Elogio
del cinema italiano degli anni Novanta
Adriano
Aprà
Questo
saggio fa parte del volume Il cinema della transizione a cura di
Vito Zagarri pubblicato da Marsilio. Per informazioni sul Pesaro
Film Festival potete contattare il sito
del festival
Va
detto con chiarezza, fuori dall’insopportabile – e insopprimibile?
– rumore di fondo mediatico, che gli anni Novanta sono stati uno dei
decenni più fecondi e creativi per il cinema italiano, dopo gli anni
Quaranta e gli anni Sessanta. Non saranno in molti a essere
d’accordo, lo so bene. Diversamente dagli altri decenni citati (per
quel che valgono queste scansioni), uno dei maggiori problemi del
cinema italiano recente è la forbice che si è prodotta fra autori di
talento da una parte e produttori-distributori-esercenti, pubblico e
critica – o giornalismo – dall’altra. Facciamo un bel cinema ma
questo cinema non è né condiviso né capito. È un cinema di crisi,
nato da quella degli anni Settanta e Ottanta, che ad essa vuole
reagire resistendo e opponendosi, o casomai ignorandola; da più parti
lo si sollecita invece a imitare il nostro passato o a guardare in
direzione di Hollywood. Entrano in gioco ipocriti orgogli (“Una
volta sì che eravamo bravi!”) o provinciali invidie (“Gli
americani sì che sanno come fare il cinema!”) che rimuovono i
colpevoli egoismi di un’industria che, illudendosi di salvare solo
se stessa, ha distrutto le basi su cui poggiava e di una critica che,
per non mettersi troppo in questione, ha guardato con sospetto ai
rinnovamenti che dagli anni Sessanta il cinema internazionale sta
sperimentando, non solo al livello estetico ma anche, congiuntamente
(il cinema è arte-industria), a quello tecnico e produttivo.
È
normale e logico che chi resiste e si oppone venga messo in minoranza;
ma se un tempo potevamo dire con Cocteau che “le minoranze di oggi
saranno le maggioranze di domani”, oggi non ne sarei più così
certo. Quanti classici del cinema sono stati ignorati dal pubblico e,
talvolta, persino dalla critica! Eppure il tempo ha giocato a loro
favore, così come ha giocato a sfavore di tanti successi di breve
respiro. Potremo dire lo stesso di alcuni dei migliori film italiani
degli anni Novanta? Il ciclo di vita-e-morte è così breve nelle sale
che non basta la qualità estetica a salvarli, e poi l’estetica è
un valore contro il quale troppe pistole sono puntate. Resta a
illuderci il paradosso di una comunicazione porta a porta fatta con i
mezzi che l’industria audiovisiva mette a disposizione, dai vecchi
vhs ai nuovi dvd, fino a internet; a meno che non si debba tornare a
un cineclubismo riorganizzato come un partito della qualità.
In
attesa di elaborare strategie pratiche in difesa di un cinema che c’è
ma che pochi vedono e apprezzano, proviamo intanto a fare il catalogo
dei film e degli autori, senza distinguere fra giovani e vecchi, da
proporre per una distribuzione alternativa, sia pure stando al gioco
dei decenni e quindi limitandomi a quanto prodotto dal 1990 nel campo
del lungometraggio (quello del corto, nonché quello delle arti
elettroniche – ma voglio almeno ricordare Gianni Toti e Cane
CapoVolto –, è troppo vasto e incerto, e seminato di equivoci,
perché possa avventurarmici con sufficiente conoscenza; e voglio
rammentare poi qualche straniero che ci affianca, più stabilmente e
esemplarmente come Huillet-Straub, o più occasionalmente come Lucian
Segura, l’autore del “bolognese” Alta marea, Raúl Ruiz, Amos
Gitai, Jon Jost).
Catalogando,
e inevitabilmente schematizzando, distinguerei gli sperimentatori dai
narratori, o per meglio dire coloro che sentendo la crisi della
finzione (o del documentario) si concentrano su un rinnovamento del
linguaggio, da coloro che credono nella forza del racconto e mettono
in secondo piano la ricerca sul linguaggio o utilizzano modelli
relativamente tradizionali.
Sperimentatori
(in ordine alfabetico): Silvano Agosti, Raffaele Andreassi,
Michelangelo Antonioni, Gian Vittorio Baldi, Paolo Benvenuti, Giuseppe
Bertolucci, Antonio Capuano, Daniele Ciprì e Franco Maresco, Pappi
Corsicato, Tonino De Bernardi, Antonietta De Lillo, Davide Ferrario,
Marco Ferreri, Giuseppe Gaudino, Yervant Gianikian e Angela Ricci
Lucchi, Stefano Grossi, Giovanni Davide Maderna, Pasquale Misuraca,
Nanni Moretti, Franco Piavoli, Alberto Rondalli, Gianfranco Rosi,
Alessandro Rossetto, Sergio Staino, Gianluca Maria Tavarelli, Roberta
Torre.
Narratori
(sempre in ordine alfabetico): Gianni Amelio, Carla Apuzzo, Francesca
Archibugi, Marco Bechis, Marco Bellocchio, Alessandro Benvenuti,
Bernardo Bertolucci, Claudio Caligari, Mimmo Calopresti, Sergio
Castellitto, Enrica Colusso, Peter Del Monte, Vittorio De Seta, Anna
Di Francisca, Luciano Emmer, Fiorella Infascelli, Armando Manni, Mario
Martone, Gianfranco Pannone, Giuseppe Piccioni, Salvatore Piscicelli,
Michele Placido, Pasquale Pozzessere, Marco Risi, Daniele Segre,
Silvio Soldini.

(Naturalmente
ci sono film e registi “giovani” che non ho visto, o che non mi
sono stati credibilmente segnalati; film e registi meno giovani che ho
– per pregiudizi? – trascurato, come Dario Argento, Pupi Avati,
Tinto Brass, Fabio Carpi, Liliana Cavani, Maurizio Nichetti, Carlo
Vanzina; registi che, almeno con i loro film degli anni Novanta, non
mi hanno convinto, ma con simpatia, come Sergio Citti, Francesco
Calogero, Luigi Faccini; e registi di cui mi è piaciuto qualche film
ma non gli altri, come Aurelio Grimaldi, Le buttane, Ettore Scola, Il
viaggio di Capitan Fracassa e Mario, Maria e Mario, Lina Wertmüller,
Io speriamo che me la cavo).
Così
classificando, ho eliminato quelli che mi sembrano, e che altrove ho
definito, i “perbenisti”: registi “che si muovono soddisfatti e
compiaciuti entro i canoni della correttezza realistica, rifacendosi
spesso, tardivamente e mimeticamente, più che al neorealismo alla
commedia all’italiana (che non sempre merita tali eredi), attenti ad
andare incontro a un pubblico, un’industria e una critica che si
rispecchiano nell’esistente, rappresentanti di un regime estetico
fatto di medietà e di mediazioni, privo di forma e di sguardo, dedito
a trascrivere sceneggiature e a consacrare attori” (“Reset”, 47,
aprile 1998; ora nel mio Per non morire hollywoodiani, Reset, Roma,
1999; chi fosse interessato può vedere anche quanto ho scritto da
Venezia in “Caffè Europa”, 52, 2-10-1999: www.caffeeuropa.it
).
Sono:
Roberto Benigni, Giacomo Campiotti, Cristina Comencini, Alessandro
D’Alatri, Roberto Faenza, Daniele Luchetti, Carlo Mazzacurati,
Gabriele Muccino, Francesco Nuti, Leonardo Pieraccioni, Sergio Rubini,
Gabriele Salvatores, Ricky Tognazzi, Giuseppe Tornatore, Massimo
Troisi, Carlo Verdone, Paolo Virzì, e altri che ho seguito meno o che
hanno appena debuttato. Sono cioè i registi che – non tutti,
naturalmente – sono stati apprezzati di più da pubblico e critica,
che ci hanno fatto conoscere all’estero e che si vorrebbe portare a
modello di ciò che il cinema italiano potrebbe o dovrebbe essere.
Sono i rappresentanti della maggioranza rumorosa.
Discorso
diverso andrebbe fatto per registi delle precedenti generazioni che
sembrano, chi più chi meno, avere esaurito le cose da dire e i modi
per dirlo, come Dino Risi, Mario Monicelli, Ermanno Olmi, Francesco
Rosi, Ettore Scola, Alberto Sordi, Paolo e Vittorio Taviani o Lina
Wertmüller; mentre all’inizio del decennio si sono fermati Luigi
Comencini col bel melodramma incompreso Marcellino pane e vino e
Federico Fellini con La voce della luna.
Questa
drastica suddivisione ha bisogno di un minimo di sfumature. Per
esempio, fra gli sperimentatori (va da sé che uso il termine in
maniera soft, perché oggi in Italia il modello narrativo più
tradizionale è così canonizzato che anche semplici scarti dalle
regole suonano sperimentali) ho messo Ferrario, che è anche un
narratore sapiente, perché apprezzo il modo quasi unico con cui sa
coniugare ricerca linguistica e ricerca narrativa; di Staino mi aveva
colpito l’originalità comica di Non chiamarmi Omar, ma non ho visto
il precedente Cavalli si nasce (1989) e non sono seguiti altri film;
di Tavarelli mi ha convinto l’impiego funzionale e metodico del
piano sequenza in Un amore (che è oltretutto una bella storia
d’amore fra adulti, cosa di per sé insolita), ma non ho visto il
precedente Portami via, mentre ho visto il bel corto Dimmi qualcosa di
te (1989), che lo farebbe collocare fra i narratori.
In
questa seconda categoria ho messo Amelio, che in Così ridevano (per
me il suo miglior film) ha sperimentato come non mai, ma che nei
precedenti film è stato soprattutto narratore; la Apuzzo, che con
Rose e pistole ha fatto una commedia disinvolta e inventiva, ma il
genere quasi esige un certo rispetto dei canoni del racconto, e lo
stesso si può dire della Di Francisca, e per entrambe un solo film è
poco per giudicare bene; Alessandro Benvenuti, ancora troppo attratto
dai diktat dei produttori e dalle sirene del successo per mantenere
con coerenza la linea comico-sperimentale di Zitti e Mosca e Ritorno a
casa Gori, ma anche di Benvenuti in casa Gori e Belle al bar;
Bellocchio, uno dei rari sperimentatori della generazione degli anni
Sessanta ancora attivo, che sembra aver abbandonato gli impulsi
irrazionali della Condanna e soprattutto del Sogno della farfalla
accedendo a una razionalità adulta con Il principe di Homburg e La
balia, senza convincermi del vantaggio; De Seta, grande documentarista
sperimentatore, che ha preferito, rossellinianamente, la chiarezza
all’allusione tornando al cinema con In Calabria; Marco Risi,
regista che mi coinvolge e mi irrita, a volte come nel Branco in
maniera intollerabile, altre come nell’Ultimo capodanno con
attrazione un po’ perversa, ma di cui riconosco la forza espressiva,
che non è necessariamente una qualità; Segre, che nei suoi
documentari, più che in Manila Paloma Blanca, dimostra un indubbio
savoir faire in una tradizione della nonfiction poco incline a
ibridazioni più moderne.
Parlo
di autori, ma a volte dovrei limitarmi a parlare di film. In alcuni
casi dietro un singolo film realizzato negli anni Novanta c’è una
lunga attività a confermarne il valore: è il caso di Andreassi,
grande documentarista misconosciuto (I lupi dentro), Antonioni (Al di
là delle nuvole), Baldi (Il temporale), De Seta, Emmer (che si è
presentato a Venezia con un film dal titolo “paterno”, Basta! Ci
faccio un film, uscito poi nelle sale con la variante “filiale”
Basta! Adesso tocca a noi); in altri casi il singolo film, con tutte
le sue qualità, attende conferma: Gaudino (Giro di lune tra terra e
mare, decurtato dal distributore di mezz’ora, dietro cui ci sono
comunque alcuni video), Grossi (Due come noi, non dei migliori),
Maderna (Questo è il giardino), Gianfranco Rosi (Boatman), Torre
(Tano da morire, e anche per lei ci sono video di conferma, mentre si
aspetta Sud Side Story), Apuzzo, Castellitto (Libero Burro), Colusso
(Fine pena mai), Di Francisca (La bruttina stagionata), Manni (Elvjs
& Merilijn); in altri casi ancora è soprattutto un film a darmi
fiducia: Agosti (La seconda ombra, ma, oltre a Quartiere e a vari
video, c’è l’etica della sua molteplice attività extrafilmica),
Giuseppe Bertolucci (al cui Troppo sole si aggiungono, a parte film
precedenti, video degli anni Novanta come Il pratone del Casilino e In
cerca della poesia), Archibugi (Il grande cocomero, in attesa di
Domani), Del Monte (La ballata del lavavetri, che spero confermato da
Controvento), Piccioni (Fuori dal mondo, che mi fa ricredere su un
autore che, dopo il piacevole Il grande Blek, mi aveva così irritato
con le carinerie di Chiedi la luna da convincermi a non vedere
Condannato a nozze e Cuori al verde), Soldini (che sembra aver
cambiato pelle con Le acrobate e soprattutto con Pane e tulipani).
Il
pubblico non ha sempre ragione. La massima contraria di Adolph Zukor,
che poteva avere un suo significato nell’epoca d’oro di Hollywood,
oggi da noi non ha alcun senso, se non ipocrita. Il pubblico è
drogato: dalla propaganda cinematografica e televisiva americana, o
all’americana, che rende davvero l’opera un intervallo tra due
pubblicità (o, come nel multiplex romano Warner Village, un
intervallo – sia pure comodo – anche tra fast food, pop corn,
trailer e rock a volume assordante, che il film del giorno, finalmente
proiettato dopo tante imposizioni, non fa spesso che mimare). Alla
mercè della dittatura mediatica, il pubblico di massa sembra felice
di venire drogato e non vuole (non può più?) rendersi conto che lo
si rincretinisce per ridurlo a bestia da mercato, dove lo si vende
inducendolo a comprare. Non vedo perché ci si debba sentire
minorizzati se si proclama che l’uomo deve tendere sempre a
diventare più di ciò che le condizioni circostanti lo limitano ad
essere, e che l’arte, in questo caso il cinema, è uno degli
strumenti che egli ha inventato proprio per questo fine di liberazione
e di riscatto.
Per
gli sperimentatori, ma anche per molti narratori, il pubblico sono
piuttosto gli spettatori, individui non supini alle logiche di massa,
ai quali ci si rivolge da pari a pari, dialogicamente. Ciò
corrisponde anche a una trasformazione produttiva e distributiva del
cinema e della televisione verso forme meno generaliste e più
diversificate, secondo modelli che l’industria discografica ha già
sperimentato e che la digitalizzazione sollecita. Lo “sguardo
morale” che ritrovo in quasi tutti gli autori citati è un segno di
rispetto verso se stessi, verso ciò che si filma e verso coloro ai
quali si vuole parlare; e se lo virgoletto è perché ne constato la
emarginazione in un universo mediatico che si oppone con violenza alle
forme individualizzate della comunicazione. Bisogna rivendicare con
orgoglio questo margine di sopravvivenza dell’espressione artistica,
e semmai lottare per ampliarlo senza compromessi umilianti.
La
critica non fa certo il suo dovere. Suddivisa fra propaganda
giornalistica, arida speculazione accademica e compiacimenti cinefili,
raramente si pone domande sulla funzione dell’arte oggetto del suo
interesse, e ancora più raramente ambisce alla qualità di una
autentica scrittura saggistica. La critica storico-filologica ha
valore se getta le fondamenta di una riflessione di più alto profilo,
ma è questa fase successiva a mancare: al di là dell’amore per il
cinema, che è essenziale se sa distinguere, al di là dello studio
teorico, che dovrebbe cogliere il valore filosofico dell’opera
d’arte, al di là della cronaca periodica, che dovrebbe ritrovare il
senso della militanza, fare critica è fare riverberare l’opera nel
mondo, aiutare chi è in ascolto a intenderne il senso profondo e
spesso celato, o disturbato da rumori di fondo, condurre l’una e
l’altro al loro destino di rinascita. Un film vale se è un
contributo alla crescita culturale, al di là del cinema: se ci dice
qualcosa su ciò che siamo, su ciò che è il mondo, non solo qui e
ora; se ci aiuta ad abitarlo e a conoscerci.
Gli
autori sono molto più avanti dei critici in questa ricerca. Dialogare
con loro è più produttivo che scambiarsi opinioni fra colleghi.
Sopravvivono a condizioni ostili con ammirevole perseveranza, guidati
da scelte di vita più forti delle contingenze pratiche, ironicamente
alteri e severamente aerei. Se esagero è perché vorrei che si
sentissero un po’ meno soli.
La
commedia è diventata il genere malefico del cinema italiano. È
sempre stata un po’, nelle varie epoche, il sicuro rifugio da
ricerche dissidenti, anche se retrospettivamente meno improduttivo di
oggi (“telefoni bianchi” vs esperimenti di realismo; farsa vs
Neorealismo o neoesistenzialismo rosselliniano, antonioniano o
felliniano; commedia all’italiana vs Nouvelle vague…). Dagli anni
Ottanta sembra l’unico modo nostrano per conciliare industria,
pubblico e critica, vieppiù confortati dalla morte di Troisi o
dall’Oscar di Benigni (attori che, diretti da altri, si dimostrano
assai superiori alle loro velleità di registi). A dimostrare la
produttività variegata dei “marginali” c’è anche il modo
divergente di fare commedie, fuori dalle tentazioni di un naturalismo
mimetico, sopra le righe e dentro l’inconscio, che ha rari
precedenti nella nostra tradizione di genere: Troppo sole, Lo zio di
Brooklyn e Totò che visse due volte, Libera e I buchi neri, Figli di
Annibale, Caro diario e Aprile, Non chiamarmi Omar, Tano da morire,
Rose e pistole, Zitti e Mosca e Ritorno a casa Gori, Libero Burro, La
bruttina stagionata, Pane e tulipani. Riso e sorriso non sono sempre
segno di gioia, si nasconde o si disvela una commedia nera fra questi
titoli, ma quasi mai viene meno la vitalità.

Lavorare
ai margini non vuole più dire, specie negli anni recenti, incupirsi
ripiegandosi su se stessi e sulle proprie ossessioni. Il piacere
sperimentale della distruzione sta lasciando il posto alla
costruzione. C’è una dimensione positiva della vita che si afferma
al di là dell’isolamento, e che non si concilia tuttavia con
l’esistente. Ce lo dicono Agosti con i matti della Seconda ombra,
Andreassi con i pittori freak dei Lupi dentro, Baldi con i
sopravvissuti del Temporale, Paolo Benvenuti con i briganti e le
streghe di Tiburzi e Gostanza da Libbiano, Capuano con i suoi
“diversi”, De Bernardi con il suo allegro Carro di Tespi, la De
Lillo con la vittoria dei suoi malati, Ferreri con i suoi viziosi,
Gaudino con i suoi terremotati, Piavoli con i suoi danzatori di
campagna, Tavarelli con i suoi ostinati innamorati, Amelio con i suoi
immigrati, la Archibugi con i suoi medici non conciliati, Bechis con i
suoi resistenti, Calopresti con gli angeli del suo teorema, la
Infascelli con le sue figlie ribelli, Placido con la sua maestra
comunista… C’è anche una dimensione spirituale, quando non
religiosa, latente o patente in Confortorio, Piccoli orrori e
Appassionate, Pianese Nunzio 14 anni a maggio, Questo è il giardino,
Voci nel tempo, Quam mirabilis e Padre Pio da Pietralcina, La ballata
del lavavetri, Fuori dal mondo, e in Ciprì e Maresco. E c’è per
converso una attenzione (una tensione) al corpo, che avvolge la
persona indivisa, in Gostanza da Libbiano, Guardami, Diario di un
vizio, L’odore della notte, L’amore molesto, Il corpo dell’anima
e, chissà, forse anche nei troppo energici personaggi di Marco Risi.
Operando
una selezione prioritaria di tipo estetico (i bei film, e i loro
autori, contro i brutti film), e partendo dal presupposto che è la
qualità estetica a dare senso alle opere e a farle durare nel tempo,
a lavorare in profondità oltre la superficie, mi tolgo un po’ la
possibilità di ampliare il reticolo di assonanze stilistiche che si
producono tra film e film, tra autori e autori (o semplici
“registi”), guadagnando però quella di evidenziare linee di forza
che, guardando troppo altrove, finirebbero per annacquarsi e
dissolversi. Il reticolo non individua tendenze e tantomeno scuole
(salvo forse, e in parte, quella napoletana) ma solo similitudini
probabilmente involontarie, perché resta vero (e non so se è un
limite, un sintomo o un vantaggio) che ciascun autore, e ciascun film,
fa storia a sé: a causa dell’isolamento culturale e produttivo in
cui ci si trova a operare, del venir meno di radici e tradizioni,
della necessità di interrompere una ingannevole continuità, elementi
che accompagnano un cinema di resistenza e di opposizione; per potere
affermare così quel nuovo che sorge da più punti e da più stimoli,
bisogno latente e troppo a lungo compresso, figlio indesiderato e
colpevolizzato che finalmente si scopre maturo senza essere obbligato
a fare gruppo. Il cinema italiano degli anni Novanta, ma anche, in
forma meno evidente, più incerta e insicura, quello degli anni
precedenti, è un cinema di monadi che vanno a costituire una
tappezzeria variegata – un patchwork ha detto giustamente un critico
in due libri recenti – la cui qualità sta proprio nella differenza
delle proposte.
Al
di là delle sintomatiche alternanze di formati, di destinazioni e di
generi (35 e 16 mm, pellicola e video, lungo, medio e cortometraggio,
cinema, televisione e home video, finzione e documentario); al di là
della ricca mappatura geografica e linguistica, che fa risaltare il
decentramento rispetto all’eterna Roma, la riscoperta di Torino, di
Napoli e del sud, le traversate d’Italia fuori dalle convenzioni del
road movie, il radicamento in realtà, paesaggi, linguaggi locali
(fino alla necessità dei sottotitoli), preludio concreto a una
apertura verso orizzonti più ampi; al di là di queste prove di
svincolamento dalle stabili procedure tradizionali, vedo proprio nella
diversificazione delle tendenze stilistiche il segno della proposta
nuova e della raggiunta maturità del nostro cinema. La macchina da
presa è rigorosa, selettiva, ascetica, secondo una tensione estetica
e morale che il postmoderno non ha mai potuto smentire, in Antonioni,
Paolo Benvenuti, Ciprì e Maresco, Maderna, Rondalli, e in maniera più
morbida nei documentari di Gianfranco Rosi e di Rossetto.
Il
montaggio rompe l’unità dell’inquadratura e della scena, confonde
e mescola, incide e spiazza in Capuano, Corsicato, Ferrario, Gaudino.
Documentario e finzione si incrociano produttivamente in Agosti,
Andreassi, Baldi, Moretti, Caligari, Pannone. Luci, décor, costumi e
attori entrano in tensione, fino all’incandescenza, in Giuseppe
Bertolucci, Corsicato, De Bernardi, De Lillo, Staino, Torre, Apuzzo,
Alessandro Benvenuti, Castellitto, Di Francisca, Marco Risi; i loro
film mettono in crisi la nostra tradizione realistica, che è invece
per altri versi rispettata, a riprova del suo forte radicamento
culturale, non solo dai “documentaristi di fiction” prima citati,
nonché dagli autori di fiction quando, sempre più spesso, sentono il
bisogno di confrontarsi con la nonfiction, ma anche da Archibugi,
Bechis, Calopresti, Colusso, De Seta, Emmer, Infascelli, Manni,
Martone, Piccioni, Piscicelli, Placido, Pozzessere, Segre, Soldini. Il
racconto si fa diario, autobiografia, colloquio a tu per tu con lo
spettatore in Agosti, Andreassi, De Bernardi, Ferreri, Grossi,
Misuraca, Moretti, Piavoli, Tavarelli, Pannone.
Il
compilation movie trova con Gianikian-Ricci Lucchi degli inventori di
nuove forme; nel fare a loro modo anche un cinema saggistico si
ritrovano in compagnia di Andreassi, Ferreri, Misuraca, e di molti
autori delle recenti serie tv Alfabeto italiano e Risvegli. Piegano il
racconto alle istanze private del politico Baldi, Moretti, Amelio,
Archibugi, Bechis, Calopresti, Placido, Pozzessere, Segre. Bellocchio
e Bernardo Bertolucci fanno i conti, da opposte esperienze, con i loro
percorsi psicoanalitici, mettendo a tacere l’inconscio o tornando a
farlo circolare. Nessuno è davvero attratto da quel gusto postmoderno
del riciclaggio che domina a quanto pare a Hollywood e altrove, e che
tanti critici nostrani vedono come la forma, o la moda, emergente.
C’è ancora nel nostro cinema il senso vitale della scoperta. E se i
miei tentativi di delineare assonanze non denotassero che una
nostalgia degli schieramenti, l’isolamento innegabile in cui operano
questi autori potrebbe essere interpretato allora come sintomo di un
metodo nuovo di contrapporsi alla globalizzazione.
Il
cinema italiano ha bisogno di essere difeso, ma ha bisogno soprattutto
di essere elogiato, senza farsi troppo condizionare da insuccessi e
incomprensioni, che forse si riveleranno contingenze momentanee. Non
è solo sopravvissuto, per l’ostinazione di alcuni, a una crisi
strutturale dell’industria che abbiamo vissuto più tardi e peggio
che in altri paesi. Sa dire qualcosa di nuovo e in maniera nuova a noi
italiani, anche se perlopiù abbiamo ascoltato con disattenzione e
sufficienza; avrebbe potuto dire qualcosa anche all’estero, più di
quanto non sia avvenuto comunque in alcune occasioni festivaliere meno
chiassose. Dobbiamo opporre orgoglio e fiducia all’arrendevolezza e
all’autolesionismo che ci circondano, proporre col cinema un
discorso più dolce, più caldo, più ambizioso sugli uomini e sul
mondo, pensare in positivo anche se minacciati dalle macerie: sapendo
dei nostri limiti di individui e perciò sospinti a superarli.
Dizionarietto
(lungometraggi,
mediometraggi – da 30’ a 60’ –, episodi, serie o serial
televisivi o indipendenti, in pellicola o in video, di finzione o
documentari, dal 1990; sono esclusi, ma solo perché avrei rischiato
l’incompletezza, i cortometraggi; ringrazio tutti coloro che mi
hanno aiutato a compilare le filmografie)
Silvano
Agosti: Frammenti di vite clandestine (1989-93, c. 30 x 5’, video),
Uova di garofano (1991), Prima del silenzio (1992, mm, video), Il
leone di argilla (1993, 26 x 2’, video), Il trionfo del vuoto (1994,
mm, video), L’uomo proiettile (1995), Trent’anni di oblio (1998,
14 x 32’, tv), La seconda infanzia (1998, mm, tv), Il volo (1998,
mm, video), La seconda ombra (2000)
Gianni
Amelio: Porte aperte (1990), Il ladro di bambini (1992), Lamerica
(1994), Oltre l’infanzia – 5 registi per l’UNICEF (1996, ep. Non
è finita la pace, cioè la guerra, tv), Così ridevano (1998), Poveri
noi (1999, mm, tv), L’onore delle armi (2000, tv)
Raffaele
Andreassi: Aspetti del paesaggio cinematografico (1990, mm, tv), Di
alcuni italiani a Parigi (1992, mm), San Benedetto e l’arte del suo
tempo (1995, mm, video), Un ritratto (1995, mm), I lupi dentro (1999)
Michelangelo
Antonioni: Par-delà les nuages/Al di là delle nuvole (1995, con Wim
Wenders)
Carla
Apuzzo: Rose e pistole (1998), Tutti del bosco: frammenti televisivi
sul magico nel mezzogiorno d’Italia (1998, mm, tv, con Salvatore
Piscicelli)
Francesca
Archibugi: Verso sera (1990), Il grande cocomero (1993), Con gli occhi
chiusi (1994), La strana storia di Banda Sonora (1997, mm), L’albero
delle pere (1998), Domani (2000)
Gian
Vittorio Baldi: Testimonianze sulla Resistenza (1996, video),
Nevrijeme/Il temporale (1999)
Marco
Bechis: Alambrado (1989-91), Luca’s Film (1995, mm, video), Garage
Olimpo (1998)
Marco
Bellocchio: La condanna (1991), L’uomo dal fiore in bocca (1991, mm,
tv), Il sogno della farfalla (1994), Sogni infranti: ragionamenti e
deliri (1995, mm, tv), Il principe di Homburg (1998), La religione
della storia (1998, mm, tv, con Francesca Caldelli), La balia (1999)
Alessandro
Benvenuti: Benvenuti in casa Gori (1990), Zitti e Mosca (1991), Caino
e Caino (1993), Belle al bar (1994), Ivo il tardivo (1995), Ritorno a
casa Gori (1996), Fortuna e sfortuna degli italiani dal bianco e nero
a oggi (1998, mm, tv), I miei più cari amici (1998)
Paolo
Benvenuti: Confortorio (1992), Tiburzi (1996), Gostanza da Libbiano
(2000)
Bernardo
Bertolucci: The Sheltering Sky/Il tè nel deserto (1990), Little
Buddha/Piccolo Buddha (1993), Stealing Beauty/Io ballo da sola (1996),
Besieged/L’assedio (1998)
Giuseppe
Bertolucci: La domenica specialmente (1990, ep. La domenica
specialmente e L’uomo degli uccellini), Il congedo del viaggiatore
cerimonioso (1991, mm, video), Una vita in gioco (1992, tv), Troppo
sole (1994), Il pratone del Casilino (1995, video), In cerca di
Eugenio Montale (1996, mm, tv), Quer pasticciaccio brutto de via
Merulana (1997, tv), In cerca del sessantotto: tracce e indizi (1998,
mm, video), In cerca della poesia: tracce e indizi (1998, mm, tv),
Ferdinando (1998, tv), Il dolce rumore della vita (1999), Vittorio Foa:
ragioni politiche (2000, video)
Claudio
Caligari: L’odore della notte (1998)
Mimmo
Calopresti: Dentro le mura, fuori la città (1990, mm, video), Italia
‘90: lavori in corso (1990, ep., video), Pace pane libertà
1943-1945 (1994, mm, video), La seconda volta (1995), La parola amore
esiste (1998), Un uomo solo: incontro con Riccardo Freda (1998, mm,
video), Tutto era Fiat (1999, video), Preferisco il rumore del mare
(2000)
Antonio
Capuano: Vito e gli altri (1991), Quattro passi in città (1995, ep.
Pallottole su Mater Day, tv), Pianese Nunzio 14 anni a maggio (1996),
I vesuviani (1997, ep. Sofialorèn), Polvere di Napoli (1998)
Sergio
Castellitto: Libero Burro (1999)
Daniele
Ciprì e Franco Maresco: Grazie Lia. Breve inchiesta su Santa Rosalia
(1994, mm, video), Intervista a Giuseppe De Santis (1994, mm, video)
Lo zio di Brooklyn (1995), Vittorio De Seta: lo sguardo in ascolto
(1995, mm, video), A memoria (1996, mm, musica dal vivo), Aspettando
Totò. Conversazione con Mario Martone ed Enzo Moscato (1996, video),
Totò che visse due volte (1998), Intervista a Mario Monicelli (1998,
mm, video), Noi e il Duca (1999, video), Enzo, domani a Palermo!
(1999, video), Steve Plays Duke (1999, video) e tanti corti in video,
alcuni dei quali editi in VHS (Insenso cinico, 1993; Risate di boia,
1996; Incertamente, 1997)
Enrica
Colusso: Non è vero ma ci credo (1992, mm), Fine pena mai (1994, tv)
Pappi
Corsicato: Libera (1993, tre ep.: Aurora, Carmela, Libera), I buchi
neri (1995), I vesuviani (1997, ep. La stirpe di Iana)
Tonino
De Bernardi: Inventario degli inventari: nomade viandante, quasi
fuggiasco (1990, video), Italia ‘90: lavori in corso (1990, ep.,
video), Calcio sofferto e altro (1990, mm, video), Leçons de ténèbres
n. 1 & 2, n. 2 & 3, n. 3, n. 3 & 1 (1990-92, serie di
quattro mm video), Le quattro notti di un sognatore (1992, mm, video),
Uccelli che vanno, uccelli di terra, uccelli d’amore (1993, musica
dal vivo), Uccelli mendichi, uccelli d’amore, uccelli perduti (1993,
mm per due schermi con musica dal vivo), Uccelli desiderio (1994, mm
per due schermi con musica dal vivo), Piccoli orrori (1994), Sorrisi
asmatici (1995-97, trilogia con musica dal vivo composta da: Fleurs du
destin, poi sonorizzato nel 1998, La forza dell’illusione,
Interminabile illusione), Tutto quello che hai (1998), La vena
imperfetta (1998, mm, video), You Are My Destiny (1998, due parti: La
vita è così e La vita precedente: perdimi, video), Appassionate
(1999), Rosatigre (2000, video)
Antonietta
De Lillo: Matilda (1990, con Giorgio Magliulo), La notte americana del
dr. Lucio Fulci (1994, mm, video), Racconti di Vittoria (1996, tre ep.:
Pozzi d’amore, In alto a sinistra, Racconti di Vittoria), Viento
‘e terra. ‘E Zazi gruppo operaio (1996, mm, video), Saharawi, voci
distanti dal mare (1997, mm, video, con Patrizio Esposito e Jacopo
Quadri), Operai (1997, mm, video), I vesuviani (1997, ep. Maruzzella),
Osolemio (1999, mm, video)
Peter
Del Monte: Tracce di vita amorosa (1990), Compagna di viaggio (1996),
La ballata del lavavetri (1998), Controvento (2000)
Vittorio
De Seta: In Calabria (1993, tv)
Anna
Di Francisca: Memorie (1990, 5 x 50’, tv), Casa nostra (1991, 6 x
30’, tv), Felice (1992, 10 x 15’, tv), La bruttina stagionata
(1996), Un medico in famiglia (1998, primi 4 ep., tv), Fate un bel
sorriso (2000)
Luciano
Emmer: Basta! Ci faccio un film/Basta! Adesso tocca a noi (1990),
Foggia… non dirle mai addio (1996, mm, video), Bella di notte (1997,
mm), Incontrare Picasso (2000, mm, nuova versione restaurata-rimontata
di Picasso, 1954), Una lunga, lunga, lunga notte d’amore (2000)
Davide
Ferrario: La fine della notte (1990), American Supermarket (1991, 6 x
24’, tv), Lontano da Roma (1991, mm, video), Anime fiammeggianti
(1994), Materiale resistente (1995, con Guido Chiesa), Quattro passi
in città (1995, ep. Il figlio di Zelig, tv), Sul 45° parallelo
(1997, mm, video), Partigiani (1997, mm, video, con Guido Chiesa,
Antonio Leotti, Marco Puccioni, Daniele Vicari), Tutti giù per terra
(1997), Loro (1998, mm, tv), Comunisti (1998, mm, video, con Daniele
Vicari), Figli di Annibale (1998), Guardami (1999)
Marco
Ferreri: Le banquet/Il banchetto di Platone (1988-92, tv), La casa del
sorriso (1990), La carne (1991), Diario di un vizio (1993), “Faictz
ce que vouldras” (1994, mm, tv), Nitrato d’argento (1996)
Giuseppe M. Gaudino: Per il rione Terra. Note e memorie (1990, video),
Calcinacci (1990, mm, video, con Isabella Sandri), Italia ‘90:
lavori in corso (1990, ep., video), Joannis Amaelii, animula vagula et
blandula (1992, mm, video), Giro di lune tra terra e mare (1997), La
casa dei limoni (1999, mm, video, con Isabella Sandri)
Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi: Uomini, anni, vita (1990),
Prigionieri della guerra (1995), Nello specchio di Diana (1996, mm,
video), Su tutte le vette è pace (1998), Inventario balcanico (2000)
Stefano
Grossi: Due come noi, non dei migliori (1999)
Fiorella Infascelli: Zuppa di pesce (1991), Lazio (1995, 3 x 30’,
tv), Italiani (1998, mm, tv), Viaggio in musica (1999, mm, tv),
Conversazione italiana (1999, mm, tv)
Giovanni
Davide Maderna: Com’è bella la città. Scrittori e città (1997, ep.
Milano, video), Questo è il giardino (1999)
Armando Manni: Elvjs & Merilijn (1998)
Mario Martone: Morte di un matematico napoletano (1992), Lucio Amelio/Terrae
motus (1993, mm, tv), Rasoi (1993, mm), L’amore molesto (1995),
Finale di partita (1996, tv), Oltre l’infanzia – 5 registi per
l’UNICEF (1996, ep. Una storia Saharawi, tv), I vesuviani (1997, ep.
La salita), Teatro di guerra (1998), La terra trema (1998, mm, tv, con
Jacopo Quadri), Appunti da Santarcangelo (1998, mm, video), Una
disperata vitalità (1999, tv)
Pasquale Misuraca: Non ho parole (1992, cinque ep.: Distanze di
sicurezza, Di che colore dicevi?, Le leggi del grigio, Da un certo
punto di vista, Chi sei?), Le ceneri di Pasolini (1993, video),
Ciprioti (1994, mm, video), Vita all’incontrario di Mimmo Pesce
(1994, mm, video), Prin tin arxi/Prima di cominciare (1997, video), Al
secolo Totò (1998, video), Fé y controversia en Yumbel (1999, mm,
video), Retrato del Padre Pedro Campos (1999, video), Retrato del
Padre Esteban Gumucio (1999, mm, video)
Nanni Moretti: La cosa (1990, mm, tv), Caro diario (1993, tre ep.: In
vespa, Isole, Medici), Aprile (1998)
Gianfranco Pannone: Piccola America. Gente del nord a sud di Roma
(1991), Lettere dall’America (1995, mm), Ombre del sud (1997,
video), L’America a Roma (1998), Pomodori. Viaggio nell’identità
italiana (1999, mm, tv)
Franco Piavoli: Nostos – Il ritorno (1990), Voci nel tempo (1996)
Giuseppe Piccioni: Chiedi la luna (1991), Condannato a nozze (1993),
Cuori al verde (1996), Le parole del cuore (1998, mm, tv), Fuori dal
mondo (1999)
Salvatore Piscicelli: Baby Gang (1992), Tutti del bosco (1998, mm, tv,
con Carla Apuzzo), Il corpo dell’anima (1999)
Michele
Placido: Pummarò (1990), Le amiche del cuore (1992), Un eroe borghese
(1995), Del perduto amore (1998)
Pasquale Pozzessere: Altre voci (1990, mm), Le sirene di carta (1991,
mm), Verso sud (1992), Padre e figlio (1994), Testimone a rischio
(1997), Com’è bella la città. Scrittori e città (1997, ep. Roma,
video), La vita che verrà (1998, serial tv)
Alberto Rondalli: Quam mirabilis (1994, mm), Padre Pio da Pietralcina
(1997, tv)
Marco Risi: Ragazzi fuori (1990), Il muro di gomma (1991), Nel
continente nero (1992), Il branco (1994), Bambini al lavoro (1996, mm,
tv), Oltre l’infanzia – 5 registi per l’UNICEF (1996, ep. Eyup
Eyup, il bambino dell’Anatolia, tv), L’ultimo capodanno (1998)
Gianfranco Rosi: Boatman (1994, mm)
Alessandro Rossetto: Il fuoco di Napoli (1996, mm), Bibione Bye Bye
One (1999)
Daniele Segre: Tempo di riposo (1991, mm, video), Partitura per volti
e voci. Viaggio tra i delegati CGIL (1991, video), Nord-sud. Ricchezza
e povertà in Italia (1992, mm, video), Manila Paloma Blanca (1992),
Crotone, Italia (1993, mm, video), Corso di formazione per giovani
delegati: solidarietà, autonomia dai partiti, democrazia (1993, mm,
video), Dinamite (Nuraxi Figus, Italia) (1994, mm, video), Non ti
scordar di me (1995, mm, video), Come prima, più di prima, t’amerò
(1995, mm, video), Diritto di cittadinanza (1996, mm, video), Sei
minuti all’alba (1996, mm, video), Quella certa età (1996, mm,
video), Azienda sanità (1996, mm, video), Un solo grido lavoro (1996,
mm, video), Paréven furmìghi (1997, mm, video), “Pa prou!”.
Giochi primaverili in territorio francoprovenzale (1997, mm, video),
Sto lavorando? (1998, mm, video), E pensare che eri piccola… (1998,
mm, tv), Sinagoghe, ebrei del Piemonte (1999, mm, video), A proposito
di sentimenti… (1999, mm, video), Protagonisti, i diritti del
Novecento (2000, mm, video)
Silvio
Soldini: L’aria serena dell’Ovest (1990), Musiche bruciano (1991,
mm, video), Un’anima divisa in due (1993), Fate in blu diesis (1994,
mm, video), Made in Lombardia (1995, mm, tv, con Giorgio Garini), Le
acrobate (1998), Case cose città (1998, mm, tv, con Giorgio Garini),
Il futuro alle spalle (1999, mm, tv), Rom Tour (1999, tv, con Giorgio
Garini), Pane e tulipani (2000)
Sergio Staino: Io e Margherita (1990, mm, tv), Non chiamarmi Omar
(1992)
Gianluca Maria Tavarelli: Portami via (1994), Un amore (1999)
Roberta Torre: Angelesse (1994, mm, tv), Appunti per un film su Tano
(1995, mm, video), Quattro passi in città (1995, ep. Verginella, tv),
La vita a volo d’Angelo (1996, mm, video), Tano da morire (1997),
Com’è bella la città. Scrittori e città (1997, ep. Palermo
bandita, video), Sud Side Story (2000)
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