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“La Spagna flessibile di Aznar"

Alberto Elordi con Marco Calamai

In Italia molti parlano con ammirazione, "del modello spagnolo", grazie al quale, si dice da più parti, la Spagna starebbe avviando a soluzione, in particolare, l’annoso problema della disoccupazione. Il primo ministro Aznar starebbe dunque facendo la politica giusta sul piano economico, fiscale e del rapporto con i sindacati. Ne parliamo con Alberto Elordi, autorevole esperto dei problemi dell’occupazione, attualmente direttore della Fondazione Alternativas ( vedi Reset n.58) e direttore dell’Inem (Istituto Nazionale dell’Impiego ) durante il governo socialista

Dott. Elordi, ci spieghi l’attuale congiuntura spagnola dal punto di vista dell’occupazione, uno dei fiori all’occhiello del governo Aznar.

La Spagna ha una storia particolare. Per giudicare quanto vi sta accadendo da qualche anno a questa parte dobbiamo risalire indietro nel tempo, spiegare cosa avvenne durante i primi governi democratici dopo la fine del franchismo.

I dati di quel periodo, seconda metà degli anni Settanta e inizio degli anni Ottanta, ci dicono che la disoccupazione aumentò in modo consistente. Ma ciò non era dovuto alla progressiva apertura verso l’Europa e alla ristrutturazione di tante imprese industriali che erano state protette durante il franchismo?

In parte fu così ma questo fattore non è stato determinante. In realtà la Spagna ha vissuto negli anni Sessanta e Settanta un fenomeno che in altri paesi come l’Italia era esploso negli anni Cinquanta: l’esodo massiccio dalle campagne verso le città industriali e la progressiva incorporazione della donna nel mercato del lavoro. Anche il baby boom arriva da noi con grande ritardo. Tutto ciò spiega come mai in Spagna si verifichi un aumento molto significativo della disoccupazione durante gli anni Settanta e Ottanta.

Cosa è successo nel settore dei servizi, che è cresciuto in tutto il mondo?

Quando muore Franco i servizi rappresentano un settore dell’economia ancora molto rachitico. La loro espansione è forte soprattutto dai primi anni Novanta in poi. In questo senso possiamo parlare di un altro fattore che può spiegare l’attuale ripresa dell’occupazione

Cerchiamo ora di capire meglio cosa sta succedendo attualmente. Come giudica il "fenomeno" Aznar?

In primo luogo c’è un fatto ovvio: l’aumento dell’occupazione coincide con una fase spettacolare di crescita. Siamo di fronte ad una ripetizione amplificata di quanto avvenne dal 1985 al 1991 circa, quando si ebbe un significativo aumento dell’occupazione. In secondo luogo la Spagna era forse più preparata di altri paesi affinché la crescita economica comportasse una crescita dell’occupazione. Ciò è avvenuto grazie alle riforme strutturali del mercato del lavoro introdotte dal governo socialista di Felipe Gonzalez nel 1994. Misure che, salvo ritocchi marginali, non sono state più modificate

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Quindi le premesse del fenomeno Aznar erano state già create dai socialisti ?

Proprio così. L’uso delle norme relative alla flessibilità di matrice socialista si coniuga con il nuovo ciclo positivo dell’economia. Inoltre. come si è detto, c’è l’effetto del nuovo settore dei servizi che in Spagna ha assorbito gran parte dei nuovi lavori. Infine c’è la nuova domanda per la costruzione di grandi infrastrutture pubbliche e l’edilizia abitativa.

Lo stesso è avvenuto per la dinamica salariale?

Proprio così. Con i socialisti al governo furono stabilite norme di grande importanza sul piano salariale. Prima c’era la scala mobile che proteggeva i lavoratori dal carovita e dall’inflazione. Bene, la scala mobile scompare a metà degli anni Ottanta quando governano i socialisti. Da allora non ci sono più gli aumenti salariali in base al tasso di inflazione prevista. Altro fattore: negli anni Novanta si verifica un salto culturale nei sindacati che lottano soprattutto per l’aumento dell’occupazione e della sua qualità. Il salario resta in secondo piano. Fatto sta che nelle zone forti del sindacato ci poteva essere una escalation salariale al di sopra dell’inflazione che invece non c’è stata. Quando parlo di una svolta culturale mi riferisco ad esempio al fatto che il concetto di primo impiego non viene più associato all’idea di salario alto. La società spagnola ha capito che la vera priorità è quella di entrare comunque nel mercato del lavoro. Le imprese sono portate ad assumere con maggiore facilità perché sanno che i sindacati rimandano il problema del salario ad un secondo momento rispetto alla assunzione.

Ma le assunzioni non sono state, in gran parte, sostituite da contratti a termine?

Non solo. Ci sono anche i contratti di formazione così come i contratti sovvenzionati dallo Stato. che finanzia la sicurezza sociale. La riforma del ’94, infine, ha permesso l’emersione di una parte importante dell’economia sommersa. Lo Stato spagnolo ha aiutato le imprese a fare una politica di maggiore occupazione.

Esaminiamo le cifre . Fino a poco tempo fa si diceva che il tasso di disoccupazione era di circa il 22% e ora invece, del 15%. Mi spiega meglio queste cifre che sono in ogni caso molto alte rispetto alla media europea?

La disoccupazione spagnola è soprattutto giovanile e femminile. Inoltre è in buona parte concentrata in alcune regioni meno sviluppate.

Giovani e donne alla ricerca del primo impiego?

In gran parte. Ci sono inoltre donne che hanno lasciato ad un certo punto il loro impiego e ora vorrebbero reinserirsi nel mercato del lavoro. Molte di loro non figurano nelle liste ufficiali di collocamento gestite dall’Inem (Istituto nazionale per l’impiego). I disoccupati registrati dall’Inem sono attualmente tra il 10 e il 12%, ovvero quelli che lo Stato aiuta con una indennità di disoccupazione se hanno perso il lavoro precedente. Si tratta di un aiuto che dura dai sei mesi ai due anni.

Le cifre di cui lei parla restano comunque assai alte.

Non c’è dubbio. La disoccupazione spagnola era fino a poco tempo fa il doppio della media europea. Ora l'occupazione è aumentata del 50%. Il differenziale negativo rispetto all’Europa si è dimezzato e nei prossimi anni , se non ci sarà una crisi economica in questo momento imprevista, dovrebbe diminuire notevolmente.

Che cosa di specifico e di nuovo ha fatto Aznar per migliorare il problema del lavoro?

L’unica novità è stata quella di concordare con i sindacati un nuovo contratto a tempo indefinito che prevede, in caso di licenziamento, una indennità di liquidazione pari al salario di 31 giorni invece dei 45 giorni precedenti.


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Ci sono stati anche interventi sull’orario di lavoro?

Niente di più rispetto alla riforma del 1994

Qual è oggi la sua valutazione sul problema della disoccupazione e le sue prospettive?

La spada di Damocle che pesa sul mercato del lavoro spagnolo è che il 30% circa della forza lavoro complessiva è rappresentata dai contratti a termine, la cui durata è estremamente variabile dato che questi contratti sono gestiti, in base alla solita legge del 1994, dalle imprese a lavoro temporale che fanno da filtro tra chi cerca lavoro e chi lo offre. Queste imprese, che tra l’altro sono private, possono firmare accordi anche di una sola giornata. Il problema, soprattutto, sta nei cosiddetti contratti per "opera e servizio".

E in prospettiva ?

Tutto dipende dai futuri tassi di crescita. Il tasso attuale è di circa il 4%, quindi più alto di quello medio europeo. Il nostro reddito medio per abitante è tuttora circa l’80% di quello medio europeo. Questo gap si sta riducendo grazie anche alla fase positiva di sviluppo economico. Ci sono zone del paese come la Catalogna, le Baleari, Aragon, dove ormai la media europea è stata superata.

Quindi il "miracolo" Aznar è in realtà una bolla di sapone?

Non esiste tale miracolo ma solo la somma di fattori positivi che ho prima ricordato.

Resta il fatto che gli investimenti stranieri in Spagna continuano e sono in ogni caso molto superiori a quelli di altri paesi come l’Italia. Lei non pensa che ciò sia dovuto anche a fattori come la qualità dei servizi e al fatto che in Spagna non esistono zone a rischio come certe regioni italiane del Sud dove la mafia ancora impone i suoi ricatti e le sue tangenti?

Senza dubbio è così. Inoltre c’è il settore servizi prima ricordato, che in Spagna cresce a ritmi particolarmente alti poiché viene da una tradizionale arretratezza, e che crea molto lavoro. Ma questo tipo di offerta è a sua volta legato ad un tipo di economia che per sua natura è altamente stagionale per cui ha bisogno di molto lavoro di tipo temporale. Il turismo e l’edilizia sono due casi emblematici.

Ancora un tema. Come sta influendo la cosiddetta e-economy sull’aumento dell’occupazione? Non esiste anche in Spagna, come in Italia, il fenomeno di una carenza di mano d’opera preparata per queste nuove mansioni.?

Questo gap esiste ed è tuttora assai ampio. Qui si pone un problema di formazione che va adattata alle nuove tecnologie.

Come influisce il tasso di natalità spagnola che, secondo certe statistiche, è oggi il più basso del mondo?

Il mercato del lavoro è cambiato profondamente da quando è finita la spinta per il lavoro dei giovani nati durante il baby boom, ovvero dei nati negli anni Sessanta.

Cosa sta accadendo nelle zone più arretrate dal punto di vista economico come l’Andalusia e l’ Estremadura?

Qui, in effetti, si concentra gran parte della disoccupazione. Per ragioni strutturali è molto difficile che si risolva nel breve e medio periodo il dramma della disoccupazione. Che, ancora in gran parte, proviene dalle zone rurali.

In queste zone lo sviluppo dei servizi non potrebbe risolvere il problema?

Non credo che la crescita dei servizi sia un fattore sufficiente. In queste regioni si pone ,probabilmente, un problema di mobilità verso altre zone.

Torniamo ancora al tema del rapporto tra sindacati e governo. In Spagna assistiamo ad un paradosso: Aznar dialoga positivamente con i due sindacati più importanti, UGT e CCOO (Commissioni operaie) che pure sono di sinistra. Non fu così all’epoca socialista. Come si spiega questo fatto?

Dopo lo sciopero generale del 1988, i socialisti al governo continuarono a considerare i sindacati sulla base della loro reale forza. Il che, probabilmente, fu un errore. La destra, al contrario, ha scelto, spinta dalla necessità di avvicinarsi al centro elettorale, una politica del tutto diversa attribuendo alle CCOO e alla UGT un protagonismo molto più alto. Ma, anche qui, conta la debolezza sindacale

 

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