The Fairy
Queen
Josè Luis Sànchez-Martìn
L’inglese
William Shakespeare è probabilmente l’unico drammaturgo di tutti i
tempi che sia conosciuto, almeno di nome, ad ogni latitudine del
pianeta dove si sia entrati in contatto, anche molto superficialmente,
con la cultura occidentale e del quale chiunque é in grado di citare
quantomeno il titolo di un testo, anche senza averlo mai letto o visto
rappresentato. Inoltre, la sua opera è l’unica proveniente dal
teatro che abbia influenzato profondamente, a vari livelli,
l’immaginario collettivo contemporaneo, producendo sia complesse e
sofisticate categorie del pensiero che immagini e cliché diventati
luoghi comuni parodiati in divertenti cartoni animati o presi
terribilmente sul serio nelle telenovelas e fiction televisive.
Amleto
é l’emblema della malinconia e della sofferenza dell’anima,
eternamente sospirante in calzamaglia nera e col teschio in mano;
Otello é la personificazione della gelosia che corrode l’anima
oppure un “negro ripulito” a cui un sospetto di gelosia basta per
ritornare ad essere un selvaggio violento e omicida; Romeo e Giulietta
sono gli eterni amanti, puri e romantici e proprio per questo
ineluttabilmente
votati alla tragedia, ovvero “Anche i ricchi piangono”. Per
questa sua forza evocativa, l’opera di Shakespeare da sempre é
stata fonte di ispirazione in ogni campo artistico: letteratura,
teatro, pittura, scultura, balletto, musica, cinema... Basti ricordare
le varie versioni in balletto di “Romeo e Giulietta”, come quella
molto nota di Prokofiev, o
le opere liriche che Verdi ne ha tratto: “Macbeth”,
“Otello” e “Falstaff”.
Al di là dei tragici
testi/archetipi
prima menzionati, una delle opere shakespeariane più
“saccheggiate” nei secoli é la commedia “Sogno di una notte di
mezza estate”. Sono indimenticabili le deliziose versioni
cinematografiche che Ingmar Bergman e Woody Allen, ognuno a modo suo,
ne hanno tratto. In musica si sono confrontati con essa, tra gli
altri, Felix Mendelsshon (da cui proviene la più famosa marcia
nuziale eseguita oggi praticamente in ogni matrimonio), Hector Berlioz
e Benjamin Britten.

Tuttavia
probabilmente la prima e più famosa opera musicale ad essa ispirata
é “The Fairy Queen” (La Regina delle Fate) del magnifico
musicista inglese Henry Purcell (1659-1695), capolavoro del teatro
musicale barocco e di ogni tempo rappresentata per la prima volta il 2
maggio 1692 al Queen’s Theatre di Londra, quasi sicuramente come
omaggio alla Regina Mary per il suo compleanno, in un fastoso
allestimento che includeva oltre alla musica e al canto anche la
danza, la pantomima e un complesso apparato di macchinari
scenografici, del quale il critico dell’epoca Johnn Downes scrisse
di essere “eccelsamente eseguito” e di come la Corte ed il
pubblico “siano stati superlativamente meravigliati”. La
produzione, profondamente rivista, fu riproposta il 16 febbraio
dell’anno seguente, sempre alla presenza della Regina Mary e dellla
sua Corte. Mai più rappresentata, il manoscritto della partitura
musicale scomparve dopo la morte di Purcell. Incredibilmente, malgrado
gli sforzi del Theatre Royal di Covent Garden di rintracciarlo
offrendo 20 ghinee di ricompensa, esso non fu ritrovato fino al 1903,
quando fu rinvenuto nella biblioteca della Royal Academy of Music e
pubblicato dalla Purcell Society.
La prima registrazione dell’opera mai realizzata che includesse
l’intera partitura che Purcell compose per la versione rivista del
1693 é stata curata soltanto nel 1982 per la Archiv Production, con
una sorprendente attenzione filologica e
utilizzando strumenti d’epoca,
da John Eliot Gardiner, uno dei più importanti e scrupolosi
esperti nel recupero e nell’esecuzione del repertorio barocco, che
già ne aveva curato l’anno prima, assieme a Peter Holman, la prima
esecuzione moderna integrale e filologica, per il Gottingen Handel
Festival.
In realtà “The Fairy Queen” non é una vera e propria opera
lirica come viene concepita “all’italiana”, cioé completamente
musicata e con i dialoghi in recitativo cantato, ma quello che così
veniva chiamato nella tradizione inglese e che lo scrittore Roger
North nel 1734 poi ribattezzò con la parola “semi-opera”, giacchè
esse erano degli ibridi ”consistenti in metà Musica, e metà
Dramma”. La grandezza storica di Purcell, al di là della qalità
eccelsa e sublime delle sue molte composizioni vocali e strumentali,
consiste nell’essere riuscito a sintetizzare, sulla base della
tradizione inglese,
le due correnti musicali più importanti dell’epoca in
Europa: quella francese nata con Lulli e quella italiana rappresentata
da Vivaldi. Come egli stesso scrisse nel 1683 si augurava di poter
portare “in voga ed importanza” la “serietà e profondità”
della musica italiana insieme alla “levità e ballabilità” della
musica francese. Infatti “The Fairy Queen”, forse il momento più
alto di questa fusione nella sua musica, malgrado sia un
“divertimento” basato appena superficialmente sulla falsa riga del
testo della commedia shakespeariana ed includa
molti momenti di deliziosa leggiadria e personaggi graziosi o
addirittura buffi,
é pregna, soprattutto nelle parti strumentali, di una gravità
e di un’intensità emotiva quasi spirituale, che la rende unica.
Nella sua stagione estiva, quest’anno limitata a soli tre giorni e
intitolata “Incontri, Incanti...2000”, l’Accademia Filarmonica
Romana ha proposto nella stupenda cornice dei suoi giardini e
nell’adiacente Sala Casella una serata interamente dedicata a
Shakespeare e alla
sua commedia “Sogno di una notte di mezza estate”, con un
doppio programma che prevedeva “The Fairy Queen” di Purcell e una
versione del ”Sogno” per pupazzi e musica dal vivo. L’opera di
Purcell é stata eseguita dal Coro da Camera del CIMA, uno dei primi
cori ha specializzarsi e a diffondere il repertorio barocco europeo
secondo i dettami della filologia musicale e dall’Orchestra Barocca
Italiana, considerata dalla critica e dagli operatori europei uno dei
più rigorosi complessi di musica barocca
che ha suonato oltre che in numerose sedi in Italia anche in
diversi paesi europei come la Francia, la Spagna, la Germania e la
Grecia.

L’intero
ensemble é stato diretto dal Maestro Riccardo Martinini, fondatore
dell’Orchestra e presidente del Centro Italiano di Musica Antica
nonchè titolare della cattedra al Conservatorio di Novara. Insieme
all’Orchestra e al Coro é tra i più importanti promotori della
diffusione della ricerca filologica musicale in Italia, contribuendo
alla realizzazione di circa 600 diverse opere sinfonico-corali e
cameristiche, registrando
anche numerose incisioni tra cui l’apprezzata “Foresta
Incantata” di Gemignani “L’Armida Abbandonata” di Jommelli, Le
Sonate inedite di Nardini e l’integrale dei Salmi di Marcello. Come
era da aspettarsi da simili referenze, abbiamo ascoltato
un’esecuzione impeccabile, che rendeva onore alla ricchezza e alla
profondità della musica di Purcell. Casomai é proprio qui che
abbiamo trovato un dei punti di debolezza dell’esecuzione,
e cioé l’eccesso di attenzione alla serietà della
composizione a discapito, come succede spesso nell’approccio
filologico, della levità e della gaiezza insite non solo nella
tematica ma anche nella composizione di un’opera che tratta di Fate
e Folletti. E’ inevitabile il confronto con l’incisione di
Gardiner, giacchè quella di Martinini é una “versione” ridotta a
poco più della metà di durata dell’originale e a un terzo dei
solisti previsti, ma soprattutto perché Gardiner ha saputo coniugare
il più severo degli approcci filologici con la leggerezza e il
divertimento necessari in una esecuzione che rispetti lo spirito della
Regina delle Fate. Dal punto di vista teatrale, la soluzione di
compromesso di una
semplice presentazione in forma di concerto ma con una leggera
e non sempre calibrata teatralità da parte dei solisti non ci é
parsa riuscita. I solisti, tutti e tre stranieri, erano comunque di
buon livello, dovendo segnalare per la sua particolare intensità e
presenza teatrale il giovane basso di colore Rodney Clarke e per la
sua cristallina vocalità e capacità interpretativa il soprano
Elizabeth Grard.
Dopo un intervallo musicale in cui l’ottimo Quartetto Ares ha
eseguito il Quartetto in do minore op. 18 n. 4 di Beethoven e
l’altrettanto apprezzabile Quartetto Respighi ha eseguito il
Quartetto in Si bemolle maggiore k. 458 detto “La Caccia” di
Mozart é stato presentato lo spettacolo “Sogno di una notte di
mezza estate” di
Burattinmusica, compagnia specializzata nella realizzazione di
spettacoli in cui si incontrano il teatro di figura e la musica dal
vivo, che in questo caso erano composizioni d’epoca elisabettiana
eseguite da una spinetta, un liuto e un flauto rinascimentale. Lo
spettacolo, molto bello dal punto di vista figurativo ed eseguito con
una buona tecnica di manipolazione dei pupazzi, peccava da una parte,
come succede spesso in questi connubi tra figura e musica, di un
estetismo decadente e compiaciuto che tendeva ad affondare le buone
intenzioni della Compagnia in una semplicistica banalità e
dall’altra in una sorprendente volgarità che rendeva esplicito,
nella concretezza di un pene smisurato e continuamente sbandierato, ciò
che in Shakespeare é un gioco di divertita e allusiva malizia. Uno
spettacolo in cui la trama di Shakespeare é troppo semplificata ed
espropriata delle molteplici tensioni sotterranee per essere veramente
interessante per un pubblico adulto e dall’altra parte, troppo
compiaciuto della volgarità, non certo quella del pene che non é
altro che una parte anatomica, ma del compiacimento della sua enorme
presenza e della conferma della più beccera cultura maschilista da
caserma, che vorrebbe le dimensioni del pene come un valore, per
essere adatto ad un pubblico di bambini.
In ogni caso una serata gradevole, insolita e coraggiosa come é da
aspettarsi da un’istituzione così importante com’é l’Accademia
Filarmonica Romana.
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