Essere John Malkovich, diretto da Spike Jonze, scritto da Charlie Kaufman, con John
Cusack, Catherine Keener, Cameron Diaz, John Malkovich
Qualche volta, per cogliere fino in fondo i pregi e difetti di un film, bisogna
osservare le reazioni del pubblico in sala -- e parlo di un pubblico generale, non della
selezionata platea di critici che assiste alle proiezioni per la stampa. Nel caso di
Essere John Malkovich, la reazione degli spettatori diventa parte integrante del film,
come succede per una rappresentazione teatrale - non a caso il film si apre con una scena
in palcoscenico. Così ci si accorge che durante la proiezione in sala non vola una mosca,
l'attenzione rimane costante, tesa, anche se (o forse proprio perchè) la trama del film
è arzigogolata fino all'inverosimile, e inverosimilmente surreale. E all'uscita il
commento più sentito è:"Come ha fatto l'autore del film a farsi venire in mente
un'idea del genere?".
L'idea, concepita dallo sceneggiatore televisivo Charlie Kaufman, al suo esordio come
autore cinematografico, è a grandissime linee la seguente: Craig Schwartz (John Cusack),
un burattinaio che stenta a campare della sua passione-professione, cede alle necessità
alimentari e si fa assumere come impiegato presso una strana ditta collocata al piano 7 e
mezzo (cioè quello che sta fra il settimo e l'ottavo) di un grande edificio newyorkese.
Lì incontra Maxine (Catherine Keener), una virago che farebbe felice qualunque
masochista: e poichè Craig è masochista nel profondo, si innamora perdutamente di lei,
che non lo ama niente.
Craig è sposato a Lotte (un'irriconoscibile Cameron Diaz), animalista frustrata e
dimessa che, invece che sviluppare gelosia coniugale nei confronti di Maxine, se ne
innamora a sua volta e scopre con lei (virtualmente, come vedremo) le gioie del sesso che
evidentemente il matrimonio le aveva fino a quel momento negato. Il matrimonio fra Craig e
Lotte è, a dire il vero, un lampante esempio di come i buoni propositi non c'entrino
nulla con l'amore: dietro l'esistenza new age della coppia, fatta di rispetto per l'arte
(rigorosamente povera), di amore per la natura e di apparente comprensione reciproca si
nascondono i soliti egoismi di due individui che vogliono ancora divorare ed essere
divorati, come succede fra coloro che si desiderano davvero, alla faccia del politically
correct.

La denegerazione morale (e la contemporanea affermazione vitale del sè) di Craig e
Lotte trovano in Maxine un perfetto catalizzatore, e in John Malkovich un veicolo ideale
-- e stiamo parlando di veicolo vero e proprio. Craig scopre infatti, all'interno della
ditta per la quale lavora, una porticina che da accesso ad un cunicolo che consente a
chiunque lo attraversi (o lo risalga, come un canale di nascita) di ritrovarsi dentro la
testa e il corpo di John Malkovich, sì, proprio lui, l'attore di Le relazioni pericolose,
del Tè nel deserto e di Ritratto di signora.
Perchè proprio John Malkovich? Qui bisogna aprire una parentesi e fare un po' di
agiografia americana. Negli Stati Uniti, Malkovich non è considerato un semplice attore,
ma un prodigio di creatività, un talento rinascimentale, l'artista geniale e versatile
che tutti vorrebbero essere. Nel film viene ripercorsa brevemente la sua folgorante
carriera di interprete, ma anche di regista e autore teatrale (ricordiamo che Malkovich ha
vinto vari premi, tra cui il Tony a Broadway), fondatore della compagnia Steppenwolf di
Chicago. Inoltre Malkovich (e questo si sa anche in Italia) è considerato un sex symbol,
un brutto (e calvo) che piace proprio per la sua aria da intellettuale depravato, il
fascino torbido e perverso che ha fatto di lui il perfetto Valmont.
Essere John Malkovich, dunque, significa diventare (anche se solo per i 15 minuti di
Andy Warhol) un personaggio di successo, un seduttore irresistibile, un artista
realizzato: tutto ciò che Craig (ma anche Lotte e un'infinità di altri esseri umani
delusi dalla vita) non è mai stato. Inutile dire che la pragmatica Maxine subodora
immediatamente il business: la maggior parte della gente sarebbe disposta a pagare per
attraversare il tunnel miracoloso, e lei è pronta a emettere i biglietti.

Peccato che essere John Malkovich si riveli tanto liberatorio quanto devastante: come
ogni viaggio verso l'affermazione del sè, tira fuori dagli uomini (e dalle donne) tutte
le pulsioni più egoistiche e cannibali. Lo stesso Malkovich si rivela un personaggio
squallido e grigio (anche più di Craig, che pure nella sua versione impiegatizia ricorda
Fantozzi e Filini), un sessuomane onnivoro, un insicuro arrogante e pieno di paranoie:
insomma, "un biorioso sacco di merda", come verrà definito nel film. Onore al
merito al vero Malkovich, che non solo si è prestato a interpretare questa versione così
poco lusinghiera di se stesso, ma ci ha evidentemente preso gusto, diventando il più
patetico dei personaggi del film.
Il che è tutto dire: non uno solo fra i protagonisti di Essere John Malkovich risulta
attraente o simpatico, molto più commovente è la loro versione marionetta (strepitose le
creazioni - anzi, creature - di Kamela Portuges, così come i movimenti impressi loro dal
burattinaio Phillip Haber). Tanto le rappresentazioni teatrali che appaiono nel film,
specialmente quella intitolata "Danza della disperazione e disillusione", sono
davvero strazianti, quanto le traversie che affliggono i protagonisti della storia
appaiono ridicole: fra marionette antropomorfiche ed esseri umani legnosi e
macchiettistici sono senz'altro preferibili le prime.
Un po' Kafka (per l'angoscia esistenziale, la claustrofobia degli spazi) e un po' Gogol
(l'elemento grottesco, l'umorismo doloroso), il film sembra un adattamento letterario da
fine millennio, allucinato al punto giusto, e crudele verso tutti i suoi personaggi (basti
pensare al modo in cui parrucchiera e truccatore hanno infierito su Cameron Diaz). Il
risultato è un pasticcio metafisico sempre più alienante, eppure dotato di un fascino
ipnotico che tiene incollati alle sedie gli spettatori, come una delle performance di
Mandrake.
Della piece teatrale, Essere John Malkovich ha gli spazi angusti, i dialoghi lunghi e
convoluti, e le scene in palcoscenico, dove si muovono marionette cui l'illusione
cinematografica regala dimensioni superumane (solo a confronto con il burattinaio si
riveleranno alte poche decine di centimetri). Al cinema, l'antesignano principale è il
Brazil di Terry Gilliam, ma si sente (vede?) l'eco di tutta la flmografia di Tim Burton;
in televisione, il richiamo è agli episodi della serie Ai confini della realtà.

Il regista di video musicali Spike Jonze ha convoglito nel suo lungometraggio di
esordio la propria concezione alternativa del mondo, che passa attraverso la scelta di
attori underground (Cusack e Keener) e musicisti off (Bjork e Michael Stipe dei REM, il
John Malkovich della scena musicale americana, uno dei produttori del film), e che
dichiara la sua intenzione "diversa" nell'utilizzo (anche ingenuo e didascalico)
di inquadrature bizzarre, di soggettive stranianti.
Ciò che resta del film, al di là delle suggestioni visive e musicali, è tuttavia il
cinismo di fondo di una storia nella quale ognuno cerca soltanto il proprio immediato
appagamento (sensuale, sessuale, con voracia, con reciproco annullamento). Un cinismo che,
curiosamente, appare come una forma terminale di onestà: infatti il film condanna solo
Craig, che continua a mentire a se stesso, a delegare a sua esistenza agli altri, a vivere
per interposta persona.
Se gli altri personaggi utilizzano il corpo di John Malkovich per progredire verso la
conoscenza di sè, Craig, che fin dall'inizio dichiara la sua unica identità ("io
sono un burattinaio") rimane l'ottuso e parassitario ominide di sempre, l'unico che,
oltre a non imparare nulla dalla propria esperienza, si ritrova più infelice di prima,
vero eroe tragicomico che, credendosi manovratore delle vite altrui (come marionette,
appunto), finisce inesorabilmente manovrato dalla sorte.
Vi e' piaciuto questo articolo?
Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui