Caffe' Europa
Attualita'



Trintignant e Ardant


Josè Luis Sànchez-Martìn





Nel 1982 il regista François Truffaut sceglie per interpretare quello che sarebbe stato purtroppo il suo ultimo film, “Vivement Dimanche!” (Finalmente Domenica!), il solido e carismatico attore Jean Louis Trintignant (“un carattere fortemente virile in un fisico timido e discreto”) e l’affascinante e intensa attrice Fanny Ardant, compagna e “musa ispiratrice" del regista, che egli nel finale del film mostra incinta con orgogliosa evidenza, dato che porta in grembo suo figlio.

Diciotto anni più tardi ritroviamo ancora insieme queste due grandi “icone” del cinema francese e internazionale, questa volta non sul set di un film ma ognuno interprete di un monologo teatrale, all'interno del programma del festival “I Solisti del Teatro”, che si svolge in questi giorni negli splendidi Giardini della Filarmonica Romana.

Malgrado i testi che hanno presentato siano di autori francesi molto diversi tra di loro, l’Ardant ad apertura di festival il 10 luglio con “Le Square” di Marguerite Duras del ‘55 e una settimana dopo Trintignant con “La Valse Des Adieux” di Louis Aragon del’72, le due performance avevano in comune, con risultati molto diversi, la caratteristica di essere delle “letture” drammatizzate, scevre da qualunque azione e con l’interprete permanentemente seduto.

Il testo di Marguerite Duras può essere presentato dalle esigue e uniche note del programma: “Un pomeriggio di primavera... in un piccolo giardino in mezzo alla grande città... una ragazza, una baby-sitter, seduta su una panca, inizia una conversazione con un uomo di passaggio, un rappresentante di commercio: due esseri solitari, diversi, però legati nella stessa ricerca della felicità. Ma la felicità, da dove viene? dall’amore? dal sognare? o è giusto vivere il momento presente?”


Purtroppo, scritto prima che la Duras mettesse a punto quel suo stile personalissimo che l’ha resa una delle più grandi scrittrici del Novecento, il testo è fortemente datato e marcatamente letterario e malgrado sia strutturato in forma di dialogo ha una scarsissima dimensione teatrale. Questi limiti sono risultati ancora più evidenti dall’indefinibile presentazione che ne è stata fatta: l’Ardant, seduta su una panchina, ha semplicemente letto in modo maldestro, come se fosse la prima volta, una mediocre traduzione italiana, improvvisando una specie di “interpretazione” del dialogo che modulava un po’ casualmente soltanto la dimensione discorsiva ed emotiva del dialogo, ma senza fornire nessuna caratterizzazione dei due personaggi, tanto che l’ascoltatore faticava a capire quale dei due stesse parlando in quel momento.

Non si mettono in dubbio il grandissimo fascino e lo spessore professionale dell’attrice, dimostrati nel corso della sua ricca e articolata carriera cinematografica, e nemmeno il carisma della sua presenza sul palco che, grazie al garbo e alla leggerezza, ha reso sopportabile ciò che per molti altri non lo sarebbe stato, ma questo non è sufficiente per dare la dignità di pièce teatrale o di “recital” (come veniva presentato sui manifesti) a una semplice e casuale lettura. La presentazione come “anteprima” non riesce a giustificare la presenza in programma di un'operazione di livello quantomeno discutibile.

Nonostante i molti elementi in comune, l’assolo di Jean Louis Trintignant risulta invece di tutt’altro segno e soprattutto di tutt’altro livello. Lo spettacolo, in francese, con la regia di Antoine Bourseiller e le musiche composte ed eseguite dal vivo con la fisarmonica dall’eccellente musicista Daniel Mille, dopo aver girato l’Europa, è approdato al Festival di Spoleto, che ospitava una retrospettiva dei film di Trintignant, e dopo la replica di Roma si è spostato in Sicilia, in Sardegna e in Puglia. Trintignant, nato nel ‘30 in un’agiata famiglia di industrali del sud della Francia, malgrado abbia studiato legge ha cominciato subito a fare teatro: “da giovane ho interpretato una cinquantina di pièce, e per dieci anni di seguito Amleto, il mio ruolo preferito. Poi ho fatto 120 film. Per il teatro non avevo più tempo e lo rimpiango, perchè è il territorio degli attori.”

Scoperto dal regista Roger Vadim, che gli fece interpretare insieme alla allora debuttante Brigitte Bardot il film “E Dio creò la donna” del ‘56, e conosciuto a livello internazionale come protagonista del famosissimo film di Claude Lelouch “Un uomo e una donna” del ‘67, la sua straordinaria carriera cinematografica include collaborazioni non soltanto con i più importanti registi francesi ma anche con molti italiani, tra cui Dino Risi, per il quale interpretò insieme a Vittorio Gassman “Il sorpasso” del ’62, Bernardo Bertolucci con cui girò “Il conformista” del ‘70, e poi Zurlini, Scola, Amelio, Corbucci e tanti altri.

La sua capacità interpretativa raggiunge livelli magistrali, che lo confermano come uno dei più straordinari attori di tutti i tempi, nel capolavoro-testamento di Krzystof Kieslowski “Film rosso” del ‘94. Raffinato e poliedrico, “puro, completo. Aperto a tutto. Come una superba tabula rasa dell’arte drammatica.”, come lo ha definito Leonetta Bentivoglio, Trintignan odia “il cosiddetto bel ruolo, la recitazione che stupisce” e dichiara di appartenere alla stessa famiglia di attori di Mastroianni: ”Marcello considerava questo lavoro come una somma di piccoli dettagli da non notare. Lo è anche per me.”


Infatti lo spettacolo “La Valse des Adieux”, tratto dall’omonimo testo triste e crepuscolare, surreale e autobiografico, del poeta Louis Aragon, è costruito secondo questo principio minimalista e cinematografico, trasferito però teatralmente sulla sua figura pressochè immobile sul palco. Presentato come “lettura”, definizione scelta dallo stesso Trintignan, perchè “anche se recito a memoria è il termine che preferisco, per segnalare l’aspetto spoglio, essenziale, della messa in scena”, l'attore guarda negli occhi il pubblico e parla in prima persona, dipanando e traducendo il percorso interiore del testo e del poeta in una presenza fatta di minime e precise cesellature, un insieme vitale ed emotivo di sfumature inesibitamente virtuosistico. E la specificità teatrale, che differenzia questa performance da un lavoro cinematografico, risiede soprattutto nei suoi occhi, nella sua presenza potente e comunicativa come solo è possibile ottenere in palcoscenico.     

Confessa il regista Antoine Bourseiller: “Con questa serata, Jean-Louis Trintignant ha voluto portare all’estremo il suo destino di attore. All’inizio, quando gli ho proposto il testo, immaginavo di trasporre degli atteggiamenti, dei gesti, dei modi di vestire del poeta che ho conosciuto bene alla fine della sua vita. Ma Jean Louis ha saputo convincermi. Cercava il contrario: l’estrema spogliazione del teatro: una sedia e un tavolo e lo ‘straniamento’ nei confronti del personaggio, infatti è Aragon che parla. Ci vuole una lunga vita piena di insidie per giungere a questo sogno di attore: recitare con niente, essere ogni sera un neonato. Questa semplicità non pensate sia dovuta al caso. E’ il frutto di un’esigenza inflessibile, di molteplici esitazioni, di tentativi tormentati. L’attore è famoso, si, ma l’uomo Trintignant non si placa mai perchè si trasforma in dolore del poeta.”

Trintignant descrive “La Valse des Adiaux” come un “testo delicato, ambiguo, emozionante, sulla vita e le sue sconfitte. E’ l’epilogo di un poeta che canta il declino delle sue illusioni anche politiche. E’ insomma l’espressione di un comunista appassionato, ma con un rapporto conflittuale col comunismo. Si dice che Aragon stracciasse ogni sera la tessera del partito, per poi riprenderla ogni mattina. Io sono come lui: penso che il comunismo sia l’idea politica più bella, ma non siamo pronti a metterla in atto.”

Parla Aragon: “Da mesi e mesi, sapevo a cosa attenermi, conoscevo il fondo dell’abisso...Questa vita è come un gioco terribile nel quale ho perso. Che ho sciupato da cima a fondo.”

“Riflettevo anche su questo libro di canzoni che avevo trovato un po’ più tardi addosso ad un giovane tedesco morto, i cui occhi spalancati mi hanno sempre inseguito poi nei sogni, degli occhi che erano come una protesta verso quello che probabilmente vedevano in lui nell’ultimo istante.”

“Bisogna mescolare i sogni alla vita, per imparare meglio a separarli in seguito. Perchè è vero che la vita contiene un certo quoziente pericoloso di sogni. Ma è anche vero che nei sogni bisogna saper leggere la propria vita per imparare a guidare più lontani, oltre se stessi.”

“Ah! Dio degli inferi! Perdo la mia bella vecchiaia a volere spiegare qualunque cosa alla gente; a turno, dicendo che tutto non è che un sogno, o improvvisamente, tutto al contrario, che i sogni stessi sono il mondo nel quale viviamo, la vita, in una parola, questa vitaccia.(...) Provo a distogliere il mio sguardo, ed il vostro, da quello che in fin dei conti ho letto un tempo negl’occhi colmi d'ingiustizia di questo grande ragazzo morto nei fossati attorno al forte di Malmaison. Ma lui aveva visto la cosa solo all’ultimo istante, quella di cui si muore. (...) Niente alla fine dei conti è più normale del dolore. Lo strano è che talvolta lo si dimentica.”

“Non conosco niente di più crudele in questo mondo infimo degli ottimisti convinti. Sono degli esseri di una cattiveria chiassosa e di cui si direbbe che si siano prefissi come missione di imporre il regno cieco della stupidità. Mi si dice il più delle volte che l’ottimismo è un dovere, perchè se vogliamo cambiare i mondo, bisogna credere prima che sia possibile. Mi sembra che questo ragionamento rientri in una delle categorie di falsità denunciate da Aristotele tanto tempo fa.(...) Credo nella potenza del dolore, della ferita e della disperazione. Lasciate, lasciate ai pedagoghi del tutto va bene questa filosofia che è sistematicamente smentita nella pratica della vita. C’è, credetemi, nelle sconfitte più forza per l’avvenire che in molte vittorie che si riassumono il più delle volte in stupide strombazzate. E’ dalla loro disgrazia che può fiorire l’avvenire degl’uomini, e non da questa contentezza di sè da cui siamo perpetuamente assordati.”

“Per parte mia, ho guardato in me e ho visto il fondo del’abisso. Non vi dico altro in questi giorni in cui la bellezza dell’autunno rischia di farci credere nella primavera. Non vi dico altro che bisogna sapere guardare in faccia la sconfitta, e non mascherarla con il suo contrario.”

“Ma se volete che almeno di una cosa mi vanti, vi dirò che, di questa vita sciupata che fu la mia, tengo tuttavia un motivo d’orgoglio: ho imparato quando ho male a non gridare.“ (Louis Aragon, ottobre 1972)


 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui

Archivio Attualita'


homearchivio sezionearchivio
Copyright © Caffe' Europa 1999

Home | Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier | Reset Online | Libri | Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media | Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo