La Cienąga,
miglior opera prima a Berlino
Paola Casella
La Cienąga, scritto e diretto da Lucretia Martel, con Graciela Borges,
Mercedes Morąn, Sofia Bertolotto, Juan Cruz Bordeu, Andrea López
Un bue affonda lentamente in una pozza di fango, guardando con gli
occhi sbarrati un gruppo di piccoli indios, che forse potrebbero
aiutarlo, o forse no ("gli indios usano gli animali solo per
scopare", ci verrą detto poi). Qualche scena pił avanti
ritroveremo lo stesso bue, ormai irrimediabilmente destinato a
realizzare il suo destino di morituro.
Quel bue č la prima figura metaforica di un film cosģ pieno di
metafore - e di immagini, di gente, di oggetti, di suoni, di colori -
da apparire costantemente sovraccarico, intasato, zeppo (oltre che
zuppo: l'acqua, spesso mescolata al fango, compare di continuo,
sottoforma di stagno, di temporale, di piscina, di getto della
doccia). In questo senso, La Cienąga ricorda In the Mood for Love,
solo che mentre nel capolavoro di Wong Kar-Wai l'affastellamento di
immagini era minuziosamente composto e l'inquadratura rigorosamente
ordinata, qui predomina il caos. Se in In the Mood for Love la
sensualitą era bloccata, compressa e alla fine repressa, qui dilaga,
trabocca, annega.

Ma parimenti niente cambia,
perché La Cienąga č una palude - come recita il titolo stesso, che
si riferisce al nome di una casa padronale ma anche alla localitą del
nord dell'Argentina dove č ambientata la vicenda. Una palude che si
allarga ma che non trova sbocco, dove si affonda ma dove non si puņ
nuotare. E anche questa č una grande metafora, perché gli abitanti
de La Cienąga appartengono all'alta borghesia argentina, quella
nullafacente e parassita - ci dice il film - destinata ad essere
sommersa dalla storia.
Protagoniste del film sono due famiglie numerose, capitanate da due
donne-simbolo, Mecha (Marcela Borges) e Tali (Mercedes Morąn). Mecha
č una cinquantenne in disfacimento psicofisico che, perennemente
ubriaca e impasticcata, ciondola da una stanza all'altra di una delle
sue enormi ville (quella di cittą, quella di villeggiatura)
insultando la servitł, lamentandosi in continuazione e trattando i
figli con un misto di indifferenza e di attaccamento morboso. Tali č
una quasi quarantenne dolce e disponibile, sostanzialmente passiva,
reverente nei confronti di Mecha (che generazionalmente rappresenta la
vecchia guardia) e assorbita da preoccupazioni domestiche che non
hanno a che fare con il bisogno, perché tutti i suoi bisogni sono
soddisfatti.
I mariti di entrambe sono satelliti senza importanza: quello di Mecha
č un perdente che si tinge i capelli per ritrovare la gioventł
perduta e quell'ascendente sulle donne che gli ha permesso di tradire
ripetutamente la moglie, in primis con una delle sue migliori amiche,
Mercedes (Silvia Baylé) che adesso, guarda caso, č l'amante del loro
primogenito José (Juan Cruz Bordeu). Anche il marito di Tali č un
abulico nessuno che vaga per casa senza scopo, limitandosi
occasionalmente a sottrarre a Tali anche l'ultimo compito che le
resta, cioč quello di provvedere alle esigenze dei figli.

I figli - e questo dą a La
Cienąga il suo tono profondamente sconfortato - non sono meglio dei
genitori: José č un donnaiolo che, oltre a Mercedes (che potrebbe
essere sua madre, e manca pochissimo che sia sua madre stessa a
concederglisi), concupisce la cugina e la domestica india Isabel
(Andrea López); suo fratello minore, con un occhio di meno, passa il
tempo a cacciare animali e indios (č lui a dire "gli indios
usano gli animali solo per scopare"). La figlia maggiore di Tali
č una specie di ninfomane morbosamente attratta dal cugino José, il
fratellino Luciano (Sebastiįn Montagna) č una creaturina al limite
dell'autismo, con labitudine di trattenere il respiro. E quando il
pił nuovo virgulto di una pianta cerca istintivamente l'estinzione,
non č buon segno.
L'unica speranza risiede in Momi (Sofia Bertolotto), adolescente
inquieta ma non ancora del tutto infangata, che mostra un attaccamento
disperato a Isabel, la domestica india, l'altra persona pulita del
gruppo, destinata a essere letteralmente - e controvoglia - trascinata
nella palude. In Isabel, Momi vede quella nobiltą d'animo che manca
ai suoi parenti, probabilmente nobili di sangue.
Per lo spettatore italiano non digiuno di storia del cinema, la
sensazione dominante, guardando La Cienąga, potrebbe essere quella di
"gią visto". Nonostante la vicenda sia ambientata ai giorni
nostri, infatti, pare di vedere un film nostrano degli anni Sessanta,
di quelli che facevano denuncia sociale dal di dentro: I pugni in
tasca di Marco Bellocchio, ad esempio, o Prima della rivoluzione di
Bernardo Bertolucci - esordi di figli dell'agiata borghesia impegnati
a tradurre in immagini slogan come "famiglia ti odio".
Ne La Cienąga compare infatti la stessa descrizione della ricca
borghesia come classe sociale decadente e improduttiva, come ambiente
malato e corrotto in grado di generare unicamente perversioni
psicologiche e sessuali, prima fra tutte l'incesto inteso sia come
ripiegamento su se stessi che come inbreeding per la conservazione
della specie (alla maniera dei faraoni, o di certe sette religiose).

E infatti, come Bertolucci o
Bellocchio, Lucretia Martel, la regista di La Cienąga, č una
rampolla 34enne dell'alta societą argentina, al suo esordio dietro la
macchina da presa che le č valso il premio per la miglior opera prima
all'ultimo festival di Berlino.
Ma forse il riferimento ancora pił immediato č a tutta la
filmografia di Luchino Visconti, da Vaghe stelle dell'Orsa a Gruppo di
famiglia in un interno, passando per La caduta degli dei e
soffermandosi a lungo su Morte a Venezia. Di Morte a Venezia in
particolare La Cienąga riproduce l'atmosfera, intesa proprio come
habitat climatico: l'acqua putrida e stagnante (della palude come
della laguna), l'aria densa, impregnata di malattia. Persino il
dettaglio del marito che si tinge i capelli pare un homage a Visconti,
e anche a Thomas Mann (un collega ha definito La Cienąga "i
Buddenbrook in Argentina").
Se tutto questo a noi puņ apparire superato, ricordiamoci che il film
č ambientato in una societą dove certe questioni sono ancora
attualissime, dove presente e passato coesistono in maniera
schizofrenica, e dove benessere e intellettualismi da mondo
occidentale convivono con arretratezze e miseria da terzo mondo.
Purtroppo la trama č poco strutturata (malgrado la sceneggiatura
abbia vinto il Filmmaker Award al Sundance Film Festival), e questo č
un punto debole, pił che una scelta autoriale: alcuni personaggi sono
cosģ parzialmente tratteggiati da risultare indefiniti o, peggio,
sovrapponibili - vedi i mariti di Mecha e Tali. Ma l'impatto emotivo
del film rimane forte, soprattutto grazie a una splendida fotografia
(che porta la firma di Hugo Colace) e una sicura direzione artistica (Graciela
Oderigo) che fanno apparire ogni scena come un quadro (e qui le
citazioni sarebbero infinite, ma vengono in mente soprattutto certi
pittori contemporanei statunitensi, da Edward Hopper fino ad Eric
Fischl).
La Cienąga č soprattutto un film di odori e sensazioni - umido,
appiccicoso, soffocante - espresse attraverso dettagli, questi sģ,
tipicamente ispanici - il sangue, il sudore, il pianto. E ciņ che
pił resta impresso, sulla retina e nella memoria, č la descrizione
filmica della giungla che preme alle porte della cosiddetta civiltą.
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