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Chi accusa il ministro, e perchè



Nina Fürstenberg



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Joschka Fischer è di fatto il politico più popolare della Germania e questo spiega molte cose, soprattutto perchè il leader dei Verdi, ministro degli Esteri federale, nonchè vice cancelliere, sia da tempo al centro di veementi attacchi che provengono da un po’ tutte le parti. Molti di questi attacchi gli rimproverano contemporaneamente sia il suo passato che il suo presente. Per gli euroscettici, dopo il famoso discorso alla Humboldt Universität, egli è diventato il simbolo del federalismo europeo, mentre per molti appartenenti alla sua stessa generazione è un traditore degli ideali rivoluzionari, e come tale, è bollato in quanto “Realo”, e cioè asservito opportunisticamente ai valori del realismo borghese. Ma soprattutto nelle ultime settimane i nemici hanno cercato di farlo diventare anche il simbolo della violenza del ’68. Comunque tutto ciò non produrrà le sue dimissioni.

Fischer si è dimostrato pentito delle piccole violenze della sua giovinezza, ma non certamente delle “conquiste sociali e democratiche” che sono scaturite dalle lotte di quei suoi anni giovanili. In ogni caso, anche se lo smalto della sua figura ha subito qualche graffio, come ha scritto il settimanale conservatore Focus, tuttavia l’elettorato non vuole le sue dimissioni il 76% dei tedeschi sembra dai sondaggi contrario), nè le vogliono i rappresentanti della cultura tedesca, a giudicare da molte prese di posizione, a cominciare da quella di Ralf Dahrendorf, ora Lord britannico, ma per una buona parte della sua vita politico liberale nella Bundesrepublik. Fischer continua insomma ad appartenere al gruppo dei politici più amati del paese.


La recente bufera comincia a gennaio, quando il ministro degli Esteri viene chiamato come testimone al processo contro Hans-Joachim Klein, il terrorista imputato per tre omicidi compiuti durante l’attentato alla riunione dell’Opec di Vienna del 1975. In quella occasione Fischer ha deciso di mettersi a disposizione del Parlamento per un dibattito sull’argomento e la televisione ha trasmesso la seduta in diretta per due ore, ritrasmettendola in prima serata. E davanti alla Tv il vice cancelliere ha avuto partita vinta dal momento che con le sue risposte alle accuse ha dato una convincente prova di serietà, e anche di pentimento. E’ venuta fuori anche l’accusa di aver incitato alla violenza in episodi del 1973; da questa si è difeso ricordando gli anni in cui “eravamo rivoluzionari, ci definivamo rivoluzionari”.

Quanto ai suoi rapporti con Klein, Fischer ha ammesso di averlo conosciuto e di avere fatto parte, con lui, dello stesso gruppuscolo estremista, responsabile di occupazioni abusive di case e di scontri con la polizia. Ma non ha mai condiviso la sorte di coloro che da quei gruppi sono poi passati alla lotta armata e alla Raf. Le foto dello “scandalo”, pubblicate da vari giornali sono quelle relative agli scontri di strada del 1976, durante i quali rimase ferito un poliziotto, Jürgen Weber.

In verità a mettere un po’ in imbarazzo Fischer è stato il suo amico Daniel Cohn Bendit, un altro testimone eccellente al processo Klein, il quale ha ricordato che tutti quanti i giovani del “movimento” a quell’epoca si portarono fino “a un passo dal baratro della violenza”, ma ha anche aggiunto di essere stato sempre, lui, più rigoroso dell’amico Joschka nel rifiuto di avvicinarsi ad esso. Hanno pesato a beneficio di Fischer i sospetti, avanzati da una parte della stampa, circa il fatto che la convocazione di quei testimoni, assai lontani dai fatti, non fosse proceduralmente indispensabile, ma piuttosto funzionale a una campagna volta a creare molta pubblicità intorno alle udienze.

E indubbiamente gli ha giovato anche la presa di posizione del presidente della Repubblica Johannes Rau, il quale ha sostenuto che anche “le scuse” hanno un peso in circostanze come queste, quando non ci siano di mezzo più gravi reati, perchè altrimenti “non ci sarebbe mai la possibilità di invertire la rotta”. Altre accuse più serie, rivolte a Fischer successivamente da persone legate ai terroristi (avere nascosto dell’esplosivo in case del terrorista Carlos, aver tentato di uccidere il poliziotto ferito nel ’76, avere incitato all’uso di molotov), sono state respinte da Fischer e non hanno avuto seguito.

La Cdu/Csu, reduce dalla débâcle di Helmut Kohl, non si è tirata indietro da questa campagna, vedendovi la possibilità di indebolire il governo di Schroeder, già colpito da una serie di guai che hanno recentemente costretto alle dimissioni due ministri, ma i suoi colpi non sembrano destinati ad andare più in là di quei graffi allo smalto della immagine di Fischer di cui dicevamo al’inizio. Da parte sua il primo ministro, a differenza che in altri casi, ha preso con forza le difese del suo alleato, difendendo con lui non solo la sua coalizione ma anche una parte positiva della eredità del ’68 che neanche il governo della “neue Mitte”, variante tedesca della Terza via, ha voglia di mettere in discussione.


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