Lo scrittore davanti al grande schermo Daniele Del Giudice con Simona Ambrosio
Quali sono i film che hanno influenzato la sua scrittura?
Non si può parlare di singoli film, ma del cinema in generale. Da
bambino per me il cinema era il luogo. D'estate, in vacanza, era l'Arena, dove si andava
presto, quando c'era ancora luce, per trovare i posti migliori, e ci si sedeva in questo
spazio aperto aspettando che facesse buio. Ricordo un film di Syberberg su Hitler fatto di
pupazzi e immagini di repertorio. Durava otto ore e lo vedemmo in due serate.
Nella mia città, Venezia, a parte la Biennale d'inverno ci sono 4 o 5
cinema. Sono vecchi e piccoli, lo schermo ridotto, gli altoparlanti come casse, i sedili
in legno. Quando ero ragazzo esisteva la prima, la seconda visione e poi c'erano le
salette parrocchiali. I cinema di Venezia sono le ex salette parrocchiali, quindi si è
mantenuta una continuità di luogo.
Il Cinema è una miniera di suggestioni che la letteratura propone in
maniera differente. Non si possono riportare le immagini cinematografiche nella
narrazione, ma la forte dimensione epica, il mistero, l'allusione, quelli sì.
Non è importante ciò che si vede ma il "colpo" che alcuni
film ti danno. Da bambino, avevo 6 o 7 anni, venivo portato a vedere i film di Hitchcock.
Ricordo "Vertigo" che per molti anni ho conosciuto come "la donna che visse
due volte": James Stewart, appeso al cornicione all'inizio del film, mi procurava
un'emozione forte che si ripeteva nel finale sul campanile.
Ricordo un film di fantascienza, credo si chiamasse "Il pianeta
proibito". Veniva inviata un'astronave su un pianeta per vedere che fine avesse fatto
la missione precedente di cui non si avevano più notizie. Sul pianeta hanno luogo episodi
inquietanti; ci sono dei mostri non visibili che escono in alcune ore della notte. Sono i
mostri contenuti nelle coscienze di chi si trova in quel luogo. E' lo stesso tema che
viene poi ripreso da Tarkowsky in "Solaris".
Ricordo alcune sequenze del film: le impronte sulla sabbia senza la
persona che le generava e gli scalini dell'astronave che si piegavano sotto il peso di una
figura che non esisteva. Quando poi negli anni '70 mi capitò di rivedere quel film di
fantascienza alla televisione, le stesse immagini che da bambino erano state per me così
importanti non mi procurarono alcuna emozione.
Il fatto è che quelle immagini erano cresciute dentro di me, perchè
il cinema ha goduto fino alla metà degli anni '70 di un privilegio totale: non poteva
essere rivisto. Un libro lo potevi rileggere, la musica la potevi riascoltare, se volevi
vedere la Gioconda bastava comprare un catalogo. Il cinema viveva invece solo dentro di
noi, era la nostra personale camera oscura. Una scena continuava a crescerce nella nostra
fantasia, a essere reimmaginata, così come succede con gli eventi della vita..
Che cosa pensa della trasposizione cinematografica di opere letterarie?
Funziona meglio quanto più è distante dall'opera letteraria
originale: solo Visconti poteva fare del Gattopardo un altro capolavoro. Quando senti al
cinema la voce fuori campo ti rendi subito conto che ci sono dei nuclei letterari che sono
intraducibili al cinema. Il cinema può fare infinite cose, la letteratura può fare
infinite cose, ma l'uno non può fare tutte le stesse cose che fa l'altro. Ho incontrato
registi tanto dissennati da volere trarre dei film da alcune storie che ho raccontato.
Quando ci vediamo dico loro: fai quello che vuoi, cambia tutto, ma per l'amor di Dio,
fanne un film.
Ha mai pensato di collaborare alla sceneggiatura di un fim tratto da un
suo racconto?
Non ne sono capace, un po' perchè non so mettere mano su qualcosa che
ho già scritto, perchè è un'emozione che non ho più, e poi perchè la scrittura
cinematografica richiede un talento notevole che non possiedo.
Qual è il suo regista preferito?
Stanley Kubrick. Kubrick mi ha sempre aiutato per l'introspezione non
dichiarata dei suoi personaggi. In Rapina a mano armata tutto è basato sui tempi; c'è
una non sincronia tra un progetto e la realtà. E' talmente bello; ho sempre voluto
scrivere un racconto o il capitolo di un romanzo che avesse la stessa dinamicità, non
come cinematica ma come struttura temporale.
I film di Kubrick non sono solo belli e innovativi da un punto di vista
tecnico - la macchina da presa che segue il bambino sul triciclo in Shining, ad esempio.
Kubrick ogni volta trascina il cinema e lo spettatore, cui dice: vedi, il cinema può
anche andare da questa parte. Kubrick ci parla e trasla leggermente la maniera in cui
intendevamo il cinema.
Contaminazione quindi?
Colgo l'occasione per esprimere il mio stupore per la parola
contaminazione. Proprio adesso che alcuni virus vengono isolati e contrastati c'è una
continua riproposta di questo termine. La contaminazione c'è sempre stata. Si parla
spesso di cultura alta e cultura bassa, che equivale alla differenza tra il volgare e il
latino, tra la lingua dotta e quella parlata.
Rossellini e De Sica facevano cinema di contaminazione, così come
facevano Age e Scarpelli quando scrivevano i film per Totò. Del resto io non ho mai
pensato che Totò fosse su un altro livello rispetto a James Stewart: entrambi facevano
cinema. Sono uno dei pochi che ha visto Ultimo Tango a Parigi in tempo reale, ma sono
anche andato a vedere Ultimo Tango a Zagarolo, e non c'era nulla di disdicevole nel vedere
entrambi, l'unica differenza era che uno era drammatico e l'altro comico.
Quella che oggi si chiama contaminazione era per noi una camera aperta
continuamente. Non c'era cultura alta e cultura bassa: l'importante era ricevere il
maggior numero di sollecitazioni possibili e le potevi prendere sia da un film
"impegnato" che dalla sua parodia.
Quali sono i film dell'ultima stagione che le sono piaciuti di più?
L'ultimo anno è stato ricco di cinema. Basti pensare a Eyes Wide Shut,
al Truman Show, a Salvate il soldato Ryan. Salvate il soldato Ryan utilizza uno
stratagemma letterario che funziona sempre: l'inizio ti lascia credere che tutto il film
sia imperniato sullo sbarco in Normandia. Invece la storia prende una strada laterale:
bisogna recuperare un soldato perchè sono già morti i suoi fratelli e rispedirlo a casa.
La storia devia dal filone centrale per seguire una vicenda personale che poi si aggancia
nuovamente a quella principale. E' la stessa strada percorsa da Conrad: utilizzare un
punto di vista laterale per guardare la realtà. Mi piace vedere come alcune forme
narrative operano nel cinema. E' più facile cogliere la realtà da dietro le quinte,
anzichè di fronte.
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