Un gioco di
società aziendale
Massimo Guglielmi con Barbara Iannarella
Alle porte di Roma, nell’incantevole cornice di una villa
secentesca, c'imbattiamo in un set cinematografico. Ma è un set molto
particolare: al posto di attori e comparse, ci sono manager, promotori
e segretarie. Questa volta il cinema diventa un gioco al servizio di
una azienda. Ne parliamo con Massimo Guglielmi, regista e produttore
cinematografico che ha ideato questo esperimento unico nel suo genere.
E’ la prima volta, almeno in Italia, che un’azienda “noleggia”
un vero e proprio set cinematografico per i suoi dipendenti. Di cosa
si tratta ?
Quello che stiamo facendo qui è un intervento di “team building”
per le aziende, dove come dice la parola stessa cerchiamo di costruire
uno spirito di equipe, del lavorare insieme. In questo caso attraverso
il grande gioco del cinema americano. Sui modelli di lavorazione e di
produzione americani, cioè, tentiamo di realizzare, attraverso
sistemi digitali, sei piccoli remake di grandi film d'oltreoceano
entrati nell’immaginario collettivo. Con la possibilità di girare e
di editare questi filmati nell’arco di 24 ore. I filmati vengono
scelti e preparati in base alle sceneggiature desunte, e
reinterpretati da un’equipe di non professionisti (i dipendenti dell’azienda),
a cui viene affiancata una troupe di addetti ai lavori (veri
truccatori, costumisti e operatori) che abbiamo chiamato sul posto.

Qual è lo scopo del gioco?
Quello di produrre, girare, montare e poi lanciare il prodotto
anche sul mercato, e quindi di riuscire a vincere l’Oscar. Ci sarà
infatti una “giuria” che nell’arco di altre 24 ore visionerà e
selezionerà il miglior prodotto a cui assegnare il premio, non solo
come miglior film, ma nelle varie categorie degli Academy Awards
americani.
Quali sono le scene in cui si cimenteranno questi "attori per
un giorno”?
I sei remake che abbiamo scelto sono tratti da Basic Instinct,
Le Relazioni Pericolose, Chi ha incastrato Roger Rabbit?, Nove
settimane e mezzo, Il Padrino e Full Monty. Film che hanno avuto
successo presso il grande pubblico e che la gente riconosce
facilmente. Le aziende partecipanti sono molte, in questo caso è la
Castrol, ma abbiamo già lavorato con la Mattel, la Del Monte, e
lavoreremo con la Nestlè: grandi multinazionali che applicano il
sistema del team building già da molto tempo per sedimentare lo
spirito d’azienda tra i dipendenti. La novità questa volta sta nel
mezzo utilizzato. Il sistema d’intervento che abbiamo ideato e
proposto crea un senso di competizione come nel cinema. Tutte le
equipe e le squadre che partecipano a questo gioco intendono
realizzare il miglior prodotto in pochissimo tempo e “vincere”
secondo delle dinamiche competitive che sono molto vicine a quelle di
un’azienda.
Pensa che questa esperienza d’incontro tra cinema e azienda
prenderà piede anche nel nostro paese, come già succede negli Stati
Uniti?
In Italia è un’esperienza assolutamente nuova. Ci sono stati
interventi di "team building" di guida sicura con le Bmw
oppure di equitazione. Adesso le aziende stanno scoprendo che il
cinema è un sistema molto articolato e complesso, ma anche preciso e
puntuale, che può dare risultati estremamente validi anche sul piano
aziendale. Noi ci divertiamo. I dipendenti si divertono altrettanto e
nello stesso tempo hanno la possibilità di creare questo tipo di
dinamica funzionale all’azienda.
Dal suo primo lungometraggio Rebus, è passato un po’ di
tempo. Come è’ cambiato in questi anni il suo modo di vedere il
cinema?
Da quando ho girato il mio primo film sono passati 13 anni e da
allora il panorama cinematografico è cambiato moltissimo sia a
livello nazionale che europeo e mondiale. Il tipo di pellicole che si
producono adesso sono sempre più commerciali. E’ diventato
tautologico il fatto che un film più è visto più venga considerato
bello, e viceversa. Cosa non vera a livelli assoluti ed estetici.
Ormai ci siamo americanizzati: il film è alla fine solo un prodotto e
non un prototipo e funziona nel momento in cui la gente lo va a
vedere.
Ultimamente si è tornati a parlare di una nuova primavera di
autori e registi che hanno risollevato le sorti del cinema italiano.
Cosa ne pensa?
Sicuramente ci sono tanti registi interessanti in questo momento.
Ovviamente si parla sempre di registi che hanno avuto un successo
commerciale e mai di quelli che non sono stati visti o che si sono
fermati al primo film. Il problema è continuare a fare questo
mestiere quando il più delle volte si deve scendere a compromessi con
la produzione. A me è capitato di realizzare sia film su commissione
(il mio secondo film Gangster) che poi tanto commerciale non
era, e film più indipendenti e personali come Il secolo dei sogni.che
hanno avuto un esito più positivo di quanto ci si aspettasse.
Ha progetti nel cassetto?
In questo momento mi occupo di produzione di cortometraggi e di
progetti televisivi, e soprattutto, cosa che mi interessa molto,
lavoro con giovani che possono tentare di fare questo mestiere nei
prossimi anni. Per la radio, è andato in onda un mio riadattamento de
Il terzo gemello di Ken Follett, che ha avuto molto successo.
Di progetti registici ne ho ma non ne parlo per scaramanzia. Secondo
me la regia non deve essere esclusivamente cinematografica: il nostro
è un mestiere polivalente in cui si può spaziare in diversi settori.
Anche quello che stiamo facendo qui oggi è una regia: una regia
artistica in cui si coordina il lavoro di sei troupe, il tutto in
pochissimo tempo. Una bella sfida.
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