Un appello per Mildred
Rezia Corsini
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Mildred Hanciles è una giornalista della Sierra Leone che ha fatto
domanda in Italia per il riconoscimento dello status di rifugiato.
Il caso suo e di suo marito Edward Williams è stato
"adottato" anche dalla Federazione Internazionale dei
Giornalisti (il caso è stato seguito da Sarah de Jong - Human
Rights & Safety Officer - Belgio).Mildred lavorava per la
televisione / radio di Stato della Sierra Leone prima e durante la
guerra civile durante la quale, negli ultimi anni, sono stati uccisi
15 giornalisti (nel 1999 ne sono stati uccisi 10). Mildred non può
rientrare nel suo paese perché, avendo lavorato in televisione, è
una persona conosciuta e rischia di essere arrestata se non uccisa.
Il suo nome infatti fa parte della "lista nera" stilata
dai ribelli del RUF.
«Amo il mio lavoro, per questo sono scappata dal mio Paese».
Mildred Hanciles, 27 anni, minuta giornalista della Sierra Leone,
uno dei Paesi pi a rischio per chi esercita il diritto ad informare
(15 giornalisti uccisi negli ultimi anni, dei quali 10 nel 1999), è
arrivata in Italia due mesi fa. E ha chiesto asilo politico. A
Freetown lavorava per la SLBS (Sierra Leone Broadcasting Service),
radiotelevisione nazionale. Mildred, assistente alla produzione, si
occupava di attualità e svolgeva il suo lavoro sul campo. Così tra
il 1998 e il 1999, prima degli accordi di pace internazionali che
prevedevano la presenza di truppedelle Nazioni Unite in Sierra
Leone, Mildred si trovò a filmare, non vista, le attività del
Fronte rivoluzionario unito (Ruf), l'organizzazione che, tra le
altre cose, nel 1999 catturò i soldati della missione Onu facendo
cadere definitivamente l'accordo di pace.
«Filmai torture, omicidi di civili, adulti e bambini; scempi di
ogni genere», racconta Mildred e, ogni tanto, scrive su un foglio
alcune delle parole che sta dicendo, come a volerle sottolineare.
«Tornata in redazione», prosegue Mildred «con il mio direttore
mostrammo alcune parti del girato all'allora ministro della
comunicazione, Julios Spencer, che dette l'ok sulle parti visionate.
Le riprese non andarono in onda, ma tutti sapevano che io le avevo
fatte. Da quel momento mi hanno perseguitata, sono finita in carcere
e, sopratutto, sulla lista nera del Ruf (che in pratica significa
condanna a morte). Nel 2001, i filmatisono stati trasmessi in Tv.
Per me è stata la fine. Mi sono rivolta anche alla Slaj (Sierra
Leone Association Journalist), per denunciare la situazione, ma pur
essendo un organo indipendente, subisce forti pressioni politiche.
Così sono dovuta scappare».
Mildred ritiene che la decisione seppure tardiva, di mettere in onda
i filmati, sia dovuta alla volontà del direttore di SLBS (che
appoggia il governo eletto democraticamente) di dare un giro di vite
pi forte nella lotta contro i ribelli, «ma oggi penso che anche se
nel mio Paese la guerra civile finisse, il governo attuale, eletto
democraticamente, non migliorerebbe le cose né per i civili, né
per noi giornalisti». Nel suo zainetto, Mildred custodisce le due
cassette incriminate «che ho preso prima di partire da Freetown,
dove ho lasciato mia madre e una sorella pi piccola». Poi Mildred
nasconde l'intero volto sotto la tesa nera del suo cappellino da
baseball, che non si toglie mai, e sussurra che prima di lasciare
Freetown ha subito il dolore pi grande la morte del figlio Eddie jr
di cinque anni, «ucciso dai ribelli del Ruf: quando non ottengono
quello che vogliono, passano ad attaccare i famigliari. Sono come
pazzi» racconta con fatica «non si immagina che cosa possono fare.
Ora sono preoccupata anche per la mia sorellina».
Dopo una pausa Mildred butta lì una riflessione: «pensare che il
lavoro di giornalista l'ho voluto fare a tutti i costi, contro il
volere di mio padre». Lei così minuta e timida, ha combattuto il
padre per diventare nel e per il suo Paese, un testimone, un
megafono di denuncia delle condizioni politiche, civili, sociali e
umane, ma il nemico, per ora, è stato pi forte di suo padre: né
lei né tutti gli altri suoi colleghi che in questi anni, pi
sfortunatamente, hanno perso la vita, sono riusciti a sconfiggerlo.
Lei almeno ce l'ha fatta a scappare. In Italia c'è arrivata con il
suo fidanzato Edward Williams, che l'ha protetta durante le sue
fughe da Freetown e che per questo è finito nel mirino dei
guerriglieri. «Io e Edward abbiamo vagato insieme a piedi e
accettando passaggi clandestini, fino a quando abbiamo incontrato
uno svedese che ci ha fatto salire su un aereo: destinazione
Italia».
Prima di prendere il volo, Mildred ha scritto una e-mail al sito
"Icare" chiedendo aiuto e rendendo nota la sua fuga. Il 26
novembre 2001 Mildred ed Edward sono sbarcati a Malpensa e si sono
dichiarati rifugiati politici «mostrando la miacarta di
riconoscimento di giornalista», precisa Mildred. Il secondo passo
in Italia, è stato andare nella sede di Amnesty International a
denunciare il loro caso. Amnesty lo sta divulgando ed è un punto di
riferimento per la giornalista e il suo compagno. Il caso è stato
preso in considerazione e segnalato anche da Sarah de Jong della
Human Right & Safety Officer in Belgio, dove Mildred e Edward si
sono recati all'inizio di gennaio 2002, per verificare se in quel
Paese ci sono maggiori opportunità di asilo: «ci hanno detto che
è meglio tentare in Italia», riferisce Mildred.
Nel frattempo il gruppo di giornalisti indipendenti di Inviati di
pace, si sono impegnati a sostenere ufficialmente la richiesta di
asilo politico e si occupano, a fianco di Amnesty, della situazione
di Mildred e Edward supportandoli nella ricerca di canali attraverso
i quali divulgare la loro storia, che è l'emblema di un Paese.
Anche Isf si sta interessando al caso. Mildred e Edward, che
alloggiano in un centro di accoglienza della Caritas a Caronno
Pertusella, a fine febbraio vedranno scadere il permesso temporaneo
per stare in Italia, cercano sostegno per rendere pubblica la loro
vicenda, ma soprattutto «per diffondere e far conoscere la
situazione in Sierra Leone», sottolinea Mildred non senza
commozione. «Io ho la mia testimonianza filmata» conclude « e
sono pronta a mostrarla pubblicamente. Che almeno la mia fuga, la
perdita di un figlio e questi mesi di dolore, servano a far
conoscere. È questo il mio mestiere».
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