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Ricordando Gassman



Paola Casella



Ho intervistato Vittorio Gassman qualche tempo fa, per un saggio sugli italiani nel cinema americano.  Un'intervista, anche se lunga e approfondita, non è certo sufficiente a inquadrare un personaggio, men che meno a conoscere davvero una persona.  Ma mi sono allontanata da lui con l'impressione di aver stabilito un contatto, di aver avuto il privilegio di osservare da vicino un individuo straordinariamente vitale. Adesso che Gassman non c'è più, sento il bisogno di ricordare quell'incontro, e condividere le mie impressioni su uno dei più grandi interpreti del cinema e del teatro italiani e internazionali come uomo, più che come artista.

L'appuntamento era in un albergo di Milano.  Mi sono presentata puntuale, ma lui non era nella hall, come concordato.  L'ho fatto chiamare in camera.  Era furibondo.  Con voce tesa e ostile, mi disse che ero in ritardo di mezz'ora, e che per quanto lo riguardava l'intervista era cancellata.  Rimasi di stucco.  Per un banale qui pro quo rischiavo di perdere l'occasione di conversare con uno dei miei miti, oltre che con uno dei soggetti più importanti per il mio saggio. 

Glielo dissi, speigai che c'era stato un malinteso, e che mi ero recata a Milano apposta per quell'intervista.  Più che le mie ragioni, credo sia stato il mio tono disperato a fare breccia.  Dopo qualche minuto, Gassman è comparso nel vano dell'ascensore.  Sul viso, un'espressione amichevole, nonostante la stanchezza, le occhiaie, la magrezza esasperata e un residuo di tensione ancora evidente.

Durante tutto il corso della nostra conversazione si è mostrato disponibile e gentile, senza più alcun cenno all'incidente di prima: non una frecciatina, non una risposta frettolosa, reazioni frequentissime negli attori quando hanno l'impressione di non essere stati trattati con sufficiente sussiego.  Del resto, la generosità nel dare di sé è la caratteristica del Gassman attore che ha reso i suoi personaggi umani e comprensibili anche quando erano palloni gonfiati egocentrici come il protagonista del Sorpasso, come il colonnello cieco di Profumo di donna.


Era morto da pochi giorni Marcello Mastroianni.  Gassman l'ha ricordato con estrema nostalgia, con profondo rimpianto, come un amico del quale non avrebbe mai voluto dover fare a meno.  Quando gli ho chiesto che cosa di lui gli mancasse di più, rispose: "La tenerezza".  E io ripensai velocemente all'aneddoto che mi aveva raccontato anni prima una sua collega, che descriveva quando, in tournee, correva nel camerino per guardare di nascosto la foto di suo figlio piccolo, Jacopo, e poi tornava fra gli altri con gli occhi lucidi.

Mentre parlavamo, ci ha raggiunto un altro suo figlio, Alessandro, insieme alla moglie Sabrina.  Mancavano pochi giorni a Natale, e Vittorio e Alessandro dovevano scambiarsi i regali: un classico rituale da famiglia allargata dove il Natale non si passa insieme, e i doni vengono scambiati frettolosamente, senza neppure scartarli, con una punta di imbarazzo da parte di tutti i presenti.  Vittorio scherzava, predeva in giro il figlio e la nuorina.  Poi li abbracciava entrambi, con quella stessa tenerezza con la quale doveva aver guardato la foto di Jacopo, più ruvida però, meno scoperta: erano tutti adulti, tutti "grandi".

Ricordo di aver pensato, osservando padre e figlio, che nonostante Alessandro fosse anche più bello nella realtà che sullo schermo, Vittorio restava dei due il più attraente, anche se plurisettantenne, anche se consumato dalla vita, e dalla depressione, che l'aveva segnato come uno scalpello.  Mi aveva fatto sorridere quando, durante l'intervista, Gassman aveva tirato fuori la sua grinta da seduttore, eppure avevo dovuto ammettere con me stessa che se ci avesse provato davvero, probabilmente non sarei rimasta insensibile, anche se fra noi correvano oltre  40 anni.


Mi è sembrato che mettesse su uno spettacolino solo per me, dimostrandosi esauriente, brillante, puntuale. Un istrione, un affabulatore in grado di farti ridere con una battuta pepata e poi sorprenderti con un commento di delicatissima sensibilità, con un'intuizione particolarmente sottile. Vittorio Gassman aveva già dimostrato tutto - la sua bravura di interprete, la sua genialità di artista, la sua statura di personaggio - eppure era lì a dedicare il suo tempo e le sue energie a raccontare nei dettagli, con genuina partecipazione, un pezzo della sua vita a una giovane giornalista, sapendo di contribuire a un progetto che non avrebbe aggiunto nulla alla sua fama, ma il cui argomento gli sembrava interessante.  Alla fine, mi ha chiesto di spedirgli una copia del saggio. L'ho fatto, dedicandolo al Grande Mattatore.

Al mondo Gassman ha lasciato una galleria di personaggi indimenticabili, da Brancaleone al furfante dei Soliti ignoti, dal milanese della Grande guerra al patriarca della Famiglia.  A me resta il ricordo di una persona sensibile e dolcissima, e un senso di vuoto, adesso.





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