Recensione/Memento
Paola Casella
Questa recensione è apparsa sul numero 100 di Caffè Europa,
all'indomani della conclusione della Mostra del Cinema di Venezia.
Memento, scritto e diretto da Christopher Nolan, con Guy Pearce,
Carrie-Ann Moss, Joe Pantoliano
All'ultima edizione della Mostra del cinema di Venezia, il passaparola
più intenso si è creato intorno a Memento, uno dei film fuori
concorso (sezione Cinema del presente): ed era un passaparola quasi
colpevole, perché chi raccomandava agli amici di vedere il nuovo film
scritto e diretto da Christopher Nolan, già autore del cult movie
Following - Seguendo, lo faceva sottovoce, come se offrisse un frutto
proibito, o una particolare varietà di fungo allucinogeno.

Il perché è presto detto, ed è anche il motivo per cui vale la pena
parlare in anteprima di questo film piuttosto che dei tanti altri
presentati a Venezia: Memento è cinematograficamente imperfetto, ma
ha una struttura narrativa così particolare (pur nella sua valenza di
"trucco") e soprattutto un potere evocativo così forte da
entrare immediatamente nella top ten di quelli che in America si
definiscono "guilty pleasures", cioé piaceri colpevoli,
piccoli vizi dei quali non si può fare a meno.
Memento è un classico film noir. La trama è assai complessa, e, come
si conviene al genere, viene svelata poco a poco e - questa la novità
- interamente in retrospettiva (al punto che sul sito ufficiale,
www.otnemem.com, il titolo del film appare scritto alla rovescia),
attraverso i ricordi del protagonista Leonard (Guy Pearce), che soffre
di una particolare forma di amnesia: ricorda il suo passato distante,
in particolare l'omicidio della moglie, ma non il passato recente. E'
un po' quello che succede alle persone anziane, ma estremizzato:
Leonard non sa ciò che ha fatto cinque minuti prima, non riconosce
nessuna delle persone che ha appena incontrato, ed è quindi costretto
a lasciare continui messaggi a se stesso, spesso annotati su Polaroid
(così può abbinare i messaggi alle facce delle persone e ai luoghi
già visti) e qualche volta direttamente su se stesso, sotto forma di
tatuaggio.
Ricordarsi gli eventi più recenti è fondamentale perché Leonard
possa portare a termine la sua missione: trovare l'assassino
dell'amatissima moglie. Nel corso dell'indagine, Leonard si imbatterà
in alcuni personaggi misteriosi (soprattutto per lui, visto che da una
volta all'altra non si ricorda di averli incontrati), fra i quali
spiccano per ambiguità un certo Teddy (Joe Pantoliano) e la
bellissima Natalie (Carrie-Ann Moss). Il fatto che entrambi gli attori
siano apparsi in Matrix non è casuale: Memento ricorda Matrix in
alcuni tratti fondamentali, soprattutto nel disorientamento del
protagonista, che non sa chi è e vive in un mondo a modo suo
virtuale, e nell'improbabilità di alcuni passaggi della trama (non
rivelabili, senza rovinare gli effetti sorpresa).
La trama in generale è macchinosa, e richiede da parte degli
spettatori una concentrazione assoluta e un lavoro di ricostruzione
mentale anche faticoso, ma di sicuro coinvolgente. In pratica lo
spettatore, più ancora che investigatore (come succede con tutti i
noir), deve improvvisarsi sceneggiatore, perché si trova a rimettere
mentalmente in sequenza tutti i passaggi della trama, cercando (come
Leonard) di non dimenticare ciò che ha appena appreso dalla scena
precedente. E non è semplice, perché la sceneggiatura aggiunge
dettagli su dettagli a ritmo sempre più incalzante.

A fare da àncora a questo turbinio di informazioni narrative è il
protagonista (abilmente interpretato da Guy Pearce, già apparso in
L.A.Confidential), che condivide il nostro disorientamento, ma
mantiene una calma e una lucidità che noi, al posto suo, avremmo
senz'altro perduto. E tuttavia, dietro la razionale freddezza di
Leonard, trapela un'angoscia, un senso allucinato di panico non solo
giustificati, ma anche immediatamente riconoscibili, nell'era dell'Alzheimer
e dello smarrimento - individuale e collettivo - della propria
identità.
Come Matrix, anche Memento è abilissimo nel toccare le corde
dell'umano terrore: e se in Matrix il terrore primario era quello di
venire soppiantati dall'alta tecnologia, in Memento diventa la paura
della perdita della memoria come perdita della propria storia e, più
in profondità, del senso stesso della propria esistenza, come se la
capacità di vivere coincidesse con la capacità di ricordare di avere
vissuto. Come dice Leonard: "Le mie azioni hanno ancora un
significato se le dimentico?".
Il dilemma di Leonard è anche quello di "non poter creare nuovi
ricordi": una sensazione tipica del nostro tempo, in cui l'information
overload è tale che abbiamo spesso la sensazione che il nostro hard
disk sia già completo, e non avanzi più spazio per aggiungervi nuovi
elementi.
L'altro tema fondamentale di Memento (come di Matrix), è quello della
fiducia nel prossimo, che è tipico del film noir, ma che qui prende
una colorazione un po' diversa: perché la perdita di memoria priva
Leonard anche della capacità di giudizio (o viceversa?). In questo
senso anche le sue relazioni amorose acquistano una dimensione tutta
particolare: quando Natalie chiede a Leonard: "La prossima volta
che mi vedrai ti ricorderai di me?" non sta solo facendo un
commento sulla casualità di certe storie da una notte. E quando
Leonard si domanda: "Vuoi che non riconosca mia moglie?" non
sta parlando solo di familiarità coniugale.
Credo però che il tema fondamentale di Memento non sia quello della
memoria, e nemmeno quello del tradimento, o dell'amore, ma
l'incapacità di crescere delle persone cosiddette adulte, intesa come
incapacità di affrontare la morte (inevitabile, in qualunque processo
di crescita) e di elaborare il lutto. "Come posso guarire (dal
dolore della morte di mia moglie, nda) se non riesco a sentire il
passare del tempo?", si chiede Leonard, e ancora: "Non
riesco a ricordarmi che devo dimenticarla".
Il rifiuto di "metabolizzare" la morte e di considerarla un
elemento necessario al processo di crescita è un male dei nostri
tempi. Ricordo che i musicisti di Officina Zoe, il gruppo salentino
che ha riportato in auge la taranta, dicevano che per un lungo periodo
la musica come "cura" per i tarantolati era stata ignorata
perché si era cercato di negare l'esistenza stessa del tarantismo,
cioè della malattia mentale. In questo modo ai "tarantati",
che non sono necessariamente persone morse dalla tarantola ma
individui (soprattutto donne) in preda a un tormento interiore tanto
profondo da essere esternato come "possessione", era stato
tolto anche il conforto di una musica che poteva aiutarli ad elaborare
il proprio malessere, se non esattamente a curarlo.
In maniera originale, anche se occasionalmente pasticciata, Memento
pone agli spettatori tutti gli interrogativi giusti, e soprattutto
quelli necessari per capire meglio il nostro tempo. Sta a noi cercare
le risposte.
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