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Musica nuova a Zagabria


Antonio Carioti




C'è una Croazia diversa sulla scena europea, dopo la morte del patriarca Franjo Tudjman, discusso artefice dell'indipendenza nazionale, e la sconfitta del suo partito alle scorse elezioni. Il nuovo presidente Stipe Mesic ha infatti invertito la rotta rispetto al predecessore. E si è presentato a Roma martedì scorso, 4 luglio, con un atteggiamento molto diverso dal bellicoso nazionalismo imperante a Zagabria fino a pochi mesi fa.

E' un bel sollievo sentir parlare dell'identità croata come un fattore integrativo e inclusivo, dopo anni in cui il governo centrale ha angariato in tutti i modi le minoranze etniche, compresa quella italiana. Ed è altrettanto rassicurante l'impegno di Mesic a rispettare la sovranità dei paesi vicini, a cominciare dalla martoriata Bosnia Erzegovina.

L'occasione per esporre i lineamenti della sua politica è stata offerta al leader croato dall'Icets (International center for transition studies), un organismo creato su iniziativa dell'ateneo privato Luiss di Roma e dell'Università di Trieste per promuovere ricerche e iniziative sui problemi dei paesi che, dopo il 1989, hanno affrontato il faticoso passaggio da un sistema di tipo sovietico alla democrazia politica e all'economia di mercato.

Sotto la conduzione di Luigi Abete, presidente della Luiss, sono intervenuti nel dibattito i rettori dell'ateneo romano e di quello triestino, Mario Arcelli e Lucio Delcaro, il direttore del Icets Victor Zaslavsky e il suo presidente Franco Bernabé. Ma ovviamente il discorso clou è stato quello di Mesic, che ha anche risposto alle domande del pubblico.

Ciò che colpisce più favorevolmente, nel leader croato, è la sua consapevolezza che i conflitti territoriali sono un'assurdità e una fonte di sciagure per le repubbliche ex jugoslave, le quali devono invece indirizzare ogni loro energia verso l'obiettivo di un ingresso a pieno titolo nel mondo occidentale, nella Nato ma soprattutto nell'Unione Europea. A noi osservatori esterni queste possono sembrare ovvietà, ma nei Balcani si ragiona in modo diverso.

Il defunto presidente Tudjman, per parecchio tempo, aveva perseguito una politica dissennata di spartizione della Bosnia in tacito accordo con Slobodan Milosevic, inseguendo un sogno di "Grande Croazia" analogo a quello di "Grande Serbia" coltivato a Belgrado. Ora invece la musica è cambiata. Mesic assicura di voler rispettare l'indipendenza bosniaca ed auspica il ritorno alle loro case di tutti i profughi, compresi i serbi che vivevano in Croazia e cercarono di strapparle con la forza alcune regioni nel 1991, per poi essere abbandonati alla loro sorte da Belgrado pochi anni dopo. "Anche loro sono vittime della guerra", ha dichiarato.

Non sono soltanto belle parole: il presidente croato non ha esitato a recarsi al Tribunale internazionale dell'Aja sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia, dove ha testimoniato anche sulle atrocità compiute da loschi individui della sua stessa nazionalità. E ancor più significativo è il suo dichiarato orgoglio di aver sposato una donna di origine serbo-ucraina, mentre Tudjman, al contrario, andava pubblicamente fiero della sua consorte di pura stirpe croata.

Ci sono buone notizie anche per gli italiani. Non solo quelli residenti in Istria e a Fiume, che finalmente hanno di fronte un interlocutore ben disposto nei loro riguardi, ma anche per la numerosa diaspora giuliano-dalmata. Furono più di 300 mila i nostri connazionali che fuggirono dalle loro terre d'origine dopo il trionfo del regime comunista di Tito, abbandonando tutto ciò che possedevano. Oggi una parziale restituzione dei beni loro sottratti appare possibile e da un'apertura del genere potrebbero nascere forme di collaborazione economica fruttuose per entrambe le sponde dell'Adriatico. L'Icets, come ha spiegato Bernabé, è nato anche per favorire processi di questo tipo.


Tuttavia non bisogna eccedere con l'ottimismo. Per la Croazia la strada verso l'aggancio all'Europa non si presenta affatto agevole. Ad esempio le privatizzazioni, ha ammesso Mesic, si sono risolte in un saccheggio a vantaggio di pochi privilegiati legati al potere politico, mentre manca tuttora un management efficiente capace di portare a buon fine la ristrutturazione dell'apparato produttivo. E comunque l'intero scenario balcanico è destinato a rimanere incerto finché a Belgrado continuerà a regnare Milosevic, cui Mesic attribuisce la responsabilità originaria e principale della tragedia che ha colpito con tanta virulenza quasi tutti i popoli della ex Jugoslavia.

Più in generale, come ha osservato Zaslavsky, l'euforia che accompagnò la caduta del Muro di Berlino si è da tempo dissolta. Un decennio di duro travaglio, che rischia di prolungarsi ancora per parecchio tempo, ci ha fatto capire che i guasti culturali e psicologici prodotti dal collettivismo totalitario sono ancora più profondi dei pur enormi danni economici. Abituarsi al mercato sarà un'impresa improba, per gli europei dell'Est, tanto più ora che esso ha assunto dimensioni globali e ritmi di crescita sempre più rapidi.

Comunque la Croazia sembra aver finalmente imboccato la direzione giusta. E chi ben incomincia, come si suol dire, è a metà dell'opera.

 


 

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