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Tabloid: eppure è una cosa seria

Daniela Di Pietro

 

Ma quali sono le radici del tabloid? Un'istituzione culturale in continuo mutamento, il teatro, può recare un contributo significativo per comprendere l'evoluzione della stampa popolare inglese e può rappresentare un'ulteriore prova dell'origine "colta" dei moderni quotidiani, con i quali il teatro stesso intrattiene un innegabile rapporto di amore-odio.
Fin dal 1500 con il teatro elisabettiano, l'Inghilterra si dimostra infatti culturalmente all'avanguardia rispetto agli altri paesi europei quanto a generi e spazi culturali "omnibus". Le tipiche playhouses sono affollatissime e ospitano una promiscuità sociale senza paragoni: dall'aristocratico all'apprendista artigiano, passando per mercanti, militari, comari, borsaioli di professione, donne di malaffare e via dicendo – notiamo per inciso come solo ai tempi dell'antica Grecia e di Roma il teatro fu in grado di rivolgersi ad un'audience altrettanto universale. Nonostante il Commonwealth e la Restaurazione sanciscano poi un restringimento dell'audience teatrale, la "plebaglia" continua a difendere il suo diritto all'entertainment con delle vere e proprie rivolte.


I fogli domenicali della metà del XIX secolo riproposero essenzialmente gli stessi ricettacoli di elementi, sia di stile che di contenuto, che avevano fatto grande la tradizione teatrale inglese: storie avventurose, ambienti esotici, il mondo del romance tanto caro al pubblico popolare.
Il "Sunday Paper", in effetti, fin da principio fu un'impresa a vocazione unicamente commerciale: conteneva cronache politiche e generali, così come notizie internazionali, ma trovava il suo tratto specifico nella copertura di scandali e delitti. Molti degli elementi popolari del teatro e della narrativa – ballate e broadsheet – ritrovarono il loro habitat naturale in quest'essenziale ridefinizione di giornale. Erano temi collaudati, rivolti ad un'audience popolare ormai culturalmente competente per recepirli; il pubblico popolare si dimostrò quindi pronto ad accogliere messaggi formulati specificatamente per esso, secondo modalità da tempo consolidate. Il melodramma, protagonista incontrastato del teatro all'inizio dell'Ottocento, trovò quindi una sua "funzionalità" anche nella stampa. La definizione di "sensazionale" fu ben meritata dal genere a causa di quelle peculiarità che influenzarono in modo speciale la natura del Giornale della Domenica.

Questa storia ci dimostra, insomma, la continuità di una forma di comunicazione che non stentiamo a definire "culturale" e che sfocia nella tradizione, tutta anglosassone, di una stampa popolare fortemente voluta da chi ne ha sempre rappresentato, il naturale fruitore: la "gente".
I periodici popolari italiani ricalcano sì gli stessi contenuti dei tabloids inglesi, ma la loro stessa periodicità, la settorialità del loro pubblico – si tratta prevalentemente di un pubblico femminile, di estrazione piccolo-borghese e con un basso livello d'istruzione - ed il loro linguaggio li spingono talmente lontani dall'ideale continuità con un'audience di massa da non poter esser definiti "popolari" nel senso più esaustivo del termine. La stampa quotidiana nostrana non può, non deve o non vuole partorire quella creatura straordinaria ed insieme abominevole che è il vero giornale popolare.

L'impresa, è vero, sarebbe ardua, e non solo per i limiti congeniti del nostro giornalismo, ma forse per difficoltà di natura oggettiva che riguardano la società intera.
Parliamo, innanzitutto, della difficoltà di trovare codici di comunicazione efficaci come quelli dei tabloids britannici: il "Sun", per esempio, comunica in una lingua estremamente diversa dall'inglese oxfordiano, eppure viene letto quasi indistintamente in tutto il Regno Unito. Cosa succederebbe se "la Repubblica" fosse scritta in dialetto romanesco? Nella nostra bella penisola esistono così tanti "microambienti", con così tante "microlingue", che per la maggior parte dei suoi abitanti un foglio con quelle caratteristiche idiomatiche sarebbe utile solo come carta da riciclo.

Ma c'è di più, o di meno, dipende dal punto di vista. C'è di più nel tabloid: oltre lo scandalo e le girls naturiste, c'è l'espressione di un bisogno, fortemente sentito, di evasione o di trascendenza nel mondo da favola, creato bello e pronto per l'uso; e c'è di meno, nel senso che in Italia manca la diversificazione dell'offerta giornalistica e un pubblico "accogliente" nei confronti dell'informazione scritta qualunque essa sia.
Analizzare un fenomeno multiforme come quello a cui hanno dato vita i quotidiani popolari in vari paesi europei, e farlo seriamente, vuol dire partire dall'assunto che le distinzioni centrali tra "giornalismo" e "non giornalismo", o tra "buon giornalismo" e "cattivo giornalismo", i confini così caratteristici dei discorsi di autolegittimazione della critica e degli addetti ai lavori, divengono sempre più fluidi. Non limitiamoci a dare solo giudizi snobistici, ma cominciamo, piuttosto, a distinguere le funzionalità di una e dell'altra parte in gioco, senza alimentare un'infinita e soprattutto sterile "guerra in famiglia".

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