I lettori scrivono
Da: Osvaldo Alzari <aqui.osvaldo@flashnet.it>
A: <caffeeuropa@caffeeuropa.it>
Data: Domenica, 17 giugno 2001 11:20
Oggetto: recensione
de "La cienaga"
Ho letto la recensione di "La cienaga", film argentino che
ha ottenuto una menzione a Berlino. Leggendo gli aspetti critici ho
creduto di percepire a quale tipo di carattere sconclusionato della
sceneggiatura e della narrazione si riferisse la recensione, ma sono
rimasto sorpreso di qualche affermazione affrettata ed alquanto "eurocentrica".
L’autrice dell'articolo cita Bellocchio e Visconti per indicare le
parentele cinematografiche del film argentino, ma qualificando di
datati sia "La Cienaga" sia le tematiche delle grandi
famiglie in stato di decomposizione. Ho la sensazione che l'autrice
dell'articolo confonda la narrazione dei fatti con i fatti della
realtà: Bellocchio continua a parlare della grande famiglia borghese
nei suoi ultimi film, e forse si sente molto nel cinema italiano la
mancanza di film che affrontino l'inesauribile e sempre attuale tema
della grande famiglia, sia quella che crolla sia quella che prospera
(non dimenticare che buona parte di "Una storia italiana" di
Berlusconi è una storia di famiglia, rimaneggiata a piacere). Poi
c'è il problema della narrazione: se i film di Bellocchio sono meno
pungenti forse è perché la sua corrosività e la sua vena poetica si
sono ammorbidite, non perché la materia prima non sia forte e
pertinente al nostro vissuto.
Ho detto che la critica era eurocentrica perché sembrerebbe che
l'articolo concluda che, una volta realizzate le narrazioni
fondamentali in Europa, il resto è solo rimasticatura datata, il che
equivale a dire che loro, quelli al di fuori dei sacri confini
culturali, non hanno diritto a raccontarsi se non per mostrare le loro
bidonville e la loro inesauribile poetica tropicale.
Cordialmente,
Osvaldo Alzari
Risponde Paola Casella:
Gentile lettore,
lei ha ragione quando definisce la mia recensione "eurocentrica".
Ma non credo che lo sia in quanto riconduce (o riduce) La Cienaga
ai parametri estetici della cultura europea. Lo è perché,
rivolgendomi ai lettori italiani, ci tengo a fare loro presente che
l'argomento della decomposizione (come la definisce appropriatamente
lei) della famiglia borghese è stato ampiamente trattato da alcuni
registi nostrani circa trent'anni fa.
Questo non implica che l'argomento sia stato esaurito, o che non se ne
possa/debba più parlare. Significa solo che la nostra memoria
cinematografica di spettatori europei, e in particolare italiani, ha
già immagazzinato molti ricordi in materia, con i quali è possibile
fare un paragone, anche perché la regista di La Cienaga, in una
recente intervista, ha confermato di aver tenuto ben presente la
cinematografia italiana anni Sessanta al momento di stendere la
sceneggiatura del suo film.
E' vero che Bellocchio e altri registi italiani continuano a parlare
della grande famiglia borghese, ma oggi non potrebbero più farlo più
con una storia come quella de I pugni in tasca, che ai suoi
tempi aveva sconvolto le platee, ma che oggi ha perso gran parte del
suo impatto trasgressivo (anche se, almeno per me, nulla del suo
valore artistico).La Cienaga invece mira ancora a choccare, a
infrangere tabù, a provocare scandalo. E questo, ai nostri occhi
europei, appare effettivamente superato.
Quanto alla narrazione, La Cienaga è molto più frammentario e
scollato dei film di Bellocchio e Bertolucci, per non parlare di
quelli di Visconti. E questa mi pare una mancanza dell'autrice, che
non ha nulla a che vedere con la sua provenienza geografica.
Sono d'accordo con lei che la famiglia sia ancora (e sempre) un
argomento forte, anche al cinema: lo dimostra ad esempio il successo
de La stanza del figlio. Fra i tanti modi di raccontarla, però,
alcuni sono più originali di altri. Se in La Cienaga la
struttura narrativa è "già vista", l'ambientazione è
invece (sempre per noi spettatori italiani) una novità: e non mi
riferisco alle bidonville, che non si vedono quasi mai, ma alle ville
dei proprietari terrieri, che non ricordo essere apparse in molti film
provenienti dal Sud America (di solito mostrano più fazenda che
abitazioni con piscina).
Quanto alla "poesia tropicale", sarebbe inutile negare il
fascino esotico di una natura tanto diversa dalla nostra solo per non
passare da provinciali. Il fatto che a raccontarcela sia una regista
che la conosce dal di dentro, invece che l'ultimo numero del National
Geographic, mi sembra solo positivo.
Grazie per i suoi commenti,
Paola Casella
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