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Ma la sàtira è la moglie del
sàtiro?
Carlo Scirocchi
Qualcuno, ricordandosi vagamente di quello strano essere metà uomo e
metà capro, abitante dei boschi e insidiatore di ninfe, ha immaginato
che la satira fosse sua moglie, qualcosa di poco raccomandabile e di
dubbia moralità. O, almeno, così sembra a giudicare dallo
stracciarsi di vestimenta e capelli di novelli censori.
Come spesso succede quando si alza il polverone, gli occhi si chiudono
e non si riesce a distinguere più nulla, con grande soddisfazione di
chi vende bastoni per ciechi.
La satira però, a dispetto di tali commercianti, non è qualche tipo
di femmina selvatica uscita dai boschi per turbare i sonni dei
benpensanti con balletti lussuriosi ma costituisce un modo della
comunicazione connaturato alla nostra specie, una specie che ogni
tanto ha voglia e bisogno di ridere.
È talmente connaturato che non esisterebbe come genere letterario,
quale è, se non esistessero i vizi e le debolezze umane. Qualche
volta la satira si serve dell’ironia, puro strumento linguistico, e
se l’ironia diviene particolarmente amara, aspra, pungente, a volte
offensiva, ecco apparire il sarcasmo.
D’altra parte chi farebbe caricature senza allungare un po’ il
naso o le orecchie, evidenziando in maniera persino crudele le
manchevolezze e le imperfezioni della natura? A volte la risata
suscitata dalla satira è amara, altre volte liberatoria e catartica,
a volte è veramente puro divertimento che sale dalle viscere. Altre
volte si tratta di una forma d’isteria. Come dire: vedo il problema
ma non ci posso fare nulla.
Una particolare forma di satira, condita d’ironia e sarcasmo, è
quella che si rivolge ai potenti o ai simboli del potere. La satira è
sempre stata, perciò, il nemico numero uno da combattere per tutti i
dittatori, già allo stato di aspirante.
L’aspirante dittatore, sappiamo tutti, si riconosce subito: dallo
sforzo che fa per ridere di se stesso. Quando poi diventa dittatore
vero e proprio smette di ridere del tutto. E come potrebbe non
prendersi tanto sul serio? Ne va della sua stessa vita!
Si sono viste mascelle cadere in pezzi, come un vetro colpito da un
sasso, al solo provare a muovere qualcuno dei molteplici muscoli
preposti all’umana risata. Si sono visti cervelli schizzare fuori
dalle orecchie appena hanno cercato di mettere in moto quelle aree
della materia grigia preposte al complicato e sofisticato gioco di
energie che governa il senso dell’umorismo. Del resto provate a far
fare i volteggi a cavallo a uno che ha le gambe ingessate.
Sembra che in Giappone, o in qualche altro premiato sito tecnologico,
abbiano persino inventato una macchinetta che si chiama ‘dittatometro’.
Sapete come funziona? Attraverso sensori sensibilissimi misura il
volume del cigolio prodotto dal contrarsi dei muscoli facciali di
qualche sedicente liberal-democratico -tesi nello sforzo sovrumano di
stamparsi sempre il sorriso sulla faccia- al quale hanno appena detto,
per scherzo s’intende, qualcosa che possa incrinare non solo la sua
immagine verso il pubblico ma anche l'alta considerazione che ha di se
stesso.
Qualsiasi bagatella può andare bene. Tanto per fare un esempio: “Potrebbe
commentare la notizia che sua moglie cambia sempre canale ogni volta
che vede la sua faccia in TV?”
Credo sia il Giappone per via di quella sua antica pratica dello Zen.
Sembra che da quelle parti esista ancora qualcuno di questi
particolari Maestri nell’arte dell’ironia più raggelante, o del
ridicolo inoppugnabile, o della contraddizione più assurda, o dei
paradossi più demenziali. Credo siano stati loro i consulenti per la
macchinetta. Del resto chi, se non un Maestro di antico lignaggio,
può conoscere tanto bene la natura umana da non lasciarsi confondere
dal polverone?
Qui nell’italico Occidente, dove la memoria è notoriamente più
corta e sembra di scoprire sempre l’acqua calda, la vicinanza dell’Africa
rende i polveroni di sabbia questione quotidiana. Ma questo è un
altro discorso.
Io preferisco considerare la satira come un invito a smettere per un
attimo di correre insieme al branco per fermarsi a riflettere sul
perché e sul dove si sta correndo tanto, col campanaccio al collo e
la carota davanti. Come dire: “Guardate com’è buffo il culo di
chi vi sta davanti. E’ esattamente come il vostro.” Questo potere
dissacrante della satira è dirompente per l’aspirante dittatore,
molto di più della sua stessa presa in giro. Se si delegittima la
mandria a che serve il mandriano?
Se la satira ha un legame con qualcosa di misterioso, arcaico,
selvatico direi che tale legame è con l’alchimia. Naturalmente oggi
nessuno sa più che cosa sia questa antica pratica. Qualcuno pensa sia
una oscura pratica di magia nera, appannaggio di streghe e stregoni
degni del rogo.
Non è qui il caso di fare dissertazioni. Chiunque può leggersi i
libri di storia e scoprire quale calibro di personaggi fossero in
odore di alchimisti. Mi limito a osservare che si tratta
sostanzialmente di una pratica di trasformazione, prima di tutto di
chi la pratica.
La satira possiede questo potere di trasformazione perché riesce a
far emergere il lato ridicolo delle cose ritenute serie e, perciò, a
trasformare la coscienza di chi accetta di rompere i totem. L’osservazione
trasforma. Naturalmente, per qualcuno, chi osa ridere a crepapelle del
re di turno deve essere sicuramente una strega o uno stregone, se non
addirittura un mentecatto. Non ride, sghignazza. Che orrore! Un sabba
in piena regola!
Certo la satira è un’arte, difficile da praticare, e pericolosa da
esternare, un’arte che il conformismo e l’arrivismo intellettuale
tende a far scomparire. Ma una cosa è sicura: l’unico che non ha le
carte in regola per emettere un giudizio estetico è il potente a cui
è diretta. Non perché non possa essere una persona a modo ed esperta
di estetica e filosofia, magari anche fine e abile imprenditore; non
perché non abbia il sacrosanto diritto di sentirsi offeso e
dileggiato. Ma per il semplice motivo che si trova dentro un circolo
vizioso.
Infatti se possedesse abbastanza intelligenza umoristica riuscirebbe
anche a vedere perché è divenuto un bersaglio satirico e capirebbe
le risate suscitate dalla sua caricatura, recupererebbe il senso della
misura e sarebbe il primo a ridere di se stesso: insomma non sarebbe
lui.
Il panorama umano offre anche il mestiere di ‘indignato per conto
terzi’, o, se preferite, chi ama sentirsi più realista del re,
cioè, in altre parole, indignarsi per le offese al padrone così da
essere tra i suoi.
Un padrone umoristicamente intelligente sarebbe anche in grado di
ricordarsi che quelli che vogliono sentirsi protetti e vezzeggiati da
lui probabilmente saranno anche i primi a tradirlo. Ma se non sa
ridere di sé come può ricordarsene? Potenza delle tragedie! E poi
chi non ride non ama.
Comunque stiano tranquilli coloro che si sentono in pericolo ‘per
pochi scherzucci di dozzina’: la satira, come si sa da tempi
antichi, è un valore della cultura ma non serve a stabilire valori.
Per questo bastano le persone serie.
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