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A proposito della mia generazione
E dell’essere “liberal”
Will Hutton
Sono un liberale. E' una filosofia che è stata
al mio servizio per tutta la vita. E' generosa e ottimista circa la
natura umana; celebra i diritti e il potenziale di ciascuno.
Soprattutto, è gentile. E' un credo profondamente radicato nella
nostra lingua e nella nostra cultura. Ripudiare e disprezzare il
liberalismo significa negare una parte essenziale del nostro essere.
La mia definizione di
liberalismo gli consente di stare a cavallo della divisione
Destra/Sinistra. Ovviamente, il liberalismo si schiera per natura più
con la Sinistra (io personalmente mi definisco un socialdemocratico
liberale), ma l'idea di un conservatore liberale non è una
contraddizione in termini. E' perfettamente possibile venerare le
istituzioni britanniche e credere nel capitalismo, due segni
distintivi per definire il conservatorismo, e al tempo stesso anche
desiderare di attuare una politica sociale ispirata alla generosità,
che è la posizione, diciamo, di un Ken Clarke (1).
Ma in tutti i partiti i liberali sono oggi sotto accusa. Per Tony
Blair allo stesso modo che per William Hague, "liberale" è
un appellativo carico di disprezzo, sinonimo delle cose più svariate,
dallo «scantonare davanti alle scelte più difficili» al «fregarsene
delle vittime».
Mai meno di adesso il liberalismo ha avuto meno difensori pubblici o
fautori. L’ascendente conservatore stabilito dalla signora Thatcher
non è mai stato sfidato seriamente. L'idea che il New Labour abbia
stabilito un nuovo consenso in favore di una maggiore spesa pubblica
per sanità e istruzione, e che abbia quindi cominciato a modificare
il clima politico, poggia su una confusione di base. C’è sempre
stato consenso sulla necessità di una maggior qualità nei servizi
pubblici. Il problema era se questi dovessero essere finanziati con più
tasse o tramite uintervento più ampio del settore privato; qui la
causa liberale è rimasta inascoltata, e chi la promuoveva si è
tenuto sulla difensiva.
Le convinzioni liberali partono infatti da una serie di proposte circa
le nostre vite personali costruendo all'esterno, verso il politico, e
qui c'è uno strano paradosso. Il dibattito pubblico sul modo in cui
dovremmo vivere, gestito da media in gran parte conservatori, dei
quali la classe dirigente politica è schiava, è fondamentalmente
illiberale. Non credi negli schiaffi ai bambini? Non sei d'accordo che
sia nostro diritto naturale uccidere chiunque si introduca nelle
nostre case? Vuoi aiutare i criminali a riabilitarsi? Credi che la
Gran Bretagna dovrebbe farsi carico della sua quota di persone che
chiedono asilo, e trattarle con giustizia? Scommetto che sei convinto
che le tasse dovrebbero essere più alte e che la Gran Bretagna
dovrebbe unirsi ai paesi dell’euro. E quel che è peggio,
probabilmente ti sono piaciuti gli anni Sessanta e sei convinto che
siano stati un'epoca di liberazione personale. Tu, dunque, sei uno
spregevole liberale.
Mi riconosco colpevole di tutte le accuse. Ma il paradosso è che
mentre l'opinione pubblica conservatrice diventa ogni giorno più
intollerante, la gran massa dei cittadini britannici vive la sua vita
privata secondo principi liberali. Per esempio, un numero crescente di
genitori crede che sia imperdonabile schiaffeggiare i propri figli, in
qualsiasi circostanza; tale violenza intima degrada chi schiaffeggia e
chi viene schiaffeggiato allo stesso modo. I bambini hanno bisogno di
limiti chiari e di deterrenti per non infrangerli, certo, ma le
sanzioni – per esempio, detrarre una parte della loro paghetta –
dovrebbero essere mirate ad aiutarli a comprendere la legittimità di
tali confini. Non c'è nulla di troppo arrendevole in tutto ciò. Si
può essere rigorosi nel modo di essere genitori, pur rispettando i
diritti dei propri figli.
E dal personale emerge il politico. Il sistema di giustizia penale
dovrebbe essere organizzato in base agli stessi principi. Rinunciare
all’idea che gli esseri umani possano cambiare o riabilitarsi
significa rinunciare a ogni possibilità di vita. La punizione fine a
se stessa, il mondo illiberale dei «tre reati e sei fuori» ci invita
a entrare nello stesso paradigma di chi prende a schiaffi i bambini.
Queste scemenze liberali derivano dagli anni Sessanta? Mi è capitato
di recente tra le mani un CD dei Who. Gli inni straordinari di una
band al suo apogeo hanno attraversato trent’anni. Sì, la musica
rock, nella sua essenza, è liberale. E io l’adoro. C'è un
collegamento tra la ricerca di realizzazione personale degli anni
Sessanta, accompagnata dalla volontà di sfidare l’ordine
costituito, e il mio essere liberale.
Ma assistendo al Figaro
sabato scorso, mi ha colpito come Mozart, come le grandi rock band, si
fa beffe di un ordine edificato sulla ricchezza ereditata e sulla
deferenza, e si schiera con gli uomini e le donne disposti a rifare il
mondo in modo da far spazio al loro amore e alla loro necessità di
esprimersi. E sì, questo dà effettivamente forma alla mia visione
del mondo liberale, e la musica di Mozart mi fa venire i brividi lungo
la spina dorsale.
Perché al di là di tutto ciò c’è l’idea di come organizzare
l’economia e la società nel loro complesso. Il liberale crede in
mercati ben governati, dotati di sistemi in grado di garantire che
quanti si trovano più in basso siano protetti contro i rischi più
gravi, e che abbiamo pari opportunità di lavorare e partecipare alla
vita della comunità. Il capitalismo non si regola da sé; ha una
naturale inclinazione verso il monopolio, lo sfruttamento e la rapida
espansione, inclinazione che dev’essere controbilanciata da governi
che agiscono a livello nazionale e internazionale.
Ma il governare presuppone un ruolo per lo stato e ciò a sua volta
presuppone meccanismi potenti in grado di garantire che quel governo
sia rappresentativo, aperto e affidabile; in sintesi, democratico. Il
liberale accetta che la legittima autorità debba essere guadagnata e
ri-guadagnata attraverso un’azione responsabile. La fede
alternativa, conservatrice, in una naturale gerarchia e nella
legittimità conferita dalla corona, dall’abitudine e dalla prassi,
nonché da qualche mistica concezione di britannicità, è insieme
debilitante e sbagliata. Non può funzionare.
Dunque, sono un liberale, ma ho buone notizie per William Hague (2).
Non esiste una élite liberale. C'è piuttosto, una diaspora liberale
che manca di leadership. Nessun politico parla a nostro nome in modo
coerente e coraggioso; pochi elaborano o difendono i valori in cui
crediamo. I nostri presunti amici politici ci disprezzano quanto i
nostri nemici. Ma su una cosa Hague ha ragione. Il liberalismo è una
base fondamentale per la politica. Nel suo impegno in favore della
equità e della democrazia, esso definisce quanto di meglio significa
essere britannici. Il guaio è che pochi sono disposti a riconoscerlo.
(Traduzione di Anna Tagliavini)
Note di redazione:
(1) Kenneth Clarke, parlamentare conservatore, rappresenta, con
Michael Heseltine, la componente "Euro-friendly" del
partito.
(2) William Hague è il leader dei Conservatori britannici, succeduto
a John Major, che ha lanciato una crociata contro l'Euro, dopo essersi
reso conto dell'attaccamento emotivo dei cittadini britannici alla
sterlina.
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