Vecchia piccola
borghesia
Paola Casella
C'è una frase dell'ultimo film di Claude Chabrol, Grazie per la
cioccolata, che ne contiene il senso più profondo, e la più
subliminale intenzione (subliminale per lo spettatore, non per il
regista). La cito a memoria: "Non mi piace quando fai la borghese
ribelle". A pronunciarla è Axel (Mathieu Simonet), il boyfriend
di Jeanne (Anna Mouglalis), ragazzina ricca e viziata appartenente
all'alta borghesia di Losanna, città già di per se
quintessenzialmente altoborghese. In quella frase, e in quel
personaggio, è riassunta tutta l'ambivalenza di Chabrol nei confronti
dell'ambiente al quale appartiene, per nascita e, forse, anche per
scelta.

Tutta la cinematografia di Chabrol risente della provenienza sociale
del regista e spesso ne beneficia: perché, secondo Chabrol, bisogna
ammettere di essere borghesi, non fare finta che il nostro ambiente, o
il nostro background, non ci appartenga, o che noi non apparteniamo a
lui. Ciò non toglie che si possa essere critici nei confronti del
proprio milieu (e Chabrol lo è sempre stato): ma, a meno che
non se ne esca definitivamente sbattendo la porta (e Chabrol si guarda
bene dal farlo), è inutile comportarsi come il ribelle che a parole
disprezza il suo status ma nei fatti ne gode tutti i vantaggi. Così
la critica sociale di Chabrol non è mai assoluta condanna; è uno
sguardo da insider che un po' tira le orecchie al proprio
habitat, un po' ne racconta con indulgenza i piccoli peccati.
Questo doppio registro narrativo del regista traspare fin dal titolo
del film, un rimando alla buona educazione della quale si ammanta (o
dietro la quale si nasconde) una certa fascia sociale: ringrazia la
signora, bel bambino - anche se la signora, insieme alla cioccolata,
ti ha propinato una dose di roipnol. Perché la forma, in qualunque
circostanza, non va mai dimenticata: usciamo dal nostro territorio,
non possiamo più riconoscerci fra noi, e diventiamo come gli altri, i
male educati, quelli cioé che dell'educazione possono (perché hanno
dovuto) fare a meno.

Anche l'uso del genere noir per raccontare una vicenda di
meschinità borghese fa parte di una tradizione ben precisa, ed è
quasi un codice narrativo: basti pensare alla letteratura di Simenon,
un altro borghesissimo francese che ha scelto il giallo come veicolo
per mettere in scena i piccoli e grandi crimini perpetrati da (e fra)
la "gente perbene".
Grazie per la cioccolata è stato universalmente osannato
all'ultima Mostra del cinema di Venezia, e, secondo molti, si può
considerare il vincitore morale del festival: non poteva concorrere al
Leone d'oro, perchè Chabrol era il presidente della giuria, ma era
più "importante" e più autorevole dei film in gara.
Eppure all'apparenza è colpevole di un grave difetto di scrittura:
tratta i suoi personaggi come smemorati, dopo averceli descritti come
dotati di intelligenza superiore. Difficile portare degli esempi
concreti senza rovinare le sorprese del film. Possiamo però dire che
alcuni fra i protagonisti arrivano prestissimo a conclusioni ben
precise, e successivamente si comportano come se avessero dimenticato
le scoperte fatte, mettendo a repentaglio la vita propria e altrui.
A ripensarci, però, questa apparente ingenuità di sceneggiatura (del
resto incongruente con un regista e autore che calcola al millesimo
ogni sua mossa cinematografica), si rivela uno stratagemma per
mostrare come una certa classe sociale, per quanto cosciente e
istruita, scelga deliberatamente di ignorare ciò che le appare
inaccettabile, soprattutto dal punto di vista della forma. Il mostro,
a meno che non si riveli apertamente come tale, può essere
individuato, ma la resistenza a smascherarlo, cioé a privarlo della
maschera sociale, è fortissima, perché la maschera di un membro
della stessa casta ha la sua parte nel mantenere l'equilibrio della
performance collettiva.
Di qui il colpo di coda finale di Grazie per la cioccolata, che
è quasi un ribaltone non perché viene svelato il colpevole, ma
perchè rivela l'esistenza di un complice, passivo, certo, come la
maggior parte dei complici borghesi, ma non per questo meno
criticabile (anche se penalmente non perseguibile, e socialmente
"salvo"). Quando tutti gli altarini sono crollati, e tutti i
cattivi smascherati, uno dei personaggi principali reagisce infatti
alla scoperta del mostro con una calma così olimpica, e una volontà
così lucida di mantenere piatta la superficie, da farci sospettare
che da tempo sapesse, ma tacesse in nome di quel quieto vivere che è
la regola in certi "giri".

In quell'istante ci rendiamo conto che tutto il film appena visto
descrive un intero mondo convinto che "salvare l'immagine è ciò
che conta", come dice Mika (Isabelle Huppert), e che ciò che è
rotto va immediatamente sostituito, in modo che non se ne senta
l'assenza, come si fa quando un quadro staccato dal muro lascia dietro
di sè una zona chiara.
Grazie per la cioccolata contemporaneamente punta il dito
contro la vecchia piccola borghesia e si affretta a ripristinarne lo status
quo, come da regola della perpetuazione di casta. Certo,
l'aberrazione va denunciata, la punta estrema va rimossa, non tanto
perché esiste un senso di giustizia quanto perchè esiste un senso
borghese della misura, secondo cui ogni estremismo "sporge",
e ogni nota stonata va soppressa (e in questo film sono molti i
musicisti). Una volta trovato il capro espiatorio, e averlo espulso
con dovizia di ostracismo sociale, tutto tornerà come prima, tutto
verrà riassorbito. Ciò che conta non è il ragno, ma la ragnatela.
Molto appropriatamente, dunque, l'eroina di questo tableaux vivent è
proprio la giovane Jeanne, la finta ribelle borghese che solo
apparentemente rompe le regole, e che coltiva già una doppia vita
all'insegna dell'ipocrisia (quel misto di perbenismo e peccaminosità
brillantemente rappresentato dal suo vertiginoso gonnellino da
tennis); e il pianista André Polonski (Jacques Dutronc), così
imbrigliato dal benessere e dalle convenzioni da farci dubitare della
sua capacità espressiva come artista, è il più borghese di questo
gruppo di famiglia in molti, e solo apparentemente luminosi interni.
Alcuni link:
Un
film da non perdere (in francese)
La recensione di Grazie per la cioccolata e' parte di un
interessante dossier dedicato a Chabrol e alla sua lunga carriera non
solo come regista ma anche come critico cinematografico
Lusso,
pianoforte e cacao (in francese)
Da "alea", magazine elettronico francese, un'altra
recensione del film con una menzione speciale per la bravura di
Isabelle Huppert, perfetta nella difficile impresa di "irradiare
l'odio pur rimanendo assolutamente affabile"
Dal
sito della Biennale di Venezia (in italiano)
Breve scheda del film con notizie sul cast
L'assoluta
normalita' del male (in italiano)
Nella recensione di "cinema.it", un' analisi dei temi
trattati da Chabrol nei suoi film piu' recenti: come e' possibile che
persone dall'aspetto gentile e/o mediocre siano in realta' capaci di
commettere atti di incredibile crudelta'? (oppure: cosa puo'
nascondersi sotto la vernice di una perfetta educazione borghese?)
Scheda
del film, da kataweb cinema (in italiano)
Note tecniche, recensione e clip dal film
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