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Il territorio delle storie



Francesco Roat



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Il territorio delle storie. Questo il titolo di uno degli incontri a mio avviso più riusciti, tra pubblico e scrittori, alla kermesse del Festivaletteratura di Mantova, svoltosi dal cinque al nove settembre.

Nella suggestiva cornice della Casa del Mantegna un pubblico partecipe e motivato (saggiamente tutti gli incontri erano a pagamento) ha ascoltato Maria Grazia Raviolo - giornalista della Radio televisione Svizzera italiana - dialogare con Laura Pariani, che da sempre ha legato le storie delle proprie narrazioni a un territorio ben definito, sia esso la pianura lombarda, la sconfinata vastità degli altopiani latino-americani, o appena un piccolo paese, come Orta - affacciato sull’omonimo lago piemontese e cuore del suo ultimo romanzo (La foto di Orta, Rizzoli, pp.213, L.28.000). E proprio in questo luogo questa schiva fabulatrice ha scelto di soggiornare da quando, abbandonato l’insegnamento, s’è dedicata completamente alla scrittura.

Peraltro a Orta - come ha ricordato Raviolo - sono ambientati altri due racconti di Pariani, la quale nel trasferirsi in questo appartato angolo di mondo ha fatto una precisa scelta di vita per poter lavorare con calma in un luogo senza frastuoni. E’ infatti il silenzio, anzi “il grande silenzio di Orta” a consentirle la scrittura che, a suo dire, non può prendere forma senza “il vuoto assoluto intorno a me”.

Duplice quindi la valenza espressiva del territorio, che da un lato fissa quasi fisicamente la storia a un determinato contesto geografico, finendo per caratterizzarla attraverso una precisa fragranza ambientale; dall’altro è il luogo stesso dove uno scrive a informare la scrittura medesima, che altrove sarebbe del tutto altra o al limite impossibile.

“Io non posso concepire un personaggio senza coglierlo in un luogo conosciuto o costruito nella mente, ma con tutte le caratteristiche che ha un luogo reale” ha confessato Pariani raccontandoci la fascinazione che da bambina provava per i racconti orali ambientati nella brughiera e narrati attraverso una puntuale sottolineatura di certi spazi e immagini: luci, ombre, colori, case. (Non va dimenticato che l’autrice, giunta ad esprimersi a livello narrativo verso i quarant’anni, prima disegnava, e ciò ha influenzato senz’altro la scelta di un registro stilistico visivo).

Il racconto può nascere, si può formare per concrezione da un piccolo particolare del paesaggio. E forse La foto di Orta - che narra di Nietzsche e del suo amore infelice per Lou von Salomé - non sarebbe potuto nascere se chi l’ha creato non abitasse in una via da cui egli transitò per una passeggiata al Sacro Monte. Sarà che Orta, -sostiene Pariani- è un luogo in cui puoi sentire come il tempo si sia accumulato. Dunque i luoghi possono costituire un ancoraggio rispetto al logorarsi del mondo. Alcuni danno un senso di pienezza “del tempo intorno a te”.

Così solo l’esatta percezione del tempo, accanto a quella dello spazio - del luogo - consente il crescere, il dipanarsi di una storia. E la magia della scrittura rievoca, restituisce il tempo perduto e avvicina territori remoti in un “qui e ora” che permette al lettore di calarsi in uno spazio-tempo sì dell’immaginario ma autenticamente, pregnantemente significativo.

E ne La foto di Orta, in questa dolorosa parabola del cammino esistenziale degli ultimi anni di Nietzsche, i luoghi sono molteplici come la via crucis che il professore (così è chiamato familiarmente il filosofo tedesco nel romanzo) percorre, dalla delusione d’amore per Lou alla follia, alla morte. Orta, ovviamente, ma anche Roma, Nizza, Venezia, Rapallo, Genova, Bellagio, Torino.

Ed è davvero un Nietzsche umano, troppo umano quello che ci restituisce Laura Pariani, che della sua straordinaria forza evocativa dice solo: “Credo di saper guardare”. Certamente un saper guardare fuori e dentro: ambienti e anime da un osservatorio ineffabile, quello della notte, da cui nascono i sogni e la scrittura.

Così, in antico il veggente era cieco. E necessita il silenzio interiore: farsi muti dentro, per dar voce al racconto. Anche se scrivere di un luogo (fisico o psichico, poco importa) significa paradossalmente avvicinarsene attraverso una presa di distanza, collocarsi a latere del proprio topos narrativo per dirlo.

Il link:

Il sito del festival di Mantova

Il sito ufficiale di Laura Pariani
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