Quel kamikaze di
Blade
Dario Morelli
Fra le tante domande agghiaccianti che ci si poneva nel periodo
immediatamente successivo all'11 settembre 2001, una delle più
frequenti era: chissà quali saranno le ripercussioni di quanto è
accaduto sulla cinematografia americana. A un anno di distanza da
quegli allucinanti eventi, cominciano ad arrivare alcune risposte.
Il recente film Blade II, per esempio - sèguito
dell'apprezzabile action-horror con Wesley Snipes del 1998 - in cui si
narra di Blade, ammazzavampiri di professione, che si allea con i suoi
nemici di sempre per sconfiggere una nuova razza di vampiri più
terribile e pericolosa, sembra ricalcare sin dalla trama le
vicissitudini di politica internazionale degli ultimi tempi, basti
pensare agli USA, alleatisi con i nemici di sempre - Russia e Cina -
per combattere la più terribile e pericolosa schiatta dei terroristi
islamici.

Nella sceneggiatura di Blade II,
che peraltro ha riscosso ampi consensi da parte del pubblico, il
concetto di azione suicida sembra essere alquanto ricorrente (ed
incombente). In due scene soprattutto - quella in cui Blade, ancora un
po' scettico sulle "nuove alleanze", entra nel covo dei
vampiri attrezzato come un uomo-bomba, e quell'altra in cui una
vampira dell'"emobranco", per uccidere un nemico si suicida
a sua volta - la grande e recentissima diffusione del fenomeno dei
kamikaze in svariate parti del mondo sembra aver contagiato gli
sceneggiatori, forse inconsciamente, più di quanto non sarebbe
successo appena un anno fa.
E' una conferma, questa, delle analisi sociologiche che hanno
individuato negli attentati dell'11 settembre la causa di un
fortissimo shock emotivo per gran parte delle popolazioni occidentali,
in grado di far sentire inevitabilmente i propri effetti su tutti i
campi della nostra vita civile e culturale. Eppure viene da chiedersi
se sia casuale che così evidenti contaminazioni socio-politiche si
siano manifestate in un film horror che parla di vampiri.

A questo proposito, lo studioso di
letteratura e cinema fantastico Fabio Giovannini scriveva, nel suo
libro del 1993 I vampiri sono tra noi, che "il momento dei
vampiri è il momento delle crisi". Il vampiro più di ogni
altro, secondo Giovannini, "è adatto ad incarnare le paure dei
nostri anni" perché rispecchia “la paura per il dittatore
minaccioso, che si riallaccia al personaggio storico di Vlad Tapes, il
voivode rumeno che impalava i turchi senza pietà”.
Emblematica è la frase che lo stesso Giovannini trae dal romanzo di
D.Simmons Children of the Night, in cui Dracula in persona
dichiara che “Saddam Hussein era un bambino in confronto ad Hitler e
Hitler era un bambino in confronto a me”. Il vampiro è quindi “la
figura decisiva per la cultura di fine millennio, perché ne svela i
caratteri fondamentali", essendo “metafora di ‘transizione’,
di confine, di indefinibile, ‘a metà strada’, vero ossimoro”.
Il vampiro, secondo Giovannini, “è seriale […] sempre uguale alla
sua tradizione, eppure sempre nuovo, mutato e aggiornato per […]
spaventare”. Proprio, per dirne una, come il terrorismo.
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