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Gagaku: la compagnia imperiale

José Luis Sànchez-Martìn

 

In Giappone, la maggior parte delle forme spettacolari tradizionali, come il teatro e la danza, hanno un'origine religiosa. Direttamente o indirettamente, tutte queste forme di arte scenica hanno un rapporto molto stretto con un mito antichissimo, che si perde nella notte dei tempi, e che ne spiegherebbe l’origine e la nascita, determinandone quindi anche il senso. Racconta la leggenda, alla quale ci sono numerosi riferimenti negli antichi documenti Kojiki e Nihongi, che "la dea del sole Amaterasu, costernata e sdegnata dalle scapestrataggini del fratello Sousano-vo (o Susanò) si rinchiuse in una caverna del cielo e abbandonò il mondo alle tenebre. "Così", dice il Kojiki, "il vasto altipiano del cielo rimase completamente nell’oscurità e il paese centrale, ove fitti crescono i bambù, fu del pari rabbuiato. Ovunque si estese la notte eterna". Gli dei, assai preoccupati, tennero consiglio nel letto disseccato del Fiume del cielo (la Via Lattea) e pensarono diplomaticamente di attrarre la dea corrucciata fuori dalla sua volontaria prigione con uno spettacolo che ne suscitasse la curiosità.

Un dio fabbricò uno specchio, un’altra divinità delle fasce di canapa, un’altra una pietra preziosa, e si appesero questi oggetti ai rami di un albero presso l’entrata della grotta. Ciò fatto le divinità riuscirono a persuadere un’altra dea, Amé-no-Uzume (lett.:"la terribile femmina del cielo"), a camuffarsi in maniera bizzarra, ed essa, ornatasi di una cintura di muschio e di ghirlande di foglie, salì su di un tino rovesciato che rendeva un suono vuoto se lo toccava coi piedi, esprimendo attraverso una danza mimica e buffonesca le attitudini e i sentimenti di sorpresa dell’areopago divino, privato così della lucentezza del sole. Gli altri dei intanto, dato di piglio al tamburo e al flauto, accompagnavano urlando e ridendo la danza di Amè-no-Uzume.


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Incuriosita allora, Amaterasu comparve sulla soglia della grottta chiedendo la ragione di tanto gaudio. Le risposero gli dèi che gioivano della presenza di una dea più bella di lei. Amaterasu inviperita, fece ancora qualche passo fuori della caverna, decisa a combattere la sconosciuta rivale, e lo specchio appeso all’albero rifletté la sua immagine. Allora, placata, uscì dalla grotta, ammirò le danze e la luce ritornò su quel mondo felice." (Storia del teatro giapponese di Piero Lorenzoni).

Questa danza chiamata Kagura (o Wazaoki) è all’origine della cosiddetta "saltazione" (vale a dire l’arte dei movimenti regolati, comprendenti la danza, la pantomima, l’azione teatrale od oratoria) del Giappone e all’estrema origine del teatro No e Kabuki, le due più importanti e famose forme di teatro tradizionale giapponese. Ognuna delle forme di danza e teatro sviluppatesi da questo mito fondatore fa uso della maschera come elemento costitutivo dell’espressione e dello spirito stesso del rito, argomento moto complesso e affascinante a cui è necessario fare un breve accenno prima di approfondire le caratteristiche del Gagaku.

L’uso della maschera (men) per gli attori si perde nella notte dei tempi. Sembra che sia penetrata in Giappone dall’India e che sia stata adoperata, assai prima dell’invenzione del No, in tutte le danze originarie, dal Gagaku al Bungaku, dal Sangaku al Dengaku, oltreché nelle pantomime comiche.

Ai misteri dela danza Gangaku iniziò i giovani un certo Mimasci, proveniente da Kadara in Corea e naturalizzatosi giapponese verso l’anno 612, che va considerato come il primo importatore ufficiale della maschera. Mentre le maschere usate nel Gagaku, tuttavia, erano più grandi del volto che dovevano coprire, quelle della danza Bugaku, che sopravvissero a lungo nelle feste alla Corte Imperiale, erano di proporzioni minori e presentavano caratteri mongolici assai spiccati.

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Le maschere più antiche erano naturalmente deformanti. Diciamo "naturalmente" perché dovevano servire sia a caratterizzare in partenza uno stato d’animo o un ruolo preciso dell’individuo che doveva indossarle, data la povertà di tratti fornita dal semplice volto umano, sia a mutare l’attore in un dio, in un demonio o in uno stregone. Per esemplificare il valore magico e sacrale che i giapponesi, ma gli orientali in genere, attribuiscono alle loro maschere basti pensare al fatto che esse vengono custodite con tutte le cure possibili nei più importanti Musei Nazionali, protette dai beni culurali e considerate un patrimonio nazionale di inestimabile valore alla stregua di un violino Stradivari, della Pietà di Michelangelo o degli affreschi di Giotto in Italia.

Il Gagaku è un genere artistico che comprende esecuzione strumentale, danza e vari tipi di canto e costituisce a suo modo un caso unico nella storia della musica. E’ presente in Giappone da più di un millennio ed è la testimonianza vivente di un prodotto culturale sviluppatosi circa tre secoli fa in paesi in cui oggi è pressochè scomparso. In realtà l’origine del Gagaku risale al V secolo, quando da Cina e Corea vennero introdotte in Giappone, insieme al buddismo, le prime musiche e pantomime ad esso legate, dette appunto Gagaku. Attraverso un lungo processo di integrazione, musiche e danze provenienti dal continente si sovrapposero a preesistenti forme autoctone, legate a rituali religiosi della Casa Imperiale espressa nello Shinto, dette Kagura e Utamai, con le quali si fusero in un genere composito.

Nel Gagaku (lett. "musica elegante"), in qualità di danza musicale sussistono alcuni degli elementi fondamentali che ritroveremo molti secoli più tardi nel teatro No e Kabuki: innanzitutto l’accompagnamento musicale, costituito da tamburi e flauti, secondariamente la presenza del coro, e infine (come accadrà nel No) l'assenza di vere e proprie scene. Le maschere portate dagli attori ricordano quelle degli antichi spettacoli greci, che coprono tutta la testa e non soltanto la parte anteriore del volto, come avviene per le maschere del No.

I Gagaku, strettamente legati al rituale buddistico, vennero inzialmente eseguiti davanti al tempio buddista di Sakurai, nelle festività di Nambatsu e di Urabon, e si diffusero ben presto ovunque, perdendo con l’andar del tempo il loro carattere religioso per divenire non di rado in spettacoli di pubblico divertimento.

Nel gruppo delle rappresentazioni Gagaku vengono generalmente inserite anche quelle danze musicali di Corte che presero sviluppo in Cina sotto la dinastia T’ang (618-907), così come è avvenuto per lo spettacolo a cui abbiamo avuto il piacere e la fortuna di assistere all’Università La Sapienza di Roma domenica 4 giugno, chiamate Bugaku.

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Il critico americano Robert Garfias in un saggio dedicato a questo imporante e sofisticato spettacolo scrive: "Il Gagaku non è un arte morta. E’ un’arte completa, formata con i propri limiti della perfezione, ed è significativa per l’occidente e di alto livello intellettuale. Non è certo facile da comprendere la prima volta che che lo si vede o lo si sente ....Igor Strawinsky, il grande compositore occidentale e maestro musicale dei nostri balletti, quando sentì per la prima volta da un guppo di amatori il Gagaku a Los Angeles, espresse un forte interesse, insieme a molti alri compositori americani........ Per gli occidentali questa musica e queste danze sono lente. Il Gagaku ha un vocabolario limitato di movimento, è disegnato per essere eseguito con intenzioni filosofiche, morali o religiose, per l’ascesa al trono degli imperatori, per i matrimoni dei principi della corona, per la costruzione dei templi, per la raccolta del primo riso. Ogni composizione del Gagaku è in sostanza una melodia interpretata simultaneamente da diversi strumenti. Il focus essenziale della concentrazione estetica dovrebbe sintetizzarsi in questa melodia che l’intero ensemble sta eseguendo e nella quale sono concentrati i diversi strumenti a percussione. La combinazione di questo spirito dà come risultato un ritmo fluente e l’effetto di ‘molte voci che cantano come una sola’."

A proposito della danza Bugaku, Garfias coglie una caratteristica fondamentale della peculiarità espressiva di questo genere quando scrive: "Lo stie della danza Bugaku è molto diverso dagli altri tipi di danze giapponesi in quanto gli elementi drammatici hanno molta meno importanza della pura forma della danza. In contrasto con gli altri stili di danza giapponese, il Bugaku usa spesso danzatori appaiati".

Anche le notazioni eminentemente tecniche della danza Bugaku che il critico americano riporta nel suo saggio ne rendono bene l’andamento e lo sviluppo:"Il numero totale dei movimenti del corpo usati nel Bugaku sono relativamente pochi, combinati in passi standardizzati, ognuno designato con un nome speciale come nei balletti dell’occidente. Studiando un nuovo pezzo i danzatori incominciano ad apprendere la sequenza di questo movimento di passi e la sua sincronizzazione nel ritmo della musica. La combinazione che ne risulta dovrebbe produrre una eguale e continua linea di movimento, nella quale la fine di ogni passo e l’inizio del seguente sono impossibili a distinguersi."

Il programma dello spettacolo offerto dalla compagnia composta dagli esecutori della "KUNAIACHO SHIKIBUSHOKU GAKABU", ovvero il Dipartimento Musicale dell’Ufficio Cerimoniale presso l’Agenzia della Casa Imperiale, ad un pubblico eterogeno e composto da molti giovani come quello presente all’evento tenutosi presso l’Aula Magna dell’Università La Sapienza di Roma, visibilmente affascinati dalla presenza di ciascun esecutore e dalla forza sacrale espressa in ogni più minimo dettaglio di questo suggestivo rito, dai gesti per accordare gli strumenti all’ingresso ieratico dei danzatori sulla scena fino al regale portamento tenuto dai musicisti tra un intervento e l’altro del proprio strumento che a volte distavano decine di minuti l’uno dall’altro, è stato così strutturato:

I parte: Kangen (musica)

- Hyoio no Netori (breve brano nel modo di hyoio-chiave di mi-in apertura del Kangen per accordare gli strumenti e creare l’atmosfera adatta alla rappresentazione e all’ascolto)

-Saibara Koromagae (elegante adattamento di canti popolari che in passato accompagnavano la recitazione di poesie cinesi e giapponesi)

-Ringa (brano eseguito dallo "so", una cetra a 13 corde che produce un suono continuo arpeggiato, considerato uno dei brani più brillanti del repertorio Gagaku)

-Etenraku (brano di antica musica cinese composto dall’Imperatore Wen in cui la stessa melodia viene eseguita per tre volte con strumenti diversi).

II parte: Bugaku (musica e danza)

-Shundeika ("I fiori di primavera" è una coreografia per quattro danzatori i cui movimenti rappresentano l’aprirsi e il chiudersi dei boccioli; i danzatori indossano costumi rossi che scoprono il braccio e la spalla destra e copricapi regali e portano spade alla cintura).

-Nasori (Danza dei due dragoni", che rappresenta due dragoni, maschio e femmina, che giocano festosi, ed è eseguita tradizionalmente in occasione di manifestazioni equestri o di lotta; i danzatori indossano costumi di colore verde e maschere, tenendo in mano bacchette di color argento).

-Bato (Di origine vietnamita presentato nel 752 d.c. in Giappone durante la costruzione della statua del Grande Buddha presso il tempio di Nara. Un antico documento riporta che Bato rappresenta la gelosia della moglie di un Imperatore cinese della dinastia T’ang, mentre un altro parla della lotta di un uomo contro la belva feroce che ha ucciso suo padre; i danzatori indossano costumi e maschere rosse e danzano tenendo in mano bacchette di tamburo).

L’emozione provata durante tutto lo spettacolo ha poco in comune con la gamma di sensazioni a cui le forme dell’arte performativa occidentale, anche la più alta e riuscita, ci ha abituato. Qui non c’è né impeto, né sconforto tragico, né riso sguaiato, né conflitto psicologico e lo spettatore non viene travolto da ciò che si rappresenta, non è la catarsi aristotelica il massimo dei risultati ottenibili dallo spettacolo sullo spettatore. A costui si richiede invece uno capacità di abbandono vigile dei sensi, uno spirito contemplativo e sensibile al piccolo impercettibile mutamento delle sfumature musicali come delle dinamiche dei danzatori.

Talvolta, se questo abbandono accade nostro malgrado, risulta di una forza notevolissima come quella di una lenta onda d’alto mare che non innalza flutti ma solleva morbidamente qualunque imbarcazione fino ad altezze vertiginose e le ripone poi con la stessa levità al livello in cui si trovavano. Con questa maestosa Grazia ci si confronta quando si assiste ad uno spettacolo di Gagaku.

Certo, l’Italia, un paese che non ha più tradizioni viventi, la cui "cultura" è radicata soltanto nelle pietre dei palazzi e nelle tele dei quadri e non più nella carne e nel respiro delle persone, non può che invidiare il paese che probabilmente è il più moderno e avanzato del pianeta e che basa questa sua forza nella potenza della più antica delle tradizioni viventi.

 

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