Nello spazio dell'ex-Mattatoio di Testaccio, a Roma, si svolge fino al 23 gennaio 2000
la XII edizione di Promo Immagine Cinema. Oltre al consueto concorso legato alle campagne
pubblicitarie cinematografiche dell'anno, che premia il miglior trailer, il migliore
manifesto e la migliore pubblicità radiofonica, quest'edizione ospita Si disapprova,
mostra sulla censura cinematografica, in particolar modo quella operata nei confronti dei
manifesti e delle locandine cinematografiche.
La maggior parte di noi, pensando alla censura (cinematografica o meno), percepisce la
sensazione forte di una sottrazione, di una mancanza: la censura, politica o di mercato,
è qualcosa che toglie, che trasforma in altro, che tratta il pubblico, la gente, noi,
come altro da sé, privandoci della possibilità di vedere o di capire coi nostri
strumenti critici.
Il cinema censurato ci provoca un ulteriore senso di frustrazione, d'impotenza coatta,
poiché la pellicola che noi vediamo nelle sale è necessariamente, ai nostri occhi,
l'unicum, il prodotto finale e definitivo, la successione d'immagini e dialoghi e
inquadrature scelti da un autore per raccontarci un qualcosa.

Nello spettatore informato c'è la consapevolezza dell'agire della censura, e, per
questo, il lettore attento sa, e lo sa come DNA acquisito, che ciò che vede è la massima
mediazione fra l'opera d'arte in senso stretto e il comune senso del pudore. Al cinema lo
spettatore, quando vede un film che sa censurato, ha chiaro che gli è già stato
sottratto - in ogni caso - qualcosa, che nulla e nessuno, se non la visione dell'opera
originale con occhio vergine, ormai impossibile quando già si conosce la versione
"censurata", potrà restituire alla sua fantasia. Quindi la violenza è in ogni
caso già subita, irrimediabile, anche quando il film venisse poi reintegrato nella sua
originaria formula.
E a poco vale l'odierno fiorire di "final cut" approvati dagli autori
originali oppure rimontati con faticose operazioni di ricostruzione a posteriori,
operazioni in cui grande è la frustrazione a fronte di filologici riassemblaggi,
ricostruzioni dove manca la voce degli attori, o dove i colori non sono più quelli, o le
pellicole si offrono a noi piene di graffi, di segni, di ferite dolorose, in cui forte si
sente la presenza di un qualche Torquemada, di uno Scarpia da operetta è intervenuto sui
nostri sogni prima ancora che noi potessimo sognarli.
Tuttavia, considerando che in una pellicola di durata media (ottanta-novanta minuti) i
tagli assommano a uno, due minuti (una scena oscurata, una battuta alterata) è quasi
impossibile riuscire a percepire in maniera netta l'umiliazione subita, se non quale pura
mozione d'ordine idealista contro la censura in sé per sé.
Ma nella mostra Si disapprova l'intervento della censura è lampante: l'ANICA e la
Cineteca Comunale di Bologna, in collaborazione con il Dipartimento dello Spettacolo del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, hanno ricostruito quarant'anni di pruderie
attraverso i manifesti e il materiale pubblicitario di 150 film.

Si disapprova ci mostra le cosiddette buste, i materiali pubblicitari inediti e le
immagini provenienti dagli archivi della censura cinematografica, e quindi il pubblico
può vedere - con i suoi tempi e non con i tempi imposti dalla pellicola - le operazioni
subite dai manifesti: le gonne allungate, le mani sovrapposte a coprire, le foto oscurate,
le richieste scritte dei censori di "togliere il sangue dal manichino", e
percepire meglio quali dietrologie si celino all'interno dell'opera del censore.
Per prassi, la società produttrice o la distribuzione devono richiedere il nulla osta
preventivo per il materiale pubblicitario, consegnando in alcuni casi una copia del
bozzetto originale e/o una fotografia del medesimo. Sul retro della singola fotografia
viene apposta l'autorizzazione o la non autorizzazione. Le diciture utilizzate sono
"si approva", "si approva ad eccezione di..", "si approva a
condizione che... ", "contrario alla richiesta", "disposto il
sequestro", "non si approva". In molti casi si è rintracciata la singolare
dicitura "si disapprova" (da questo il titolo della Mostra, naturalmente).
In Si disapprova cè moltissimo da vedere: il quadratino bianco apposto alle
immagini "provocatorie", uno stratagemma che nellambiente venne definito
"mettere le mutande" (dirette discendenti delloscuro
"braghettone" che imperversò sul michelangiolesco Giudizio universale), le
immagini sequestrate (si veda una splendida Anita Ekberg discintamente sdraiata, nel Zarak
Khan di Terence Young del 1957), oppure aerografate (una Gina Lollobrigida in costume, di
schiena, ne Le bambole, del 1965: nella locandina laerografo ha debitamente velato i
nobili lombi della diva).
Ci sono immagini cancellate con un colpo di penna, come a scuola (si pensi ai film del
ventennio con Osvaldo Valenti, grande attore del cinema del fascismo, che aderì alla
Repubblica di Salò e fu condannato a morte e giustiziato nel 45, il cui nome, nelle
riedizioni delle pellicole subito dopo la guerra - Harlem, di Carmine Gallone, 1943 e La
cena delle beffe, di Alessandro Blasetti, 1942 - venne depennato dai credits).
Ci sono i poster rinviati al mittente per le opportune modifiche, come lingenuo
bozzetto de La bisarca, film varietà di Giorgio Simonelli con Peppino de Filippo e
Silvana Pampanini, nella cui versione modificata e approvata si allungano i vestiti
mentre, naturalmente, i seni divengono meno pronunciati. Enormi ventagli vengono piazzati
a coprire i particolari impudichi (Paradiso delluomo, di Giuliano Tomei, 1963) e
persino il titolo del film, opportunamente ingrandito, viene utilizzato allo stesso scopo
(Poveri ma belli, di Dino Risi, 1956).
E a proposito di titoli: il manifesto de LAnticristo (Alberto de Martino, 1974),
che prevedeva appunto il solo titolo, in grande, con le due T in stampatello a riprodurre
due croci, una dritta e una rovesciata, naturalmente venne sequestrato.

Da un punto di vista squisitamente estetico, il trionfo della pruderie è l'enorme mano
bianca aggiunta a coprire una giovane Brigitte Bardot in Miss Spogliarello (En effeiullant
la marguerite, Marc Allegret, 1956) che ovviamente serve solo a rendere limmagine
molto più morbosa.
La politica agisce in vario modo, basta pensare al manifesto de La battaglia
dAlgeri (Gillo Pontecorvo, 1966), dove il prima e il dopo (lintervento
dellAmbasciata francese) sono separati dallapposizione di alcune fotografie
per nascondere la bandiera della Francia fra le mani dellindipendentista algerino.
Dal 1969 alla metà degli anni settanta, parallelamente alle questure, agì un comitato
preventivo composto da ANICA e AGIS (qualcosa di analogo al tristemente noto Codice Hays
americano): sono gli anni dellautocensura dei produttori e dei distributori. E, per
non incorrere nelle ire e nelle denuncie dei volontari del buoncostume, anche il prudente
esercente poteva apporre le adeguate "PROSSIMAMENTE" e "SOLO PER
OGGI" nei punti giusti, oppure ci pensava il parroco volonteroso - ricordate
Leopoldo Trieste il Nuovo Cinema Paradiso? - tagliando dai film tutti i baci e le
scene di sesso.
Non che il cinema non sia a sua volta vendicato dei censori: basta ricordare Le
tentazioni del dottor Antonio, lepisodio di Boccaccio70 (1962) diretto da
Federico Fellini, in cui Peppino de Filippo disegna una ridicola figura di ipocrita
benpensante che misura le gambe delle sedie (ispirato, si dice, a Oscar Luigi Scalfaro,
prima dei fasti presidenziali) o Il moralista di Giorgio Bianchi, (1959), dove Rodolfo
Sonego e Alberto Sordi tratteggiano una figura di censore ispirata al più che noto
Agostino Greggi, onorevole democristiano e animatore dellAssociazione dei genitori
cattolici.
L'operazione di cui è frutto Si disapprova è il progetto d'informatizzazione del
materiale cartaceo contenuto nelle oltre 93.000 pratiche depositate presso il Ministero
per i Beni e le Attività Culturali - Dipartimento dello Spettacolo, dove sono custoditi i
documenti relativi alle richieste di autorizzazione alla diffusione di tutti i film
distribuiti in Italia dalla fine del 1944 ad oggi.
Alla mostra si accompagna una pubblicazione che ricostruisce la lunga storia della
censura italiana (la Revisione Cinematografica, l'organismo che provvede in Italia ad
autorizzare le proiezioni in pubblico delle opere cinematografiche, fu istituita sin dal
1913) e vanta gli interventi di alcuni dei maggiori cartellonisti del cinema italiano
incorsi nelle ire della censura.
Vi e' piaciuto questo articolo?
Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui