L'outsider che allevava campioni Roger Corman con Simona Ambrosio
Roger Corman è poco conosciuto dal grande pubblico, Autore di B-movie, cioè di film
orgogliosamente di serie B, prevalentemente di genere horror, ha però fatto da guru a un
gruppo di giovani registi che avrebbero segnato la storia del cinema americano: da Francis
Coppola a Martin Scorsese, da Jonathan Demme a Ron Howard, da Joe Dante a James Cameron a
Peter Bogdanovich. La sua scuola, la cosiddetta "Corman Factory", negli anni
Sessanta è stata la fucina creativa che, in contrasto con le major di Hollywood, ha
contribuito a generare nuovi orizzonti nel cinema indipendente americano.
Roger Corman oggi ha 73 anni e non ha ancora appeso il cappello al
chiodo: continua a produrre film a basso costo, girati per lo più allestero, sempre
contro il sistema hollywoodiano, sempre ai limiti dell'avanguardia sperimentale.
Lultimo Festival del cinema di Locarno ha dedicato una retrospettiva alla sua opera,
e a quella dei Cormaniani.
Mr Corman, lei ha iniziato a fare cinema nei lontani anni 50: ci
racconta come è cominciata la sua carriera?
Ho studiato ingegneria per seguire le orme paterne ma ho subito
abbandonato quella strada. Già alluniversità lavoravo come critico
cinematografico, e dopo la laurea sono entrato alla 20th Century Fox con una
raccomandazione. Ho iniziato come fattorino, ma in pochi mesi sono diventato lettore di
sceneggiature. Ma siccome ero molto giovane, decisi di mollare tutto per passare un
po di tempo in Europa. Ho studiato letteratura a Oxford e ho vissuto a
Parigi.Tornato negli Stati Uniti, ho accettato qualsiasi lavoro mi venisse offerto a
Hollywood. Sono diventato agente letterario. Ho scritto una sceneggiatura e lho
venduta. Con i soldi che ho guadagnato - ventimila dollari - ho prodotto il mio primo
film. A questo sono seguiti altri due da produttore, e poi uno da regista.

Come mai ha deciso di passare alla regia?
Sapevo molto poco sulla regia a quel tempo. Però ho pensato che
dirigendo io stesso un film non avrei dovuto pagare un altro per fare quel lavoro. Se vuoi
imparare a fare qualcosa, devi farla in prima persona.
Che cosa ha imparato dalla regia?
Ho appreso gli elementi tecnici che servono a costruire il linguaggio
di un film: lutilizzo della macchina da presa, il montaggio. In questo sono stato
agevolato dagli studi in ingegneria. Ho incontrato però molte difficoltà nel lavoro con
gli attori e quindi ho deciso di iscrivermi a una scuola di recitazione. Avevo già fatto
qualcosa da dilettante ai tempi del college, ma seguire un corso di recitazione mi è
servito anche da un punto di vista personale: è lì che ho incontrato Jack Nicholson.
Dopodichè, era il 1960, Jack è apparso nel mio "Il Piccolo Negozio degli
Orrori".
Ci può raccontare come è nata lidea di quel film?.
E nata come una scommessa. Ero a pranzo con il capo di un rental
studio e lui mi disse che aveva un set pronto che nessuno avrebbe utilizzato. Gli dissi
che avrei affittato lo studio per due giorni. Era un esperimento; volevo vedere se potevo
fare un film in due giorni. Charles Griffith scrisse il film e lesperimento riuscì.
Nel 1960 ha anche iniziato con "I vivi e i morti" il ciclo
di film tratti dallopera di Edgar Allan Poe. E vero che ha sempre utilizzato
lo stesso set?
Sì, avevamo preso in affitto degli appartamenti negli Studios in cui
potessero entrare gli oggetti che stavamo costruendo. Per il film successivo mi sembrava
uno spreco buttare la scenografia esistente e quindi labbiamo riutilizzata. E così
per il terzo film. Il quarto film lo abbiamo girato in Inghilterra; a quel punto ci
sembrava inverosimile avere a disposizione uno spazio diverso.
Come sceglie il tema portante dei suoi film?
Innanzitutto cerco di non ripetermi. Ho tratto sei film dallopera
di Edgar Allan Poe che sono andati molto bene e volevano che ne girassi degli altri. Ho
rifiutato perché volevo muovermi verso dei soggetti contemporanei. Così il film
successivo è stato "I selvaggi", un western interamente girato in esterni.
La vista, intesa come senso, ricorre spesso nei suoi film.
Chiunque lavori con un mezzo creativo ascolta la sua parte conscia e la
sua parte inconscia. Per me la vista è il senso più importante, è come se dovessi
tutelarlo. In questo momento porto occhiali da sole, la maggior parte dei personaggi dei
miei film indossa occhiali da vista. Non a caso il protagonista de "Luomo dagli
occhi a raggi X" ha il potere di vedere oltre la superficie esterna delle cose.

"L'uomo dagli occhi a raggi X" era ricco di effetti speciali.
Che cosa significa inserire effetti speciali in film a basso costo?
Tutti i miei film sono stati fatti con pochissimi soldi. Dovevamo
utilizzare lingegno anche per gli effetti speciali. Ray Milland ne
"Luomo dagli occhi a raggi X" doveva poter vedere lo scheletro di un
edificio. Che cosa ho fatto? Ho filmato la struttura in acciaio di un palazzo in
costruzione prima delle riprese del film. Finito di girare, avevano terminato anche
la costruzione, quindi ho ripreso ledificio. Con un montaggio allinverso, ho
fatto credere che Ray vedesse lo scheletro delledificio.
Mr Corman, crede che lavorare con un piccolo budget stimoli la
creatività?
Certo. Ci sono grandi difficoltà, ma con limmaginazione si
possono risolvere molti problemi. Un esempio può essere "La legge del mitra".
Labbiamo girato in dieci giorni con 80000 dollari; potevamo permetterci pochi set.
Non avevamo i soldi per la scena della rapina in banca, quindi abbiamo ripreso
lesterno di una banca con delle ombre che si muovevano simulando i movimenti dei
rapinatori. I critici hanno detto: "Che trovata originale per una rapina in
banca."
Nella sua lunga carriera, un solo film tratta un problema
sociale: "Lodio esplode a Dallas". Molti lo hanno paragonato a
"Mississippi burning", che cosa ne pensa?
"Lodio esplode a Dallas" è lunico film su cui ho
perso dei soldi. Non è stato accolto bene dal pubblico. Era il 1961 e negli Stati Uniti i
conflitti razziali erano ancora unatroce realtà. Ci è costato 70000 dollari,
cerano pochi attori professionisti e nella troupe erano quasi tutti volontari. Direi
che il mio film ha valore proprio per limmediatezza e il realismo. "Mississippi
burning", che è un bellissimo film, tratta lo stesso tema in maniera più
sofisticata. Ma al di là dei suoi meriti artistici, ha avuto successo perché il pubblico
era pronto ad affrontare il tema della segregazione razziale.
Lei ha distribuito negli Stati Uniti molti autori europei: Truffaut,
Bergman, Fellini. Autori lontani dalla sua maniera di fare cinema. Come mai questa scelta?
Sono cineasti che mi hanno colpito per la loro poesia e la loro
tenerezza. Ma era difficile proporli al pubblico americano, il loro ritmo era troppo
lento. Abbiamo dovuto lavorare molto sui trailer: li abbiamo rifatti daccapo, per renderli
più veloci. Ne valeva la pena: sono molto orgoglioso di aver contribuito a portare il
cinema europeo negli Stati Uniti.
Ha anche distribuito in America alcuni film di fantascienza russi.
Erano film con splendidi effetti speciali, ma che proclamavano
apertamente una politica antiamericana. Francis Coppola fu il primo a lavorarci. Gli
dissi: "Francis, taglia tutte le scene antiamericane."
La sua casa di produzione, la "New world," ha lanciato
numerosi registi dei quali si parla come di una scuola, la "Corman Factory".
Più che una scuola, un gruppo di amici pronti a darsi una mano a
vicenda. Ad esempio Peter Bogdanovich ha utilizzato parte del mio materiale per
"Targets", io ho scommesso su Dante e Arkush con "Hollywood
Boulevard". Ognuno poi ha preso la sua strada, io ho solo investito sul loro talento.
Del resto credo che Joe Dante sia uno dei migliori registi degli ultimi anni.
Quindi ha delle preferenze tra i suoi allievi?
Sono come dei figli per me. Li amo tutti, ma in fondo ogni padre ha un
figlio preferito.
Che importanza ha, secondo lei, la sceneggiatura nella riuscita di
un film?
La sceneggiatura ha il 90% di responsabilità nella riuscita di un
film. Si possono trarre film mediocri da ottime sceneggiature, ma è impossibile trarre
buoni film da sceneggiature mediocri. Credo molto nel valore della scrittura. Per questo
ho lavorato sempre a stretto contatto con i miei sceneggiatori. Charles Griffith, Richard
Matheson, Charles Beaumont non erano solo dei collaboratori.
I suoi film sono stati spesso paragonati a movimenti artistici. Alla
pop art, per il riciclaggio degli elementi, ma anche allarchitettura postmoderna.
Non ho mai pensato al mio lavoro in relazione allarchitettura
postmoderna. Ammetto però che ci sia una certa somiglianza. Larchitettura post
moderna prende gli elementi delle tradizione architettonica e li ricombina in una nuova
formula. Ho quasi sempre lavorato per generi: horror, avventura, fantascienza, thriller.
Ma ho sempre cercato di apportare delle innovazioni, e in questo senso la mia potrebbe
essere una sensibilità postmoderna.
Qual è il suo film preferito?
Bisogna tornare agli arbori del cinema: "la Corazzata
Potemkin" di Eisenstein.
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