"Vi è una suggestione tutta particolare, una luminosità pregnante e strana che
rende inimitabile il film in bianco e nero. Se i capolavori di Fellini fossero tinti con i
colori vivaci del cinema moderno, perderebbero senz'altro una componente essenziale della
loro bellezza. Sfumando leggermente il bianco e nero si ottiene inoltre la perfetta resa
visiva della memoria. I ricordi, a tratti nitidi, a tratti invece annebbiati dal tempo non
potrebbero essere tradotti ed eternati meglio che con queste due gradazioni, insieme
marcate ed evanescenti".
A parlare è Tullio Pinelli, vivacissimo novantenne torinese, indimenticabile
sceneggiatore di alcuni fra i piu' bei film di Federico Fellini. La sa lunga, Pinelli,
sulla memoria, lui illustre protagonista di quel mondo affascinante, quasi irreale, che
gravito' intorno al regista, e insieme custode privilegiato di un preziosissimo scrigno di
ricordi e aneddoti. "Incontrai Fellini a Roma negli anni '60 - racconta Pinelli - ma
la Roma di allora era cosi' diversa da quella attuale!... Pareva sospesa tra reale e
fantastico, divisa fra bizzarra quotidianita' e squarci di onirico. Ricordo perfettamente
il momento in cui incontrai Federico. Eravamo ad un'edicola di piazza Barberini, a pochi
passi da quella via Veneto che fu uno degli scenari della storia rappresentata nella
"Dolce vita". Guardavamo distrattamente (ironia della sorte) la prima pagina del
medesimo quotidiano. Fu un feeling immediato, ci presentammo e in breve nacquero la nostra
amicizia e la nostra collaborazione"

E' molto bello: sembra un incontro fiabesco...
In realta' la primissima volta che incrociai Fellini fu, in modo assai meno fiabesco,
alla Lux, che era la casa cinematografica dove si riunivano numerosi talenti ed esordienti
di allora. Ma la parola fiaba è appropriata per descrivere i piu' riusciti personaggi
felliniani, primo fra tutti Anita Ekberg, la star de "La dolce vita".
Lei ha detto che con Fellini nacque subito l'amicizia. Avevate molti tratti in comune?
Tutt'altro. Federico aveva ben dodici anni meno di me, era all'inizio della sua
carriera, eravamo diversissimi per carattere e personalita'. Cio' che ci accomunava era
una passione quasi maniacale per il palcoscenico, una volonta' ardita di raccontare ogni
tratto dell'esistenza e tradurla in immagini. Avevamo uno spiccatissimo senso della
meraviglia, pari a quello dei bambini.
Direi di partire proprio dalla figura del bambino per raccontare Fellini attraverso i
suoi capolavori.
C'è un uomo-bambino nei luna park della vita, c'è un bambino sulla spiaggia del
tempo. In queste due immagini-simbolo mi piace rappresentare, come in un flash, i film di
Federico. E' il sogno di un bambino quello dei giochi di luce, degli scrosci di fontane,
delle notti, dei luna park che compaiono ne "La strada". E' una bambina la
'fata' redentrice che appare al tormentato Marcello de "La dolce vita", ed è
ancora un bambino che chiude "Otto e mezzo".
Molti vedono proprio in "Otto e mezzo" una perfetta autobiografia del regista
romagnolo. Lei è d'accordo?
"Otto e mezzo" è senza dubbio un ritratto di Federico. Nell'Anselmi,
impersonato splendidamente da Mastroianni, c'è tutto Fellini, le sue idiosincrasie, i
suoi tic, le sue bugie, i suoi desideri, i suoi sogni e perfino il suo celebre cappello
nero. Pure nel triangolo amoroso, in quel Mastroianni che si divide tra moglie e amante,
fra dolcezza e sensi di colpa, realta' e immaginazione, si rivede Fellini. Io sono
personalmente legatissimo a questo film: sul set di "Otto e mezzo" conobbi
infatti la mia futura moglie, che aveva nel film il ruolo di Lumachina.

Come si lavorava con Fellini?
Inizialmente, quando eravamo entrambi sceneggiatori, ci dividevamo saggiamente i
compiti. Ciascuno poi, con la sua inseparabile macchina da scrivere, buttava giu' i suoi
pezzi. Poi Federico torno' alla regia e io mi divisi ora con Ennio Flaiano, ora con
Brunello Rondi. Alla fine ci riunivamo e revisionavamo insieme il lavoro fatto. Eravamo
molto piu' che colleghi: passavamo serate bellissime nelle osterie vicino a via Margutta e
in una birreria di piazza Santi Apostoli.
A tanti anni di distanza, cosa rimane oggi secondo lei del personaggio Fellini e dei
suoi film?
Federico in qualche modo puo' essere identificato con i suoi capolavori. Trovo che ci
sia nei film di questo regista geniale qualcosa di inesprimibile, una parvenza di magia
che li rende, pur dopo molto tempo, sempre nuovi, come fossero vestiti d'eterno. C'era una
atmosfera eccezionale e irripetibile in quel periodo: penso alla via Veneto popolata dai
paparazzi e dagli attori, alle star che risiedevano all'Hotel Excelsior. Roma...la dolce
vita...Marcello, hanno impresso un segno inconfondibile nella memoria collettiva, a
livello mondiale. Resta tutto, dunque, dei sogni di Fellini, come un ballo luminoso che
naviga sulle onde del tempo.