Media 2000: il trionfo del bla-bla planetario

Claudio Fracassi

 

È riapparsa recentemente sui teleschermi italiani, in concomitanza con le vicende dell'impeachment a Bill Clinton, la versione cinematografica di Tutti gli uomini del Presidente, che racconta la storia dello scandalo Watergate, visto dall'osservatorio del "Washington Post", che lo svelò.
Ciò che ancora oggi colpisce, in quella ricostruzione, non è tanto il fiuto e l'abilità di Bernstein e Woodvard, la coppia di cronisti del "Post", quanto il fatto che essi abbiano potuto lavorare per settimane su una vicenda apparentemente di cronaca nera (il furto con scasso nel Watergate) senza scrivere una riga sul loro giornale, mettendo in fila sui loro taccuini indizi, dichiarazioni, soffiate anonime, fino a raggiungere il punto critico oltre il quale son cominciati ad apparire sul "Post" i famosi articoli di denuncia.
Domanda: quanti giornali, quanti quotidiani in Italia avrebbero potuto (o potrebbero) dislocare due cronisti, per settimane e settimane, all'inseguimento di una storia del genere, di cui era incerta la immediata traducibilità in scoop? La risposta è: nessuno. I motivi sono prevalentemente culturali, di organizzazione del lavoro, di crescente refrattarietà all'inchiesta, di superficialità nell'approccio alla notizia Ma a ben vedere dietro ciascuna di queste caratteristiche della nostra stampa c'è anche una corposa motivazione che attiene alla struttura economica del quotidiano. Solo giornali con un solido impianto finanziario sono in grado di "investire sulla notizia" soldi e forze professionali.
L'impressione è che, in Italia, la precarietà complessiva del "sistema stampa" sia insieme la radice e l'alibi di una utilizzazione miope e limitata (e in definitva poco autonoma) delle energie redazionali: ciò rende i quotidiani sempre più dipendenti dalla "routine" delle fonti, e i giornalisti meno liberi nella ricerca e nella proposta, più esecutori che creatori del copione redazionale.

Per la verità, la subalternità rispetto a fonti lontane e non controllabili è uno dei punti dolenti (e in crescita) di tutta l'informazione mondiale. Mentre aumenta la chiacchiera sul villaggio globale e sulle "notizie" in diretta da tutto il mondo, la realtà è quella di un restringimento degli orizzonti informativi dei grandi mezzi di comunicazione, e di una progressiva provincializzazione, ciò che Serge Halimi ha definito "la prevalenza dell'ombelico". La Nbc dispone ormai di due soli corrispondenti permanenti in Europa ( e tutt'e due a Mosca), la Cbs considera "troppo costoso" mantenere un corrispondente in Africa, la Abc ha rinunciato persino al corrispondente in America Latina. Le immagini dei grandi fatti mondiali sui tg di ogni angolo del pianeta sono sempre più "uguali per tutti", senza indicazione della fonte, senza filtro critico e senza interpretazione. Persino la selezione avviene ormai, in genere, "a monte", nelle grandi agenzie di immagini, e i network diventano puri ripetitori di sequenze. Dello stesso tipo - e se possibile ancora più provincializzata - è la situazione dei grandi quotidiani italiani, che rarissimamente riescono a coprire con un corrispondente o con un inviato un evento mondiale non programmato.
È evidente il rapporto stretto che si stabilisce fra struttura economica dei giornali e loro accesso a fonti non immediatamente disponibili. È una tendenza al risparmio che progressivamente si traduce in un vero e proprio stile giornalistico (se si escludono i settori - peraltro marginali - che attuano sul campo la pratica della cosiddetta controinformazione). La ricerca faticosa della notizia lascia il posto al chiacchiericcio sulla notizia; quest'ultima è uguale per tutti, avendo per fonte un potere interessato alla sua circolazione, un'agenzia, o anche un gruppo di giornalisti organizzati in pool. In ciò, a ben vedere, consiste la famosa e molto lodata "settimanalizzazione" dei quotidiani italiani, in cui l'uso sapiente del taccuino telefonico con i numeri dei potenziali "dichiaratori" (da Ambra a Rita Levi Montalcini a Zoff) ha via via sostituito la pratica elementare, ma non sostituibile, della ricerca giornalistica.

Del resto, la stessa utilizzazione delle fonti non tradizionali e tecnologicamente avanzate, come Internet, se ha allargato in modo straordinario la disponibilità di informazioni a basso prezzo, non ha risolto il problema del controllo, del riscontro, della verifica sul campo. In Italia, infine, un non irrilevante fattore contribuisce a caratterizzare la condizione di sovranità limitata del giornalista. Si tratta, è persino banale ricordarlo, della struttura proprietaria, che vede i maggiori redditieri del Paese - nell'ordine, dal primo al quarto - alla testa dei gruppi editoriali maggiori. Ora, è ben noto che in tutto il mondo i processi di concentrazione hanno portato alla creazione di veri e propri imperi della carta stampata e della tv. Si tratta, tuttavia, di imprese multinazionali che hanno un rapporto dialettico, di conflitto o di alleanza, con i poteri pubblici di questo o quel Paese. In Italia l'intreccio fra imprese editoriali, forze politiche, interessi economici forti (che nulla hanno a che vedere con l'editoria) è strettissimo e senza paragoni con altre realtà mondiali.

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