontri "culturali" con gli ambienti accademici erano mosche rare (ed aveva aperto la strada Giorgio Napolitano).

Con la svolta della Bolognina, con l’annuncio di Occhetto che il Pci avrebbe abbandonato la parola e il concetto di "comunismo", si apriva una situazione completamente nuova. Chi vi scrive passo’ quelle settimane nelle universita’ americane, a Princeton, Yale, Cambridge, New York, trovandosi circondato da una grande simpatia e da un interesse davvero caloroso e sorprendente, da parte non di alcuni intellettuali radicali e marxisti (che certo non mancavano anche da quelle parti e che erano piuttosto in ombra), ma da parte delle figure piu’ significative della cultura "liberal": Amartya Sen, Albert Hirschmann, Michael Walzer, Robert Dahl, Irving Howe, con il loro seguito di associazioni, riviste, scuole, salotti.

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Nell’inverno dell’89 furono momenti di grande passione. Il cambiamento coinvolgeva la vita di milioni di persone, era una fase liberatoria da vincoli che sembravano eterni. Si infrangevano cuori. Non era facile mantenere una visione lucida e prevedere gli sviluppi, anche i peggiori, che sarebbero venuti fuori da quegli entusiasmi. E anche noi, della sinistra italiana, non riuscimmo a cogliere fino in fondo le opportunita’ che si aprivano di un dialogo con la politica e la cultura americana.

Eppure il terreno era favorevole. Lo aveva preparato Lewis Coser, un intellettuale molto noto e influente, tra le figure di spicco di "Dissent", con un articolo sulla fine del comunismo. Il numero della rivista, che usciva proprio allora, portava in testa il suo pezzo, in cui si parlava in verita’, piu’ precisamente, di fine dello "stalinismo". Coser usava questo concetto, in un modo che in Europa sarebbe apparso forse improprio, per indicare la forma che il comunismo aveva preso nella seconda parte del secolo.

Sintetizzando la storia del movimento cominciato con la Rivoluzione d’Ottobre, l’autore parlava degli sviluppi che gli aveva impresso la guida di Stalin come di un fenomeno che, per la prima volta nella storia del mondo, aveva assunto caratteri di globalita’ totale ed esaustiva, e che proprio dopo la fine della Seconda guerra mondiale aveva raggiunto tutti gli angoli del pianeta, come non era accaduto prima neppure per le grandi religioni.

Mosca era diventata con Stalin, e con i suoi successori, la capitale assoluta e indiscutibile di un impero politico-culturale che aveva sue dépendances ovunque sulla terra. L’espansione si era completata anche negli piu’ recenti. Nessuna cultura e nessuna forma economica aveva resistito alla infiltrazione di almeno una minoranza "stalinista".

Con il crollo, ormai imminente, del sistema sovietico, Lewis Coser vedeva avvicinarsi la fine del fenomeno globale che aveva occupato tanta parte del secolo. Nel tracciare la mappa della sinistra socialista nel mondo e in Europa, l’autore non dimenticava naturalmente di rimarcare le differenze tra il socialismo europeo ed il comunismo di osservanza sovietica. Ma aggiungeva delle osservazioni sulla particolarita’ della situazione italiana: anche qui il comunismo era stato ortodossamente stalinista, ma aveva intrapreso una lenta marcia di differenziazione rispetto alla matrice, spingendosi a una distanza sufficiente da questa, attraverso una pratica democratica, al punto che quello che tuttora si chiamava, nell’autunno del 1989, Partito comunista italiano era pero’ assimilabile, con un po’ di generosita’, agli altri grandi partiti del socialismo europeo.

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La iniziativa di Occhetto avrebbe percio’ trovato un’ottima accoglienza tra molti intellettuali che la ritenevano del tutto logica in base alle premesse descritte da Coser. E in effetti la stampa americana riconobbe ampiamente ed esplicitamente i meriti del fondatore del Pds.

Che su "Dissent" si parlasse di "stalinismo" come forma globale, imperiale, del comunismo aveva una spiegazione anche nel fatto che buona parte della cultura "left-liberal", specialmente negli ambienti ebrei-americani, aveva alle spalle una gioventu’ segnata da simpatie trotzkiste.

Nessuno piu’ invocava quella eredita’ come qualcosa di ancora spendibile, tanto meno lo faceva Irving Howe, che aveva fondato "Dissent" negli anni Cinquanta per opporsi all’ondata maccartista, alle delazioni contro comunisti veri e presunti. Tuttavia, durante uno dei nostri incontri, riconobbe che l’essere stati, da giovani, trotzkisti anziche’ stalinisti, per lo meno aveva addestrato alla capacita’ e al coraggio di fare la minoranza e di resistere contro le pressioni di una maggioranza schiacciante.

Nessuno poteva essere descritto come piu’ americano di Irving Howe, ebreo newyorkese, critico letterario di grande autorevolezza, uomo di successo nell’establishment intellettuale.

Eppure proprio lui aveva un risvolto europeizzante: era anche il rappresentante di una corrente politica, i Democratic Socialists of America, fondata dal piu’ noto dei socialisti americani, Michael Harrington, che pure inviavano un loro rappresentante ai congressi dell’Internazionale socialista. A quell’epoca era lui, non certo la Casa Bianca di Reagan o di Bush, che teneva i rapporti con il leader dei laburisti inglesi, Neil Kinnock, di cui era anche personalmente amico.

Quell’Atlantico, che Howe non dimenticava essere "molto largo", aveva dei ponti culturali che non si erano mai interrotti anche in un campo cosi’ difficile per "il paese dove non c’è il socialismo" che sono gli Stati Uniti.

La cultura americana mandava segnali in controtendenza rispetto al riflusso neoliberale. E non erano poi ispirazioni cosi’ elitarie, quelle di "Dissent", di Howe, di Michael Walzer, se soltanto tre anni dopo, nel 1992, Bill Clinton avrebbe vinto le elezioni con un programma pieno di ambizioni sociali e portandosi al governo un "dissenter" come Robert Reich e una squadra di economisti amici e allievi di John Kenneth Galbraith e di Albert Hirschman.

Ma non c’erano le condizioni perche’ la sinistra italiana, intrappolata nella gestazione tormentosa di una sua nuova forma, anticipasse un confronto con gli Stati Uniti che non fosse basato sulla pura legittimazione degli ex-comunisti e cercasse invece dei piu’ sostanziosi collegamenti.

Il tentativo di combinare, in un programma, le ragioni della socialita’ con quelle della competizione economica, difficile e spesso impossibile per lo stesso Clinton, trovatosi poi con un Congresso all’opposizione, poteva spingere gia’ allora la sinistra europea ad aprire un tavolo di discussione con il Partito democratico americano. Ma riusci’ a farlo soltanto il Partito laburista, prima con Kinnock, poi con Smith ed infine, con successo, Tony Blair.

Mentre Amartya Sen, poi coronato con il Nobel per l’economia, ammoniva che la ventata neoliberale non era invincibile e mentre Hirschman contrastava l’idea che con il comunismo si dovesse gettare ogni progetto di natura sociale, in Europa la prevalenza della destra doveva durare ancora qualche anno. In Italia sappiamo come sono andate le cose.

La sinistra è rimasta piegata sulle sue ferite piu’ di quanto sarebbe stato utile. La svolta dell’89 era una chiave che poteva aprire il dialogo e favorire intese tra sinistra italiana e democratici americani con alcuni anni di anticipo rispetto alla guerra del Kosovo. Ed era una chiave buona, perche’ autentica era la gratitudine verso un pezzo di comunismo che, con la sua storia anomala, aveva dato una mano – non la piu’ grande, ma l’aveva data – ad abbattere lo stalinismo. Il quale, come sosteneva il democratic socialist Howe, era una delle ragioni, non l’ultima, per cui il socialismo era stato sradicato dagli Stati Uniti.


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