Il cinema,
l'architettura, la città
Paola Casella
Qual è il rapporto fra l'architettura e il cinema? Ce lo spiegano
alcuni illustri docenti di cinema, come Antonio Costa e Sandro
Bernardi, celebri critici e storici del cinema come Gianni Canova e
registi come Vito Zagarrio, nel saggio Il cinema, l'architettura,
la città (Editrice Librerie Dedalo), a cura di Mario Bertozzi,
architetto di formazione e dottore di ricerca in Storia e filologia
del cinema, che è anche autore del segmento dedicato al cinema muto.

Da Antonioni a Resnais, da Ciprì
e Maresco a Greenaway, gli autori del cinema del presente e del
passato diventano esempi della complessa relazione fra la Decima Musa
e l'architettura. Un rapporto che, secondo Lino Micciché, autore
della prefazione del volume, si articola secondo almeno tre funzioni:
quella archivistica, cioé di documentazione dell'urbanistica di
città esistenti; quella sinergica, che entra in gioco quando per un
film vengono creati (o ricreati) ambienti funzionali alla narrazione;
e la funzione primaria, che riguarda i luoghi di fruizione del cinema,
dalla sala semplice al multischermo alle "cinelandia" di
periferia.
Ma sono anche le procedure creative, dice ancora Micciché, ad
accomunare cinema e architettura: una sceneggiatura è simile a un
progetto edilizio, ed entrambi devono seguire criteri di fattibilità
che tengano conto dei limiti di un budget più o meno consistente.
"In ambedue i casi", scrive Micciché, "il progetto
parte fondandosi sulle leggi della libera creatività (...) ma subito
dopo entra in attrito con le leggi del mercato". Nell'equilibrio
fra bellezza e fruibilità, fra armonia e gusto del pubblico, sta
l'efficacia dell'opera-merce, sia che si tratti di un film che di un
edificio.
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