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Puglia, scenario ideale


Edoardo Winspeare con Chiara Lico


Non è stato il caso e non è stato il destino a farlo salire sul set. Lui che le idee tanto chiare non le aveva, amava l’arte, sì, ma tutta. Soprattutto quella che parla per immagini o l’altra, quella che racconta storie. E chissà, forse avrebbe fatto volentieri il pittore o lo scrittore. Poi l’incontro con il cinema, un rapporto iniziale da spettatore, una curiosità che cresce e la certezza, a soli quattordici anni, di riconoscere una strada già tracciata. È l’arte stessa ad aver deciso al suo posto, di questo è sicuro. Ma è felice di non aver avuto possibilità di scelta e ammette anche di essere un privilegiato: "Un regista è un voyer, ma dev’essere anche uno scopritore d’anime". E poi perché un altro lavoro no, lui non potrebbe neanche immaginarlo per sé.

Lui è Edoardo Winspeare, trentaquattro anni, "un po’ italiano e un po’ no, ma assolutamente salentino", un passato artistico costruito alla scuola di cinema di Monaco, un futuro in allestimento che già lo vede lavorare allo sviluppo di altre tre storie e un presente che lo impegna per l’uscita del suo secondo film, Sangue vivo. Che come il primo, Pizzicata, pluripremiato all’estero e quasi sconosciuto in Italia, è ambientato nel Salento, fa uso del dialetto e scandisce il tempo a ritmo di pizzica, "tutti aspetti che caratterizzano la mia terra" spiega il regista che vive a Depressa, vicino Lecce. E che per realizzare questo film ha cercato i propri produttori all'estero. "Si tratta di una coproduzione italo-canadese", spiega Winspeare, che aggiunge: "E' stato più facile per me perché il mio primo film, pressoché ignorato in Italia, ha avuto invece molta risonanza all'estero" (al punto da essere recensito positivamente da Janet Maslin, la severa critica del New York Times, n.d.r.).


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Ma come si fa a convincere i produttori stranieri a parlare di storie tanto lontane, di realtà locali tanto specifiche? "Non credo che quella di Sangue vivo sia una storia lontana. Penso, piuttosto, che se si è sicuri delle proprie idee si riesca a far appassionare anche gli altri. L'importante è che, attraverso una storia, si raccontino le storie, tutte le storie: la realtà. Insomma, mi piace pensare che 'chi parla del proprio paese, parla del mondo'", spiega il regista, facendo sua una frase di Tolstoij. "Questo è quello che ho cercato di fare parlando della mia terra". Una terra immaginata "come una nave nel Mediterraneo che collega Italia e Medio Oriente", sulla quale, però, "ancora si parla la lingua del popolo". Proprio come avviene in Sangue vivo, visto che gli attori parlano tutti in dialetto. E "non c’è il rischio di cadere nel particolarismo, perché è una storia che parla di sentimenti universali. Quindi, una storia universale".

Si racconta così, Edoardo Winspeare, parlando di sé attraverso la descrizione di una terra che "trasuda orgoglio, fierezza e forte autocoscienza della gente che la vive", perché un luogo "è un posto in cui ti trovi, in cui ti ritrovi". Ecco perché lui riconosce come sue città ideali quelle di mare: Venezia, New York o Napoli, che "è più capitale di Roma", perché "c’è l’italianità, quella tipica, magari anche bozzettistica, ma mai circoscritta. È una sorta di punto in cui confluiscono tutte le parti della nazione".

Soprattutto, però, questo regista "curioso, curiosissimo, anzi, onnivoro" e dalle origini aristocratiche dice di sé parlando dell’arte "che avvicina all’assoluto, alla verità, forse a Dio. Che, sola, permette di capire. Che, soprattutto, rende fortunati". E il cinema, in questo senso, è proprio come lui l’aveva immaginato: se è sentito, "mette a nudo i sentimenti". Come quelli che prova per i suoi film. "Sono i miei amori, le mie passioni vere" spiega il regista, "ma sono come storie d’amore avute in età diverse, perché diversamente li ho vissuti io: più immaturo e ingenuo il primo, Pizzicata, ma anche più sincero. Mentre Sangue vivo, è più riflessivo, pensato. Diversi tra loro, ma entrambi importanti per me".


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Il Salento, la Puglia. Una stagione cinematografica senza precedenti per questa regione che si è fatta raccontare da Piva (LaCapagira), Rubini (Tutto l'amore che c'è) e Comencini (Liberate i pesci) dalle angolature più diverse. Nel secondo film di Winspeare è proprio questa terra a togliere e dare, a negare e concedere, avvicinare e riallontanare attraverso un equilibrio tra le sofferenze umane, quindi vere e profonde, universali, e l’unicità di una tradizione che trova nei suoi propri mezzi (il canto, il ballo, la musica) la possibilità di riscattare sé e i suoi figli. E che per sé e per i suoi figli si fa sollievo, riposo, catarsi. Sottile, ma insistente, c’è l’idea di non dover andare poi lontano per sapere la felicità.

Ma che cosa motiva quest’ondata cinematografica che vede la Puglia come scenario ideale? "È una terra che sta vivendo con grande forza e dignità un momento drammatico" risponde Winspeare, che seguita: "E' una sorta di Far West in cui i confini, le regole, non ci sono quasi più: c’è il contrabbando, ogni giorno gente nuova che arriva da altri mondi, le abitudini che vengono stravolte. Tutto questo vuol emergere, chiede di essere ascoltato. E quando ciò avviene, vuol dire che c’è qualcosa da dire".

Il cinema: arte o mercato? "Non riuscirò mai a pensare al cinema come a un mercato. Credo, questo sì, che anche le passioni artistiche debbano trasformarsi in mestiere. In questo senso, ci sono interessi di cui tener conto e decisioni da prendere a tavolino. Ma un film, per me, è sempre un atto d’amore. Che quando finisce, anziché solo, ti ha reso libero. La libertà ...". Inciampa in questa parola e poi, dopo averci pensato, decide di cadere: "...per me è il valore più importante e non esito a dire che la cerco a tutti i costi, magari evitando di avere legami con persone, con cose. E questo vuol dire far rinunce dolorose", spiega Winspeare che quando pensa alle donne non esita: "sono la mia energia vitale". Parla della loro forza, di quel coraggio strano che gli danno "che te lo senti nello stomaco, nel cuore" e confessa di far cinema "perché amo le donne e credo in loro".

In che modo vorrebbe essere ricordato? "Come uno che ha regalato emozioni. Come uno che ha impiegato anni della sua vita a fare un film che poi sarà della gente, degli altri. Spero solo che si dica che è stato un buon lavoro".

 

 

 

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