I lettori scrivono
Da: sicirie@tin.it
A: <caffeeuropa@caffeeuropa.it>
Data: Giovedì, 26 settembre 2002 6:03
Oggetto: Il
sonno della geografia genera mostri
L'articolo del professore Arras mi ha fatto tornare in mente le parole
che la mia insegnante di latino, greco, storia, geografia e italiano
del ginnasio amava ripetere ogni volta che ascoltava le litanie
geografiche che noi alunni le snocciolavamo: "Bene, bene, tanto
non vi servirà a niente...". Ed era ritenuta (e non a torto, a
dire il vero) una delle insegnanti più brave della scuola (un
rinomato liceo classico romano), tanto che si fecero carte false per
ritardarne il pensionamento.
Ma, ritornando alla visione dell'antica professoressa, il suo non era
solo un giudizio personale, era un'opinione condivisa, tanto che due
anni dopo, al liceo, un'altra professoressa, stavolta però quella di
storia e filosofia, non ritenne mai importante accompagnare le sue
lezioni di storia con un atlante geografico (tra l'altro, il muro di
Berlino era già caduto, l'URSS si era dissolta, nelle edicole
spuntavano i numeri di "Limes" e una strana parola,
GEOPOLITICA, tornava a fare capolino tra le righe dei giornali).
Mentre imparavamo che la storia e la filosofia sono un binomio
inscindibile, che si capiscono i fatti storici alla luce della idee
che circolano in quella data epoca, il puzzle jugoslavo si stava
disintegrando senza che noi avessimo il minimo sospetto che la
Jugoslavia era stata un collante che per anni aveva tenuto insieme sei
stati, tre religioni e due alfabeti differenti. Alla geografia,
ahimè!, non era riconosciuto nemmeno il ruolo di "ancilla
historiae" .
Così crescemmo con la convinzione di conoscere la storia e, ancor
peggio, di comprendere e giudicare tutto ciò che accadeva intorno a
noi. E, ignorante e supponente, varcai la soglia dell'università. Fu
proprio all'università che ebbi la folgorazione, come San Paolo sulla
via di Damasco -solo che io, invece che a cavallo, sedevo comodamente
in una aula universitaria ad ascoltare un anziano professore di
storia. E questi, come se fosse la cosa più naturale del mondo,
trascorse tutta la prima lezione del corso a parlare di storia e di
geografia, anzi, di geografia.
Non avremmo mai capito gli eventi storici, le decisioni, addirittura
intere politiche degli Stati se non avessimo conosciuto la geografia.
E la scoperta continuò via via che il piano di studi si ampliava,
arrivando a comprendere geografie politiche ed economiche... Oggi,
invece, la rivalutazione dellla geografia come chiave di
interpretazione della maggior parte degli eventi storico-politico ed
economici è generalizzata anche a livello mass-mediatico, come
attesta la presenza di Lucio Caracciolo, direttore di Limes, a
pressochè tutte le trasmissioni di approfondimento che riguardino
questioni politiche.
Ritornano di moda le teorie deteministiche che individuano nella
identità geografica un fattore immutabile che influisce non solo sul
passato e sul presente, ma addirittura sul futuro degli Stati, come
quelle del professore Jeffrey Sachs, direttore dell'Istituto per gli
Studi sulla Terra della Columbia University, consigliere di Kofi Annan.
Eppure, nella maggior parte delle scuole superiori la geografia
continua ad essere assente "ingiustificata", ossia, ospite
necessario ma non gradito, messo poi alla porta senza troppi
complimenti.
Ritengo che la ragione principale sia che la geografia è ritenuta una
materia fissa, immutabile: "Una volta imparate le principali
nozioni, è inutile ripeterle per cinque anni di seguito", deve
essere stato questo il pensiero tradizionale dei pianificatori
ministeriali dello studio. Giudizio perlomeno improprio, vista la
quantità di ridefinizioni di confini e di cambiamenti che il globo
terrestre vive da dieci anni a questa parte.
Proprio perchè il mondo è in continuo divenire bisognerebbe tenerlo
un po' più d'occhio.
Cordiali saluti,
Silvia Ciriello, sicirie@tin.it
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