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Recensione/Accordi e disaccordi


Paola Casella

 

Accordi e disaccordi, scritto e diretto da Woody Allen, con Sean Penn, Samantha Morton, Uma Thurman, Woody Allen

Da tempo - almeno dall'uscita di Mariti e mogli - non riesco più a guardare un film di Woody Allen senza provare un'amarezza profonda, un senso di disperazione così totale da restarne quasi annichilita. E succede anche se ho passato metà della proiezione a ridere. Un esempio per tutti? Tutti dicono I love you, la commedia più tragica e priva di speranza sul tema dell'amore della produzione alleniana. Se non fosse perché comunque Woody rimane un regista di classe, avrei smesso di farmi del male andando a vedere i suoi nuovi film.

Per fortuna ho tenuto duro fino ad Accordi e disaccordi, che pur nella sua amarezza - dichiarata, questa volta, e forse per questo più accettabile - è un film di grande pietas e di irresistibile tenerezza. Accordi e disaccordi è la fantabiografia del chitarrista jazz Emmet Ray (Sean Penn) che durante gli anni della Grande Depressione gira l'America cercando di affermarsi come il migliore nel suo genere, pur essendo dolorosamente cosciente che il numero uno, il gitano (realmente esistito) Django Reinhardt, sarà sempre un po' più bravo di lui.


Il vero problema di Emmet non è tuttavia quello artistico: anzi, solo con in mano una chitarra lui prova qualcosa di simile alla felicità (o almeno un po' di sollievo dall'infelicità del vivere). Il dramma è che Emmet, in quanto artista, è convinto di non avere bisogno di nessuno, e che il fatto stesso di creare legami affettivi con gli altri - diciamolo, di innamorarsi - possa privarlo del proprio talento. Questa perversa teoria fa il paio con quella secondo la quale "se tiri fuori quello che hai dentro hai chiuso", quando invece è proprio l'incapacità di riversare completamente se stesso nella musica a impedire a Emmet di raggiungere la vera grandezza.

Neppure l'incontro con una ragazza muta, Hattie (Samantha Morton), anima gemella del chitarrista anche grazie al suo handicap (Hattie è in grado di ascoltare la musica e le chiacchiere di Emmet, ma non di rispondergli, così che lui può illudersi che la loro sia davvero una "relazione a senso unico"), riesce a farlo uscire dall'autismo emotivo al quale si è volontariamente condannato. Altro che Stardust Memories: è Accordi e disaccordi il più genuino tributo di Woody Allen a Federico Fellini. Il rapporto fra Emmett ed Hattie rimanda infatti a quello fra Zampanò e Gelsomina, lui un "artista" egoista e brutale, lei una creatura indifesa e gentile, preda naturale (e alla fine carnefice involontaria) del proprio compagno di strada (non a caso anche Accordi e disaccordi è una sorta di road movie all'interno dell'avanspettacolo).


Quante volte Woody Allen ha affrontato il tema (fortemente autobiografico) della difficoltà - o incapacità - di amare degli artisti? Quante volte, con estrema (auto)ironia, ha fatto sì che il suo protagonista si barricasse dietro al proprio talento per non confrontarsi con la realtà, e soprattutto per non mettere in gioco le proprie emozioni? La differenza è che questa volta Allen, raccontando il dramma di un artista che non vuole o non sa amare, ha creato un personaggio a tutto tondo che è sì un suo alter ego, ma non una sua copia carbone (anche perché non viene interpretato personalmente da Allen, o da qualche suo clone, col solito corollario di tic e neurosi newyorkesi).

Questo piccolo film, girato con un'attenzione maniacale al dettaglio (splendide le scenografie di Santo Loquasto, splendida la fotografia di Zhao Fei, già responsabile di Lanterne rosse, accuratissima la scelta delle musiche, dei costumi, dei caratteristi - uno per tutti: John Waters) è una favola minore, raccontata come la tragedia di un uomo ridicolo nella sua ostinata determinazione a non lasciarsi contaminare dai sentimenti, eppure struggente nel suo desiderio di amare e di essere amato.

Quanta malinconia in queste inquadrature color seppia e ocra, in queste nuance di rosa antico e verde salvia, quanta nostalgia per un'epoca in cui la musica per tutti era musica da intenditori, per un mondo scomparso dove la luna era di cartone e le stelle si vedevano a occhio nudo, dal buio della strada. E quanto affetto, da parte del regista, per il suo Zampanò con la banana impomatata, un pappa col biglietto da visita, uno che appena prova a sollevarsi da terra scopre di soffrire di vertigini (e la metafora della falce di luna è molto più onesta di quella dei danzatori che si librano nell'aria in Tutti dicono I love you: Emmet sa di non riuscire a volare, i ballerini sulla Senna facevano finta di crederci).



Così il personaggio di Emmet Ray, l'uomo che non sapeva amare, diventa suo malgrado l'ultimo dei romantici, e ci fa riscoprire un Woody Allen tanto più commovente quanto meno è impegnato a cammuffare la sua disperazione esistenziale con storielle finto-ottimiste dall'immancabilmente a lieto fine.

Una parola sola per Sean Penn e Samantha Morton, attrice inglese al suo debutto americano: strepitosi. Lui da superbo bad boy si è trasformato in un prim'attore totalmente privo (almeno in questo film) di vanità personale. Lei ricorda le star del cinema muto, capaci di esprimersi con gli occhi, con la bocca (anche se non con la voce), con il corpo: mai visto tanto quieto carisma in una ragazza così apparentemente anonima.

I siti ufficiali del film:

In inglese, a cura della Sony Pictures Classics
Notizie, videoclip, foto di scena
http://www.spe.sony.com/classics/
sweetandlowdown/home.html


In francese, a cura della Pyramide Films.
Immagini del film, musica, note di produzione e di regia, link
http://www.pyramidefilms.com/accordsetdesaccords/

 

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