Recensione/Mission Impossible
2
Paola Casella
Mission
Impossible 2, diretto da John Woo, scritto da Robert Towne, con Tom
Cruise, Thandie Newton, Dougray Scott, Ving Rhames, John Polson
Che cosa si può dire di un filmaccio d'azione americano costato
centinaia di miliardi e pensato per guadagnarne perlomeno altrettanti?
Si può apprezzarlo secondo i suoi canoni, trattandolo come
l'equivalente di un sacchetto di pop-corn: sfizioso, leggero,
soddisfacente anche se privo di qualsiasi valore nutritivo. Oppure si
può tentare di cavarne una serie di considerazioni
pseudo-intellettuali.
Diciamo subito che, come puro prodotto di entertainment, Mission Impossible 2 funziona, ma non convince fino in fondo.
Alcune scene sono davvero eccezionali, dal mero punto di vista
della spettacolarità: prima fra tutte quella della scalata, da parte
dell'agente segreto Ethan Hunt (Tom Cruise), della parete di un canyon
di Moab, già anticipata dai trailer, ma ancora più sorprendente
nella sua interezza, perché se da un lato è evidente che Tom Cruise
non si è servito di una controfigura, dall'altro pare impossibile che
la compagnia che ha assicurato il film abbia potuto permettere alla
sua star di rischiare così l'osso del collo.
Mission
Impossible 2 appartiene al filone ideologico secondo cui un film
deve soprattutto farti provare sensazioni nuove e portarti in posti
che non hai mai visto, mostrandoteli da prospettive insolite e
popolandoli di creature più belle e in gamba di quelle che avrai mai
occasione di incontrare nel corso della tua esistenza mortale.
Perciò M:I-2 (come
lo chiamano familiarmente gli americani, maniaci degli acronimi) ci fa
vedere Sydney dal mare e ballare il flamenco a Siviglia, ci fa
sperimentare la discesa a rotta di collo dal tetto di un grattacielo e
ci lancia in un inseguimento mozzafiato al volante di una Porsche.
Vertigini, senso di soffocamento, mal di mare: li proviamo tutti, come
se fossimo noi i protagonisti della storia. E magari ci sentiamo anche
invincibili come Tom Cruise, qui al massimo della sua forma fisica, o
come Thandie Newton, splendida anglo-africana che gli fa da partner
sullo schermo.
Purtroppo le scene d'azione, che si moltiplicano in un crescendo da
fuochi d'artificio con immancabile gran finale pirotecnico, sono così
tante e così affastellate da diventare noiose, e la trama è così
esile da non riuscire a coinvolgere gli spettatori a un livello che
vada oltre la pura superficialità.
E' vero che a un film d'azione non si chiedono né particolare
plausibilità né rigorosa coerenza, e che lo sviluppo dei personaggi
può essere limitato all'essenziale, ma se per caso la trama ha un
senso e i protagonisti una motivazione vera siamo tutti più contenti
e ci divertiamo di più.
Un po' di background: Mission
Impossible 2 è il seguito di Mission
Impossible, il film del 1996 diretto da Brian De Palma e
interpretato da Tom Cruise che si ispirava all'omonima serie
televisiva americana, seguitissima fra la fine degli anni Sessanta e
l'inizio dei Settanta. Il sequel vede ancora Cruise nei panni del
protagonista, e il gigante nero Ving Rhames in quelli del suo partner
e alleato Luther Strickell, esperto di alte tecnologie. Per il resto tutto è cambiato: il regista, arrivato a
Hollywood via Hong Kong, lo sceneggiatore Robert Towne, mitico per
aver firmato il copione di Chinatown
(e in seguito autore di alcune nefandezze), e gli altri interpreti:
Thandie Newton nei panni dell'affascinante ladra Nyah Hall, l'attore
scozzese Dougray Scott in quelli di Sean Ambrose, l'arcinemico di
Ethan Hunt, John Polson in quelli di Billy Baird, un alleato di Hunt
(così poco caratterizzato da risultare invisibile), più un Anthony
Hopkins (a sorpresa, perché il suo nome non appare nei titoli) nel
cammeo di gran capo dei servizi segreti.
La trama è semplice, anzi, inconsistente (un critico americano ha
osservato: "le scene d'azione sono
la trama"): Ethan Hunt viene incaricato di mettersi alla caccia
di un pericoloso criminale, Sean Ambrose appunto, che si è
impossessato di un virus letale, il Chimera, e del suo antidoto.
Ambrose è un imprendibile: l'unico modo sicuro di stanarlo è
quello di attirarlo come una mosca al miele, laddove lui è la mosca e
il miele è Nyah Hall, sua ex fidanzata. Peccato che Ethan Hunt, al
momento dell'ingaggio, si innamori di Nyah, ovviamente ricambiato.
Da quel momento la storia non è più quella di due nemici a
confronto ma quella di un triangolo amoroso in cui rivalità, gelosia
e testosterone entrano simultaneamente in gioco.
Lo spunto più interessante, poco sfruttato anche se perfettamente
nelle corde di John Woo, è il fatto che Ambrose sia un ex agente di
Mission Impossible così simile a Ethan Hunt da essere stato usato
spesso in passato come suo sosia. Non è solo una questione di
somiglianza fisica, anche perché nell'arco di tutto il film i
connotati dei vari personaggi vengono alterati grazie a maschere e
chip vocali in grado di consentire repentini e ripetuti scambi di
identità anche fra chi non si assomiglia. Sean Ambrose è la brutta
copia di Ethan Hunt, il suo eterno understudy. Il suo doppio in
negativo: non dimentichiamo che Woo è stato il regista di Face/Off,
in cui John Travolta e Nicolas Cage, buono e cattivo, si scambiavano
facce e personalità. Sean Ambrose è un angelo del bene diventato
angelo del male per invidia, per complesso di inferiorità: Lucifero,
se vogliamo entrare nel terreno del mito.
E John Woo ci entra spesso e volentieri: i suoi
action movie, da Senza tregua
a Nome in codice: Broken Arrow al già citato Face/Off, scomodano spesso la mitologia, sollevando temi come la
responsabilità dell'eroe o l'ambiguità del doppio. La sensibilità
registica di Woo è stata definita "operistica" per la
capacità di ampliare a dismisura le emozioni e di renderle
melodrammatiche. E anche in Mission
Impossible 2 c'è un romanticismo da sceneggiata come contraltare
alle scene d'azione. Al mito si fa anche riferimento diretto: il virus
Chimera e il suo antidoto, Bellerofonte, sono (fin nei nomi) ispirati
alla mitologia greca, anche se l'illustrazione che compare sullo
schermo del computer dello scienziato responsabile della loro
invenzione fa pensare a quel medievalismo di ritorno che tanta parte
sembra avere nell'iconografia cinematografica legata alle nuove
teconologie. "Ogni eroe ha bisogno di un cattivo", esordisce
uno dei personaggi all'inizio del film, e pare di sentir parlare il
guru di Matrix.
Come in Matrix, anche in
M:I-2 l'atteggiamento verso
le nuove tecnologie è ambivalente: da un lato i gadget futuribili
fanno parte del cachet di Hunt e compagni, dall'altro tutto ciò che
è elettronico prima o poi si inceppa o fa cilecca - il computer di
Luther lo lascia in panne, i cavi elettrici gli acchiappano la giacca,
i pannelli di accesso di un grattacielo non si aprono alla velocità
prevista. Persino la minaccia al centro della storia, quella del
contagio da virus, ha un risvolto tecnologico (oltre che un evidente
collegamento all'Aids): quando si dice nel film che i virus vengono
creati appositamente per poterne poi vendere l'antidoto, non si può
non pensare a quante volte abbiamo sospettato che il nostro tecnico di
fiducia ci avesse innestato un melissa nel computer per poi poterci
far pagare un'ora di riparazione.
Numerose le analogie fra Mission
Impossible 2 e Matrix, ad
esempio le battaglie a colpi di arti marziali in cui domina l'assenza
di gravità (anche se l'azione coreografata come un balletto è un
marchio di fabbrica di John Woo, così come le sequenze in slow motion
che fanno tanto romantico); il look tutto nero dei due rivali; il mix
sapiente di effetti speciali e lingo tecnologico con volute ingenuità
(Un esempio? Sullo schermo del computer del gran capo degli agenti
segreti appare un'icona dal titolo Mission Archive - tanto per rendere
la vita facile a un hacker che, infiltratosi nel sistema, volesse
avere a disposizione l'elenco completo delle operazioni portate a
termine dai servizi segreti).
Mission Impossible 2 ricorda
però anche i film di James Bond - stesse femmine straniere, stesse
location esotiche, stesso incessante product placement, soprattutto di
firme italiane: Gucci, Versace, Bulgari, Bellini. E attinge all'intera
memoria cinematografica in materia di film d'azione e di suspence, da Notorius (per la trama triangolare, con l'eroina che si concede al
nemico per amore) a L'ultimo dei
Moicani ("Tu resta viva!!"), da Indiana
Jones e il Tempio Maledetto (la scena della pistola col virus che
schizza fra le schegge di vetro è speculare a quella della boccetta
di antidoto che schizza fra i frammenti di ghiaccio) al primo Mission Impossible (il lancio di Cruise appeso a un cavo che si
interrompe solo a un pelo da terra).
Se il rapporto fra Ambrose e Hunt è improntato alla rivalità
maschile, quello fra Hunt e Nyah Hall è imbevuto di sciovinismo, a
dispetto del dialogo. "A
Nyah penserà Nyah", asserisce Ethan, apparentemente confidando
nella sua capacità di cavarsela, ma scopriamo che lei ha intenzione
di suicidarsi, se le cose si mettono al peggio.
E anche se, quando i due si trovano sdraiati uno sull'altro in
una vasca da bagno, lei gli chiede: "Ti dispiace se sto
sopra?" e lui, politically correct, risponde "Per me è
indifferente", l'intera caratterizzazione di Nyah è quella
dell'eroina pronta a cedere tutto, compresa la virtù, per amore
dell'eroe (che infatti la spinge a prostituirsi per la causa
dell'umanità), ed è terribilmente infantile (Thandie Newton,
volitiva protagonista di L'assedio
di Bertolucci, appare qui come una teenager vulnerabile e
loliteggiante).
John Woo è più preoccupato di rendere la plasticità delle scene
d'azione che di conferire loro un minimo di realismo: basterebbe uno
solo degli scontri fra Ethan Hunt e il terreno/i pugni
dell'avversario/oggetti contundenti/una qualsiasi parete rigida per
mandarlo al pronto soccorso o al Creatore. I comportamenti dell'eroe
sono del tutto deliranti: il suo corteggiamento nei confronti di Nyah
comprende un inseguimento in automobile che mette a repentaglio la
vita di una serie di ignari guidatori. Ma questa è Hollywood, e questo è un action movie.
Al diavolo la credibilità, al diavolo il buon senso.
Peccato che manchi un po' di ironia, tanto più necessaria quanto più
il film diventa improbabile (James Bond docet).
L'unica battuta veramente divertente ha per bersaglio Tom
Cruise: quando a Sean Ambrose viene chiesto quale sia stata la parte
più faticosa dell'assumere le sembianze di Ethan Hunt, lui dice,
"Sorridere come un'idiota ogni 15 minuti".
Il più alto esempio di umorismo involontario, invece, ha luogo quando
Ambrose, invece di estorcere a un businessman una grossa somma di
denaro contante, preferisce assicurarsi una serie di stock option -
una strizzatina d'occhio alla new economy così priva di senso (ve lo
immaginate un criminale efferato che aspetta che il suo patrimonio
azionario arrivi a maturazione, sottoponendosi agli alti e bassi della
borsa?) da diventare un instant blob.
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