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Le stagioni del cuore

Giacomo Campiotti con Paola Casella


La casa di Giacomo Campiotti è affollata dai ricordi di tanti viaggi in giro per il mondo, mescolati in modo apparentemente casuale, con studiata trasandatezza, proprio come nelle scenografie dei suoi film, in particolare il più recente, Il tempo dell'amore, nelle sale da venerdì 18. Si ha l'impressione che i film, la casa, e forse anche la vita di Campiotti siano diari di bordo in costante aggiornamento, zeppi di appunti, note, riflessioni.

Noi vi mostriamo (vedi articoli collegati) alcuni dei frammenti visivi che hanno accompagnato la preparazione di Il tempo dell'amore, e che Campiotti ha raccolto sia come guida per orientarsi meglio durante la creazione del film, che come materiale per la sua tesi di laurea, non in storia del cinema o dell'arte, ma in pedagogia ("Finalmente, a quasi vent'anni dall'ultimo esame"). Si tratta di storyboard, fotografie, schizzi confluiti nella texture del prodotto finito e utili per capire quanto lavoro di ricerca iconografia stia dietro alla realizzazione di un film. Ma Il tempo dell'amore lascia che gli elaborati costumi di scena e le accuratissime ricreazioni di ambiente ("merito della scenografa Paola Bizzarri", puntualizza Campiotti) rimangano sullo sfondo, perché in primo piano devono esserci (o meglio giganteggiare, come si conviene al grande schermo) le storie d'amore vissute dalle tre coppie protagoniste.

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Si tratta di tre storie ambientate in epoche e luoghi diversi: la prima in Africa all'inizio del secolo, protagonisti una quarantenne inglese sorella di un ufficiale dell'esercito britannico e il militare di cui si innamora, ricambiata - peccato che lui sia solo l'attendente del fratello, e che la differenza sociale fra i due sia causa di scandalo. La storia successiva è ambientata nella Parigi della seconda guerra mondiale, e narra le vicende di una flautista francese e un violinista russo che si amano ma non riescono a comunicare verbalmente, per via della differenza di linguaggio. La terza storia si svolge ai giorni nostri in una Torino anonima e straniante, dove Naty, ragazzina abbandonata a se stessa da un padre assente e una madre straniera, si reca ogni giorno a trovare un compagno di scuola in coma. La terza coppia in realtà esiste solo nella fantasia di Naty, in quanto il compagno di scuola non sa neppure - a livello cosciente, e stiamo parlando in termini medici - di essere l'oggetto delle sue attenzioni. Ma proprio questo rende l'amore di Naty il più puro - "il più maturo", dice Campiotti - in quanto del tutto altruista e disinteressato.

Nessuna delle tre storie è raccontata fino alla fine, perché ognuna sfocia nella successiva, e l'ultima riprende una battuta della prima, chiudendo un cerchio che, spiega Campiotti, rappresenta il ciclo stagionale dell'amore, perché "di storia d'amore ce n'è sempre una sola".

"Questo film nasce da un'esigenza personale", racconta il regista. "Ogni volta che andavo al cinema e vedevo una storia in cui i protagonisti si innamorano e sembrano destinati a vivere per sempre felici e contenti mi chiedevo: vorrei sapere a che punto sono fra tre anni, fra tre mesi - di questi tempi, anche fra tre giorni. Così ho deciso di girare un film, che poi non ho più fatto, come una vera e propria inchiesta sull'amore, e sono andato in giro a collezionare una serie di interviste sul tema, ritrovandomi per le mani tantissimi racconti d'amore. In realtà cercavo una storia d'amore grande, completa, ma non l'ho trovata. Però mi sono accorto che quei frammenti, quelle schegge impazzite di oggi e di ieri viste da lontano sembravano formare, tutte insieme, un disegno, un grande puzzle. Per questo le tre storie de Il tempo dell'amore si passano l'un l'altra il testimone, e costituiscono un film completo, una trama unica. L'amore va visto e accettato nel suo insieme, come le stagioni: non ci può essere il sole tutti i giorni, e nessuna stagione è migliore dell'altra, perché insieme formano il ciclo della vita, che si rinnova continuamente. Per questo non descriverei Il tempo dell'amore come un film a episodi, e direi anche che c'è un unico vero protagonista, cioè il sentimento dell'amore"

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Come ha scelto le tre interpreti femminili?

Il tempo dell'amore è un film visto dalla parte delle donne, per cui è stato fondamentale trovare le attrici giuste. Posso dire di aver fatto tre belle scoperte: Juliet Aubrey era stata apprezzata in Go Now di Michael Winterbottom, ma non era ancora un volto molto noto, e l'ho preferita a Greta Scacchi, più famosa ma secondo me meno adatta a interpretare la parte di Martha. Ci tengo a dire che, nonostante Il tempo dell'amore esca ora nelle sale, è stato girato più di due anni fa, e che quindi l'idea di mettere insieme sul grande schermo la Aubrey e Ciaran Hinds, che nel mio film ha il ruolo dell'attendente, è venuta prima a me che a Roberto Faenza (che ha affidato ai due attori i ruoli della coppia protagonista di L'amante perduto, nda), anche se sono ben contento che il film di Faenza abbia dato una maggiore notorietà a entrambi.

Nel caso di Natasha Regnier, che ha il ruolo della flautista della seconda storia, ho scelto proprio una faccia sconosciuta: fra le attrici francesi che si erano sottoposte al provino c'era anche Virginie Ledoyen, che già allora era famosa in Francia, e che dopo aver interpretato The beach accanto a Leonardo Di Caprio è diventata una star internazionale. Ma io ho insistito per dare la parte a Natasha Regnier, che all'epoca aveva interpretato solo un piccolissimo film. Fortuna ha voluto che, durante una lunga pausa di interruzione nella lavorazione de Il tempo dell'amore, che ha avuto un iter produttivo complicatissimo, Natasha abbia avuto il ruolo di protagonista ne La vita sognata degli angeli, che l'ha lanciata come interprete di primo piano e le ha meritato il Palmares come migliore attrice al Festival di Cannes.

Infine Natalia Piatti, la ragazzina che interpreta il ruolo di Naty, è mia nipote, figlia di mia sorella, ma è stata anche la scelta di casting più azzeccata, sia per la capacità di lasciar 'passare' ogni emozione attraverso il suo viso che per la sua forza di carattere, che è anche uno dei tratti salienti della personalità della Naty del film"

 

Come ha scelto le ambientazioni?

"Le scene africane sono state girate in Marocco, quelle parigine, a parte un paio di esterni, sono state riprese in studio in Italia, e le ultime sono ambientate nella Torino di oggi, una città che non ha volto, intercambiabile con molte altre metropoli moderne. Per distinguere ancor meglio le tre storie, ho usato per ognuna una tecnica cinematografica diversa e una diversa prospettiva. La prima storia, quella ambientata in Africa, è il classico filmone, perché deve rappresentare la fase dell'innamoramento, il momento in cui camminiamo a due metri da terra e tutto ci sembra grande e bellissimo; poi piano piano il film va a stringersi, per finire in una camera di ospedale dove tutto diventa essenziale. In generale ho cercato di mantenere sempre alta la tensione - direi quasi la temperatura - del film, perchè l'argomento, quello della potenza degli affetti, è comunque un argomento caldo"

 

Le storie che racconta nel film, sono tutte vere?

"Si: la prima è quella di mia nonna, che era figlia di un alto ufficiale e che si innamorò di mio nonno, un semplice attendente. Lo scenario non era l'Africa, e i protagonisti non erano inglesi, ma la situazione era molto simile a quella raccontata nel film. Le altre due storie mi sono state raccontate dagli intervistati e mi hanno molto colpito, soprattutto l'ultima."

 

Il tempo dell'amore è il frutto di una coproduzione internazionale: inglesi, francesi, olandesi, italiani. Come mai?

"Ormai so che anche in Italia i soldi per girare un film si trovano, perché li portano la sceneggiatura e il regista. Originariamente Il tempo dell'amore doveva essere realizzato dal produttore di Pretty Woman, ma volevano che lo girassi interamente in America e in lingua inglese. Ho detto no. E ho preferito una coproduzione europea che mi consentisse le risorse e il cast necessari per realizzare il mio progetto. Per me America, Italia, Giappone, è tutto uguale, l'importante è riuscire a fare i film che voglio fare, e poterli riconoscere come miei alla fine."

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I suoi film tendono comunque ad essere apprezzati più all'estero che in Italia.

"Il primo, Corsa di primavera, era un film minimo ma ha avuto successo soprattutto all'estero, ed è allora che ho iniziato a girare il mondo. Il secondo, Come due coccodrili, era stato ignorato in Italia, anche a causa di una cattiva promozione e distribuzione, e invece aveva riscosso grandi consensi all'estero, soprattutto in America dove era stato addirittura candidato al Golden Globe. Ricordo che a Los Angeles, dopo una proiezione all'uscita del cinema c'erano tutti gli agenti ad aspettarmi- ICM, CAA, William Morris - proprio come nei film. Sono stato bombardato di telefonate e incontri, Whoopi Goldberg mi ha invitato a casa sua - e lì quando ti invitano ti vengono a prendere in limousine - e mi ha detto: 'Voglio fare il mio prossimo film con te'. Poi però il progetto che mi ha presentato era orrendo e le ho detto, mi dispiace no. Anche Il tempo dell'amore è già stato presentato varie volte negli Stati Uniti, ha partecipato al Festival di Chicago e adesso sta facendo il giro delle università.

 

Qual è la caratteristica dei tuoi film che attrae il pubblico straniero?

"Non l'italianità, nel senso che i miei non sono film spaghetti e mandolino. Il calore, la partecipazione emotiva forte anche da parte mia come regista fanno però parte della nostra tradizione. Noi italiani abbiamo la reputazione di fare film più di cuore che di testa, e di certo Il tempo dell'amore è un film da capire più con la testa che con il cuore. In generale comunque credo che per il pubblico di tutto il mondo suoni un campanello ogni volta che un regista cerca di parlare al di là delle convenzioni, di mettersi in gioco, di andare in una direzione inesplorata.

 

Ci racconti di lei.

"Vediamo... sono nato a Casciago, in provincia di Varese, 42 anni fa. Sono arrivato al cinema per caso: facevo l'università a Bologna e lavoravo nei teatri di piazza. Mi piaceva l'idea di trovarmi un lavoro che non creasse una frattura con il resto della mia vita. Un giorno ho assistito alle riprese di un documentario a Rimini e ho visto dei disperati che si aggiravano sul set con un'aria da picari: per due o tre giorni li ho aiutati e ho scoperto che il loro era il lavoro più bello del mondo. Poi mi sono trasferito a Roma e ho avuto la fortuna di iniziare come assistente volontario di Monicelli, con cui ho girato tre film. Ho poi contribuito a fondare 'Ipotesi cinema', il gruppo voluto da Ermanno Olmi, per il quale ho realizzato i primi corti come regista. Ero già sicuro che quello fosse il mio mestiere, anche se continuo a considerarmi più un artigiano che un professionista, e men che meno un intellettuale: è un privilegio enorme poter raccontare le proprie storie, cercare le facce per interpretarle, i posti dove ambientarle.

Adesso sono affiancato da un celebre sceneggiatore, il russo Alexander Adabachian, quello di Oci Ciornie, per intenderci. Ci capiamo al volo: non lavoriamo mai seduti attorno a un tavolo, io scrivo perché lui è molto pigro e finge di non sapere l'italiano, lui mi aiuta a esprimere ciò che ho in mente. La cosa migliore che un regista può fare è comunicare ai suoi collaboratori il sentimento del film e vederli a loro volta diventare fonte di ispirazione.

Il mestiere di regista costringe a mille incontri, a mille collaborazioni. Mi piace lavorare con gente diversa da me: la troupe de Il tempo dell'amore proveniva da dieci paesi, c'erano inglesi, francesi, canadesi, marocchini. Mi piace la contaminazione, nel mondo come nel cinema. Io vivo fra Roma e Parigi, ho una fidanzata francese, appena posso vado in Marocco o in Oriente. Fa un po' ridere dirlo, ma mi sento cittadino del mondo, lo siamo tutti, anche chi fa finta di non saperlo, e lo saremo sempre di più. Personalmente ne sono felice, purchè si vada verso la ricchezza che deriva dalla diversità, e non verso l'omologazione."

 

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