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Da: Marino <trepul@inwind.it
A: <caffeeuropa@caffeeuropa.it
Data: Domenica, 30 dicembre 2001 8:45
Oggetto: O si cambia o si muore?



Bene ha fatto Corrado Ocone a replicare ai due 'commensali più che cinquantenni' che davano dell''ignorante' ai giovani d'oggi. A parte l'invidia generazionale, questo atteggiamento riflette l'incapacità di tanta parte della nostra sinistra a rapportarsi con i giovani di oggi; per cui si va da una sorta di codina adesione alle iniziative tipo Genova e G8 (per poi pentirsene, come ha fatto Fassino, ma che figura!), ad una chiusura miope e politicamente suicida.

La sinistra oggi non dice niente ai giovani semplicemente perchè non ha più niente da dire a nessuno: un manipolo di parlamentari e di amministratori sempre più autoreferenziati, le sezioni vuote, capacità di iniziativa zero (come si fa a dichiararsi 'democratici' se si aspettano sempre e solo le direttive dall'alto?!), paralisi cerebrale a tutti i livelli. E' perfettamente normale che in questa situazione quei giovani che desiderano impegnarsi lo facciano nei Social Forum, nei Centri sociali, e chi tra di loro è più incline alla politica si rivolga a Rifondazione Comunista.

In quanto agli ultracinquantenni, quelli che non hanno ancora raggiunto la sclerosi intellettuale dei commensali di Corrado Ocone, si trovano più a loro agio in Emergency piuttosto che in Amnesty, piuttosto che in altre formazioni di volontariato o di carattere sociale e culturale. Quella forma alta di attività umana che la sinistra ha da sempre definito come 'politica', e che richiede cultura, responsabilità, senso morale, coraggio ed iniziativa, è ormai preda di mediocri mestieranti, intenti a mantenere le loro piccole e residue posizione di potere, sordi e ciechi a ciò che gli succede intorno.

Dissento invece dal finale dell'articolo di Ocone: 'per cambiare il mondo bisogna oggi cambiare prima di tutto se stessi. Forza Fassino, speriamo di farcela!' E' come dire: che Dio ce la mandi buona, ed affidarsi a San Gennaro o a Padre Pio. Pensare che i gruppi dirigenti della sinistra cambino se stessi, cioè il proprio modo di pensare e di agire, è di una ingenuità sconvolgnete; per di più dovrebbero farlo per il semplice motivo che qualche buonanima di intellettuale glielo chieda.

Non esiste un solo caso nella storia patria nel quale un gruppo di potere abbia spontaneamente cambiato le proprie abitudini; più che alle conversioni, abbiamo assistito a cambiamenti all'insegna del trasformismo, raramente a mutamenti di rotta dettati dalle circostanze.

Voglio dire che per ragioni sia di formazione culturale che di limiti personali i dirigenti a tutti i livelli della sinistra italiana non sono in grado nè di rappresentare nè di formare una reale alternativa politica alla destra berlusconiana, e che solo una nuova leadership, senza tare ideologiche ma con tante idee chiare in testa e tanta capacità di iniziativa, può rimetter in moto la situazione. Il problema è: come si forma la nuova leadership?, su questo dovremmo riflettere, più che a sprecare tempo a dire a Fassino, a D'Alema, a Rutelli, e agli altri, che cosa dovrebbero fare.

Marino Contardo



Risponde Corrado Ocone:

Caro Contardo, mi fa piacere sapere che sei fra i tanti (spero) d’accordo non con le mie tesi ma con quelle che mi sembrano delle ovvietà. Quanto alle obiezioni, esse forse non sono tali. Cerco di spiegare meglio, perciò, perché sollecitavo un “cambiare se stessi”. Che, d’altronde, non era rivolto solo ai dirigenti, ma soprattutto a coloro che, in un modo o nell’altro, hanno creduto o votato il maggior partito della sinistra italiana.

Ho sempre ritenuto che la politica sia l’arte del possibile. Quindi, come si diceva un tempo, se si fa politica lo si deve fare tenendo presenti (e con) le forze in campo. Ora, i DS, secondo me, semplificando al massimo, a Pesaro si trovavano di fronte a tre possibilità: o dicevano che bisognava ritornare del tutto al passato (era questo il senso ultimo della mozione Berlinguer); o cambiavano completamente rotta in senso liberal ed europeo; oppure, ecco la peggiore soluzione, continuavano nell’ambiguità.

Stando al testo della sua relazione, Fassino una scelta per il nuovo l’ha sostanzialmente fatta. Certo, bisognerà vedere come le cose andranno all’atto pratico, ma almeno il beneficio d’inventario occorre concederglielo. E bisogna, inoltre, incoraggiarlo. Anche nella speranza (esile?) che nel partito si creino quelle condizioni atte a rinnovare la classe dirigente. Oppure che si crei, come tu dici, un Evento che, purtroppo, non è programmabile a tavolino.

Continuare a lavorare, senza perdere la rotta, all’esterno, dentro o a fianco del partito e, nello stesso tempo, mettere alla prova la buona volontà e le intenzioni del segretario, non sono, a mio avviso, due attività contrastanti. E a questo mirava, a nulla più, il mio “ingenuo” invito.






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