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Volpone o El Zorro che viene dal Messico

José Luis Sànchez-Martìn


Secondo un'obsoleta concezione storiografica, prevalentemente di stampo museale e ottocentesco, la cultura sarebbe una solida catena che si snoda linearmente attraverso il tempo e che vede ogni anello come l'artista che rappresenta e raccoglie lo spirito della sua epoca, escludendo chiunque altro non appartenga a quella catena sequenziale e comunque mettendo in secondo piano gli artisti suoi contemporanei. Questa concezione è ancora molto presente in Italia, dove il mito dell'uomo di genio, che è l'anello della storia, ha prodotto una serie di approssimazioni, luoghi comuni e dimenticanze imperdonabili, non soltanto nei confronti del proprio patrimonio culturale ma soprattutto nella visione che si ha delle altre culture, e che si continua ad insegnare imperterritamente nelle routinarie e retrograde lezioni delle nostre scuole.

Ne sono illustri vittime di questo modo "bignami" di intendere il mondo complesso, organico e ramificato della cultura, per esempio pittori come Guido Reni, soltanto recentemente "riabilitato", o musicisti come il sublime Georg Philip Telemann, praticamente ignorato in Italia perché rimasto da sempre all'ombra del suo contemporaneo Johann Sebastian Bach. Le estreme conseguenze di questo approccio sono la riduzione di interi mondi culturali a banali e inconsistenti stereotipi, paragonabile alla visione dell'Italia come tutta "pizza e mandolino".

Nel campo specifico del teatro, rimanendo in ambito europeo, la Francia è Molière, l'Inghilterra è Shakespeare, la Germania ha soltanto quella "cosa" indefinibile e monumentale che è il "Faust" di Goethe e la Spagna non esiste, forse qualcuno riesce a malapena a ricordarsi di un certo Calderun de la Barca. Un'altra illustre vittima di questo sguardo categorico e grossolano è il drammaturgo britannico Ben Jonson, colpevole soltanto di essere contemporaneo del suo amico-rivale William Shakespeare. Malgrado sia uno dei più grandi maestri della commedia di tutti i tempi, nella lingua inglese secondo soltanto al celeberrimo Bardo, Jonson è praticamente da sempre assente dalle scene italiane. Eppure, come scrive Masolino D'Amico in "Dieci Secoli di Teatro Inglese", "il primo e maggiore gigante del teatro 'elisabettiano' in cui ci si imbatta non appena si distoglie lo sguardo da Shakespeare è certamente Ben Jonson.", o come scrive Evans nella sua "Storia del Teatro Inglese", "se escludiamo Shakespeare nessun altro autore si può paragonare a Jonson per molteplicità e potenza di risultati creativi."

"Nato a Londra, probabilmente l'11 giugno 1572, morto ivi il 6 agosto 1637. Dei suoi primi anni si sa soltanto che il padre morì nel 1572; che la madre passò a nuove nozze con un muratore; che grazie all'aiuto di un innominato 'amico', egli poté frequentuare per un certo periodo la Westminster School dove ebbe come maestro William Camden, al quale più tardi espresse la propria gratitudine per "all that I am in arts, all that I know" ("per tutto quello che sono nelle arti, per tutto ciò che so"); che presto fu tolto dalla scuola e avviato al mestiere del patrigno; che fuggì per prestare servizio militare (probabilmente come volontario) nelle Fiandre, dove sostenne una singolar tenzone con uno spagnolo, lo uccise e, alla maniera classica, ne colse gli "opima spolia".

Sposatosi poco più che ventenne con una donna "bisbetica, ma onesta", sembra che facesse il primo tentativo di guadagnarsi da vivere unendosi a una compagnia di attori girovaghi; si ha notizia di una sua interpretazione di Hieronimo (nella Spanish Tragedy di Kyd) e di Zulziman (in un lavoro a noi oggi ignoto) al Paris Garden di Londra che Philis Henslowe gestiva dal 1595. Senza dubbio fu grazie a queste prestazioni come attore che strinse rapporti con Henslowe, sotto la cui egida apparve il primo lavoro drammaturgico di Jonson che si conosca, il cui esito, però, fu alquanto sfortunato: "The Isle of Dogs", commedia lasciata incompiuta da Thomas Nashe e condotta a termine da Jonson. Rappresentata qualche tempo prima del 28 luglio 1597, provocò subito il risentimento delle autorità per le sue punte satiriche: "Il lavoro impudico...dal contenuto sedizioso e calunniatore" fu proibito, i teatri vennero chiusi e Jonson, insieme ad altri due attori, fu arrestato.

Così, in contrasto con la tranquilla carriera di Shakespeare, l'ingresso di Jonson nel mondo teatrale appare particolarmente esplosivo; e questo non fu che l'inizio di un cammino cosparso di litigi, di recriminazioni e di noie con la giustizia. Uscito di prigione (3 ottobre 1597) Jonson continuò a lavorare per Henslowe, che il 3 diciembre 1597 gli diede 20 scellini per il canovaccio di un lavoro che il giovane attore-autore promise di completare per il Natale seguente. Egli scrisse senza dubbio altri lavori in quel periodo, ma quali precisamente si ignora: tutto ciò che si può dire è che nel 1598 era citato da Meres come uno dei migliori autori tragici del tempo." (dalla "Enciclopedia dello Spettacolo" a cura di Silvio D'Amico, vol. VI).

Da qui in poi, comincia una brillante carriera di successo, parallella a una vita movimentata e piena di eventi drammatici, come un duello con un collega finito con la morte di quest'ultimo e il suo arresto, ricevendo sul pollice il marchio a fuoco dell'assassino. In confronto con lo schivo, misterioso e inafferrabile Shakespeare, forse a disagio nella grande città, Jonson viene ricordato come "cittadino, corpulento, saccente, rissoso, eroe delle dispute letterarie nella taverna Mermaid, Poeta di Corte e capostipite di una teoria di 'laureati'". Questa carriera comincia con tre prime commedie brillanti, "Every Man out of his Humour" per i Chamberlain's Men, "Cynthia's Revels" e "Poetaster" per i fanciulli della Queen's Chapel.

Per capire l'importanza ormai acquisita dal drammaturgo, basti sapere che "Poetaster" fu pagata dieci sterline, cioè due volte e mezza il compenso consueto. A parte due tragedie storiche di ambientazione romana, "Sejanus" e "Catiline", erudite e piene di citazioni tratte dai classici, che non ebbero grande sucesso di pubblico ma furono molto apprezzate dalla critica, i veri e propri capolavori di Jonson sono commedie, tra cui "Bartholomew Fair" e "The Devil is an Ass" e soprattutto le famosissime "The Alchemist" e "Volpone". Quest'ultima è l'unica di ambientazione "esotica", Venezia, giacché al contrario di Shakespeare Jonson scelse sempre di ambientare le sue opere nel proprio tempo e nella propria città, valendogli addirittura da parte di alcuni critici il discutibile aggettivo di "realista".

L'efficacia delle sue commedie non è dovuta soltanto a un virtuosismo nell'uso della parola. Jonson è autore fra l'altro di una delle prime grammatiche della lingua inglese ed è il primo detentore della carica di "Poeta Laureato", ma anche a trame perfettamente congegnate, attenendosi quasi fino all'ossessione al modello classico aristotelico delle tre unità: di tempo, di spazio e di azione. Inoltre, i suoi personaggi sono caratterizzati secondo le tipologie degli "humour", concezione antichissima perfezionata da Ippocrate e poi recuperata dal Rinascimento italiano, da dove si diffuse in tutta Europa, che concepisce il temperamento degli uomini come l'equilibrio o squilibrio tra i quattro umori o liquidi fondamentali del corpo - sangue, flegma, bile gialla e bile nera - alla cui preponderanza corrisponderebbero i caratteri sanguigno, flemmatico, collerico e melancolico. Il risultato è che ad ogni personaggio viene fissata una qualità, la quale è messa in luce nell'azione, donando così un carattere forte anche se statico, molto funzionale alle trame "classiche" delle commedie.

Una gradevolissima sorpresa è risultata quindi la proposta a Roma alcuni giorni fa di una riuscita e particolare messa in scena, "(per)versione" di "Volpone" ("El Zorro" in spagnolo), da parte di un gruppo di diplomati della Escuela Nacional de Arte Teatral del INBA-CENART" di Città del Messico, diretti da Mauricio Jimènez e presentati nell'ambito di un progetto triennale di scambio e collaborazione tra l'Accademia Nazionale di Arte Drammatica "Silvio D'Amico" e la Escuela messicana. Nel loro libero adattamento, realizzato collettivamente, malgrado scompaiano diversi personaggi e l'ambientazione diventi vagamente di carattere messicano, arricchendosi di riferimenti all'attualità che non tolgono nulla a una voglia di astrazione che sottrae il racconto dal tempo storico, viene rispettata con precisione l'ossatura fondamentale della trama di Jonson, considerata da Evans come "un intreccio di una semplicità magistrale (....), un sinistro disegno che ricorda talvolta la tragedia".

Volpone, un vecchio senza parenti, ricco e avaro ("Oh tu, Oro, figlio del Sole! Sei la migliore tra le cose, al di sopra dell'allegria dei padri, dei figli, degli amici. Oh, Santissima Ricchezza!" sono le sue prime parole, destandosi all'inizio della commedia), si finge malato gravemente in modo da tiranneggiare e imbrogliare una serie di personaggi che gli girano intorno, non meno riprovevoli e ambiziosi di lui, e disposti a tutto pur di dimostrare di poter diventare degni eredi del "morituro". Agente furbo ed efficace di questo suo piano, vero e proprio deus ex machina, è il servo Mosca, abilissimo con le parole e geniale inventore di tranelli e inganni. C'è chi fa regali preziosi, come il pennacchio di Monctezuma, chi firma un lascito di tutte le proprietà a nome del malato e chi, addirittura, gli prostituisce la moglie. Alla fine, l'ambizione di Mosca lo porta a tradire il suo capo, ma tutto precipita e gli inganni vengono scoperti, con la giusta punizione per tutti.

La regia, lucida e precisa come è difficile vedere oggi sui palchi italiani, è firmata da Mauricio Jimènez, uno dei migliori registi giovani del Messico, diventato anche insegnante della Escuela e vincitore di molteplici premi non soltanto in patria, ma purtroppo fino ad oggi assolutamente sconosciuto in Italia. Il più grande merito della sua messa in scena è quello di aver trasformato una commedia di parola in una travolgente e vorticosa commedia di azione, anche grazie ad attori giovani e giovanissimi padroni di una tecnica e di una consapevolezza che gran parte dei cosiddetti "grandi attori" italiani dovrebbero invidiare.

Forse prendendo spunto dal fatto che il testo di Jonson è genericamente ambientato a Venezia, ma anche perché la teoria degli "humour" ne è molto affine, la scelta fondamentale è stata quella di appropriarsi degli stilemi, della logica dinamica della Commedia dell'Arte, trasformandola e facendola propria fino a renderla non soltanto costitutiva della versione da loro rielaborata del testo, ma anche qualcosa di sorprendentemente "messicano". Rivista con un occhio moderno, che richiama l'approccio già attuato da grandi maestri russi come Mejerchol'd e Ejzenstejn, in cui la forma è aperta, quasi grafica, e i corpi sono sempre in "composizione" anche tra di loro, ricordando da una parte la dinamica della migliore "Agit Prop" e dall'altra la tradizione dell'Opera Cinese, l'antica e tradizionale Commedia dell'Arte diventa così un linguaggio teatrale di una modernità sorprendente.

Questo spettacolo meritava una sede più adatta della sconosciuta e impropria saletta "Eduardo De Filippo" e in generale una cura e presentazione che rispettasse l'altissimo livello dello spettacolo (il "programma" era un triste foglietto fotocopiato in cui non era riportata nemmeno una vera ed esauriente sinossi), magari inserendolo in uno dei vari programmi dedicati al teatro "giovane" che si svolgono a Roma in questo periodo, pieni di prodotti mediocri e presuntuosi presentati per lo più da registi e attori improvvisati o malamente preparati. Sicuramente non avrebbero retto l'inevitabile confronto tra un teatro ricco e arrogante ma che ha smarrito il proprio senso e un teatro povero di mezzi materiali ma ricchissimo di mezzi proffessionali e umani, fortemente sentito, necessario.

Ciascuno degli attori meritarebbe un capitolo a sé, in particolare le ragazze che impersonano con sorprendente qualità i personaggi maschili, come Pilar Villanueva nel ruolo dell'infaticabile e dinamicissimo Mosca, Xuchitl Guadalupe Lupez nel ruolo di Corbaccio, una specie di anziano ragno malandato e vorticosamente acrobatico, e Erika Rendun nel ruolo di Bonario, un "giovane amoroso" di incredibile virilità e fedeltà di principi, capace anche di sostenere con garbo e forza scontri fisici. Tuttavia non si può non mettere in particolare risalto la fatica e la vera e propria trasfigurazione in qualcosa di molto vicino a un pupazzo vivente, un Volpone vecchio e laido, grottesco e pieno di tic e con una presenza perfetta da "Muppets Show", di cui è stata capace la ventitreenne Jacqueline Serafìn. Comunque, come suol dirsi, tanto di cappello a tutti.

E' inevitabile constatare come per alcuni paesi il teatro assurga ancora ad Arte fondamentale e necessaria, come si evince dal discorso introduttivo offertoci prima dello spettacolo, in un elegantissimo spagnolo, dall'Ambasciatore messicano in Italia, che ha espresso senza nessuna retorica il profondo senso che il teatro deve avere per una società, affermando, citiamo approssimativamente a memoria, che il grado di civiltà di una società si misura da quello che fa per la cultura e per lo sviluppo della sua forza e della sua qualità, in particolare per un'arte vivente e fragile quale è il teatro. Aggiungo che questa dignità e civiltà evidentemente non ha niente ha che fare con la quantità di risorse economiche di cui dispone un paese o del suo grado di sviluppo industriale, ma da quanto la sua classe dirigente abbia capito il rapporto stretto che lega identità culturale, civiltà e cultura vivente.

E' veramente una vergogna che debba essere un gruppo di preparatissimi e affiatati giovani messicani a insegnarci il valore di quella che una volta era parte fondamentale del nostro patrimonio culturale vivente: la Commedia dell'Arte. Grazie a tutti loro per questa ricca e indimenticabile lezione.

Volpone ovvero "El Zorro"
Volpone (un magnifico signore) Jacqueline Verunica Serafìn Aceves
Mosca (suo parassita) Pilar Villanueva Cornejo
Voltore (avvocato) Miguel Angel Canto
Corbaccio (vecchio gentiluomo) Xuchitl Guadalupe Lupez Pavun
Corvino (mercante) Luis Hernandez Rodriguez
Celia (moglie del mercante Corvino) Sofìa Lupez Cruz
Bonario (giovane gentiluomo, figlio di Corbaccio) Erika Rendun Luengas
Signora Quieroynopuedo Angèlica Rogel Garcia
Giudici Hèctor Hugo Pena
regia Mauricio Jimènez
scenografia, costumi e disegno luci Tania Rodriguez

 

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