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All'Italia serve una "filosofia
civile"
Nadia Urbinati
Caro Bosetti,
mi pare che occorra fare una distinzione tra cultura universitaria e
cultura politica diffusa o 'senso comune'. Tu dici che da noi il
populismo repubblicano all'americana non attecchisce, mentre ci è
assai più consono il machiavellismo o l'ingegnerismo alla Sartori
(che ne è una propaggine). A me sembra che le cose sia un po' più
complicate. Un elettorato che vota Berlusconi è un elettorato che ama
il linguaggio e la propaganda populistica -- non dimentichiamo che
c'è stata non molto tempo fa l'Italia delle 'adunate oceaniche' oltre
a quella dei seguaci di Mosca. Il fatto è che da noi, contrariamente
che negli Stati Uniti, c'è una secolare e ancora grande frattura fra
la cultura 'alta' e quella popolare, percio' quello che gli 'ordinary
citizens' pensano e dicono è guardato con sospetto e anche disgusto
dagli accademici.
Quella che alcuni chiamano 'filosofia civile' (un termine che fu degli
illuministi napoletani prima e poi di Romagnosi e Cattaneo, ma per
significare una scienza sociale ed economica al servizio della
modernizzazione della società civile) dovrebbe essere chiamata 'senso
democratico' o 'cultura democratica'. E' questo che a noi fa difetto e
che dovremmo aiutare a crescere, non il patriottismo (oltretutto
problematico a conciliarsi con una società multietnica e il
pluralismo culturale e morale).
Cultura democratica diffusa significa quella tranquilla certezza delle
regole che porta ciascun cittadino a vedere gli altri nè con il
disprezzo di chi 'ne sa di più' nè con la diffidenza di chi voglia 'fregare'.
Questa è la cultura politica che a noi fa difetto (ma occorre pensare
che la nostra è una democrazia giovane) -- quel senso del rispetto
per l'autorità del giudizio politico dei cittadini. Un senso di
rispetto che, purtroppo, viene contrabbandato nel suo più sgradevole
surrogato dai politici del Polo, i veri populisti moderni. Ma quando
loro si appellano al 'giudizio del popolo', alla 'legittimità
popolare e democratica' lo fanno pensando alla 'massa', a una massa
che segue le campagne del leader come i fedeli seguono le processioni
religiose.
Eppure, la democrazia non equivale a popolo in 'massa', ma a popolo
come unione di singoli cittadini che ragionano con la loro testa. Piu'
che la generica 'filosofia civile' (che in fondo altro non è che
rispetto della legge con qualche parata folkloristica) occorre che si
formi un 'senso comune' democratico, che, per dirla con Whitman, si
veda la nostra società come una casa che tratta i suoi abitanti con
eguale dignità, siano essi prostitute, omosessuali, genitori per
bene, imprenditori, poveri o immigrati. E' l'orgoglio che viene dalla
cittadinanza democratica che deve essere esaltato, non quello per un
concetto astratto come 'patria'. Del resto, quando si pensa con la
propria testa, le patrie diventano molte.
Cari saluti,
Nadia Urbinati
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