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Recensione/Pane e tulipani


Paola Casella



Pane e tulipani, scritto da Silvio Soldini e Doriana Leondeff, diretto da Silvio Soldini, con Licia Maglietta, Bruno Ganz, Marina Massironi, Antonio Catania, Giuseppe Battiston

Silvio Soldini è un regista che continua a sorprendermi. Il suo primo film, L'aria serena dell'ovest, mi è parso uno straordinario debutto, e non solo per l'originalità della visione artistica nel raccontare una storia di piccoli incontri mancati, ma anche per il suo modo diverso di descrivere la realtà italiana contemporanea: ho visto L'aria serena dell'ovest negli Stati Uniti, e ricordo che i miei colleghi americani mi hanno chiesto, a fine proiezione, se davvero il regista fosse italiano, perché l'aria che si respirava nel suo film era quella di un ovest mitteleuropeo più che mediterraneo. Eppure nel profondo nord di Soldini avevo riconosciuto la mia Milano, e un'italianità proiettata sì verso l'Europa, ma anche animata da una necessità sentimentale tutta latina.

Non ho visto il secondo film di Soldini, Un'anima divisa in due, che mi era stato descritto come malriuscito e deludente. Del terzo, Le acrobate, ero rimasta entusiasta, tanto da pensare che Soldini, insieme a Cristina Comencini e a Paolo Virzì, ci stesse indicando il futuro del cinema italiano: solide radici provinciali, un tocco lieve ma deciso, la descrizione affettuosa e attenta di una società in cambiamento.

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Licia Maglietta

In particolare, avevo riscontrato molte somiglianze fra Le acrobate e Matrimoni della Comencini: la provenienza pugliese di alcuni dei personaggi, la fuga in treno da una parte all'altra dello stivale della protagonista, e soprattutto la volontà di mettere al centro della vicenda una donna di oggi, con i suoi dubbi e le sue contraddizioni: una volontà più sorprendente in Soldini che nella Comencini, perchè líidentificazione del regista con la protagonista è così assoluta da far pensare che dietro la macchina da presa ci fosse una mano, e una sensibilità, femminile.

Una volta Fiorella Mannoia ha detto di Enrico Ruggeri, autore di Quello che le donne non dicono, che era riuscito a raccontare le sue emozioni meglio di quanto avrebbe potuto fare lei stessa. Allo stesso modo il Soldini delle Acrobate e di Pane e tulipani, il film uscito nelle nostre sale in questi giorni, racconta le donne come loro stesse non si stanno raccontando (almeno al cinema, almeno in questo momento). Certo, entrambi i film sono cosceneggiati da Doriana Leondeff, e sicuramente anche a lei si deve la credibilità femminile della storia. Ma va a Soldini il merito di aver portato sul grande schermo un grande ritratto femminile e di aver dato carta bianca a una delle nostre attrici migliori, Licia Maglietta.

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Marina Missironi

Pane e tulipani vede protagonista Rosalba, interpretata appunto dalla strepitosa Maglietta (già comprimaria di Valeria Golino in Le acrobate), casalinga di Pescara che durante una gita turistica viene "dimenticata" in un autogrill dai compagni di viaggio, fra cui il marito e i due figli. Da questa "dimenticanza" scaturisce un'avventura che è tanto un percorso di evasione quanto il viaggio di una donna alla ricerca di se stessa.

Ciò che differenzia la storia di Rosalba da quella di altre donne alla scoperta di sè del grande schermo è la totale assenza di sturm und drang, di piagnisteo o di crisi di nervi alla Almodovar (anche se, come vedremo, Pane e tulipani deve molto al regista spagnolo). Rosalba, il cui nome stesso è radioso e rasserenante, affronta (sarebbe meglio dire accoglie) ogni evento come un'opportunità, senza imporsi scelte dilanianti (di qui la mancanza di tormento interiore) ma semplicemente lasciando che le cose succedano a lei come a qualunque individuo di passaggio in questa vita (e lo siamo tutti, di passaggio, ci ricorda il film).

Rosalba si ritrova a Venezia, la città palcoscenico, sospesa a metà fra sogno e realtà, e incontra un'umanità multiforme fra cui spiccano un cameriere islandese (preso a prestito da Nuvole in viaggio di Kaurismaki) interpretato con dolente comicità da Bruno Ganz, una massaggiatrice olistica (Marina Massironi, che qui come in Fuori dal mondo rivela la capacità di far emergere una forma particolare di delicatezza dalla caratterizzazione più estrema, quasi per contrasto) e un fiorista burbero e anarcoide (che ha la maschera di Felice Andreasi). Rosalba funziona per ciascuno da catalista e da tramite col mondo, tirandone fuori il meglio per il solo fatto di non volere nulla da loro, tranne il piacere della loro compagnia.

Ci sono in lei un candore, un'assenza di giudizio e pregiudizio, una disponibilità all'incontro quasi prepubescenti: e infatti Rosalba è, per prendere a prestito il titolo di un best seller americano già diventato film, una "girl, interrupted", una ragazzina il cui sviluppo ha subito una battuta d'arresto durante la fase adolescenziale. Così, nella sua fuga (o meglio, il suo allontanamento) dalla realtà di moglie e madre, Rosalba dorme in un lettino da teenager, legge romanzi per l'infanzia, riscopre i suoi talenti giovanili - l'abilità nel suonare la fisarmonica, strumento nostalgico ed evocativo per eccellenza, la capacità di memorizzare tutte le capitali del mondo, che il nonno ricompensava con un soldino.

Ricordiamo che Rosalba è una casalinga, e che quindi la paghetta del nonno è l'unico compenso che lei ricordi di aver mai ricevuto per le sue prestazioni. Fa dunque parte del suo viaggio alla ricerca di se stessa il procurarsi un lavoro a Venezia che le consente non solo di mantenersi ma anche di evidenziare le sue doti, in particolare il suo pollice verde, che scopriremo ignorato dai suoi familiari.

Ed è importante che, in questo, Rosalba segua le orme del padre giardiniere, e che le figure maschili nel suo passato ñ il nonno, il padre - siano positive. Pur schierandosi dalla parte delle donne, Soldini non demonizza infatti gli uomini, compresi i due figli maschi di Rosalba, insoddisfatti quanto lei della rigida divisione di ruoli anche sessuali (non è un caso che il figlio minore, quello che si fa le canne per noia, abbia tratti effeminati e capelli lunghi fino alle spalle), e persino Mimmo, il marito gretto e volgare (Antonio Catania), vittima anche lui delle aspettative legate al suo ruolo, al punto che si potrebbe ipotizzare un altro film con lui protagonista, alla ricerca di una nuova identità per il maschio latino del 2000.

"Stai ferma lì, non ti muovere", intima Mimmo a Rosalba quando lei lo chiama dall'autogrill. Ma le donne, soprattutto quelle di oggi, non stanno ferme: si muovono, cercano, cambiano. C'è chi se ne spaventa, e chi, come Soldini, o come l'Almodovar di Tutto su mia madre, aspetta incuriosito che siano le donne a indicare la via del futuro. Soldini ha fiducia in Rosalba, che è maldestra ma piena di risorse: non "un disastro" come si descrive lei stessa all'inizio, ma una che rompe le cose per costruirne di nuove e di migliori.

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Silvio Soldini sul set con Bruno Ganz

Rosalba sa di non essere impazzita, come le dicono il marito e la sua amante (poiché naturalmente lui ne ha una), spiazzati non tanto dalla sua bizzarra sparizione, quanto dalla sua completa assenza di sensi di colpa al proposito. La "pazzia" di Rosalba è una visione più ampia e generosa, più olistica di una realtà in cui il sogno può convivere con la veglia (di qui le apparizioni notturne alla Provaci ancora Sam, che invece di spaventarla le altre offrono nuove chiavi di lettura).

La sua ricerca ha come fine la libertà come "diritto inviolabile" dell'individuo, una libertà che nel corso di tutto il film prende il colore del cielo: sono celesti le pareti delle stanze in cui Rosalba soggiorna, è azzurro il suo cocktail nel nightclub, azzurro il suo vestito (e quello del suo uomo) nella scena finale. Silvio Soldini non ha paura di mostrare i colori nelle loro tonalità primarie, azzardando accostamenti che sfiorano il kitch, ma che invece fanno l'effetto dei quadri di Matisse (o dei fondali di Almodovar); non esita a dare ai colori un valore tematico e a riproporre la stessa tinta come sottolineatura. In questo si distacca dalla sua generazione di registi, sempre preoccupati di calcare la mano, anche quando servirebbe.

La tenerezza del regista nei confronti dei suoi personaggi si esprime attraverso i dettagli: l'abitudine di Rosalba di dividere tutto a metà, persino il pasto che consuma da sola a Venezia; la maglietta a righe dell'operaia indurita dalla vita, ma pronta a sorridere come una bambina se la vita gliene dà di nuovo l'occasione; gli acquarelli (con molto azzurro, naturalmente) appesi in casa di Fernando, a sfidare il grigiore della sua vita quotidiana.

Il personaggio di Fernando, interpretato da Bruno Ganz, è quasi un alter ego di Soldini, o almeno di come potremmo immaginarci il regista dopo aver visto L'aria serena dell'ovest: nordico (e i riferimenti al nord dell'Europa in Pane e tulipani sono molteplici), superficialmente algido e freddo e invece profondamente commosso e partecipe, programmaticamente serioso ma capace di cogliere l'umorismo anche nelle circostanze più drammatiche, apparentemente formale (il modo di esprimersi aulico di Fernando vale di per sè il biglietto del cinema) e invece ribelle alle costrizioni anche lessicali.

Soldini manifesta una particolare sensibilità per gli stranieri, non solo la ragazza Rom di Un'anima divisa in due o il cameriere islandese di Pane e tulipani (o il parente emigrato in Germania al quale Rosalba spedisce una cartolina, appena trovata la libertà) ma tutti coloro che si sentono estranei alle loro circostanze. E sta sempre dalla parte di chi cerca: il bambino che mette un annuncio per procurarsi nuovi genitori, Rosalba che cerca uno specchio per vedersi tutta intera, persino l'idraulico (Giuseppe Battiston) che si improvvisa investigatore privato per stanare Rosalba, e finisce invece per trovare ciò che inconsapevolmente stava cercando.

 

Il messaggio di Pane e tulipani è ottimista: nella vita è ancora possibile "fare quello che ci piace veramente". A giudicare dal senso di soddisfazione con cui il pubblico esce dalla sala dopo aver visto il suo film, direi che Soldini è riuscito a fare non solo quello che gli piace, ma anche quello che piace a noi.

 

 

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