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Riflessioni sulla rinascita americana
Marco Vitale
"LAmerica è la versione originale della modernità, noi ne
siamo la versione doppiata e dotata di sottotitoli. E questo che, qualunque cosa
accada, ci separa dagli Americani. Non li raggiungeremo più, e non avremo mai il loro
candore. Non facciamo che imitarli, parodiarli con cinquantanni di ritardo e, del
resto, senza successo".
Jean Baudrillard
(LAmerica, Feltrinelli 1987 ed. orig. Grasset & Fasquelle 1986)
"Il navigatore europeo non si avventura che con prudenza sui mari; egli parte
solo quando il tempo gli conviene, se gli avviene un accidente imprevisto rientra subito
in porto; la notte ripiega una parte delle sue vele e quando vede loceano
imbiancarsi e lavvicinarsi delle terre rallenta la sua corsa e interroga il sole.
Lamericano non cura queste precauzioni e sfida ogni pericolo. Egli parte mentre la
tempesta dura ancora, la notte come il giorno spiega ai venti tutte le sue vele, ripara
durante la marcia ogni danno alla sua nave, e infine, quando si avvicina al termine del
viaggio continua a volare verso la sponda come se fosse già in porto. Lamericano
naufraga spesso ma non ci sono naviganti che traversino i mari più rapidamente di lui.
Facendo le stesse cose di un altro in minor tempo egli può farle con minori spese. Prima
di giungere al termine di un lungo viaggio, il navigante dEuropa crede utile toccare
terra più volte sul suo cammino. Perde del tempo prezioso a cercare un porto di rifugio o
ad attendere loccasione di uscirne, e paga giornalmente i diritti di sosta. Il
navigante americano parte da Boston per andare a comprare del tè in Cina. Arriva a
Canton, ci resta qualche giorno e riparte. Egli ha percorso in meno di due anni la
circonferenza intera del globo e ha visto la terra una volta sola. Durante una traversata
di otto o dieci mesi ha bevuto acqua salmastra e ha vissuto di cibi sotto sale, ha lottato
senza tregua contro il mare, contro le malattie, contro la noia, ma al suo ritorno può
vendere la libbra di tè un soldo meno del mercante inglese. Lo scopo è raggiunto"
Alexis de Tocqueville (1835)
"Non vendete lAmerica al ribasso". Chi mi disse queste parole, usando
unespressione del gergo borsistico, fu un grande vecchio americano,
leconomista "liberal " Hyman Minskey, scomparso pochi anni fa. Siamo nei
primi anni 80 e stiamo camminando lungo i sentieri di montagna sopra Rima in Val
Sesia, in una splendida giornata di sole. In questa abbagliante luce alpina che esalta le
varie gradazioni di verde della valle, parliamo della grigia e triste America, ancora
immersa nellatmosfera dei terribili anni 70.Sulle spalle di quellAmerica
pesano la successione degli assassinii del Presidente John Fitzgerald Kennedy, del quasi
presidente Robert Kennedy, delluomo che, sfidando la maggioranza bianca sul fronte
dei suoi valori fondanti e della sua stessa retorica, predicava lantico sogno
americano di uguaglianza, di pacificazione e di cittadinanza, Martin Luther King ; le
dimissioni forzate del Presidente Nixon travolto dallo scandalo Watergate che fa seguito
allo scandalo Agnew; la più impopolare guerra della storia degli Stati Uniti persa in
Vietnam dai "The Best and The Brightest"; il dollaro allo sbando;
linflazione anzi la "stagflation" indomabile; il doppio deficit
commerciale e di bilancio che sembrava senza limiti; lAmerica umiliata
dallOPEC sul fronte del petrolio, dal Giappone sul fronte del "made in
Japan" ed infine dallIran sul fronte politico; le grandi città, come New York
e Chicago, invivibili; la grave crisi economico-organizzativa dei grandi miti americani
dalla Ford alla General Motors alla Panam ; la disoccupazione in continua crescita
dallinizio degli anni settanta sino a superare lindice del 10% nel 75
(ma lindice per la popolazione negra giovane superava il 40%). Il 15 settembre 1974
i ventotto più eminenti economisti del paese vennero convocati alla Casa Bianca dal mite
presidente Gerald Ford per dibattere, per sette ore, seguiti alla televisione da decine di
migliaia di ascoltatori, sui mali delleconomia americana.
Gli economisti avevano scoperto la teoria della "explosion of expectations".
Tutti questi mali, e soprattutto linflazione, sarebbero fondamentalmente frutto
delle "aspettative crescenti" che il sistema economico non è, in alcun modo, in
grado di soddisfare. Quello che è necessario è abbassare le attese: cari americani la
festa è finita; mettetevi il cuore in pace; dora in poi sarete sempre più poveri.
Questo è il messaggio centrale della larga maggioranza della congrega degli economisti.
Così si fanno chiamare; in realtà sono moralisti, interpreti moderni della teoria
biblica delle Sette Vacche Magre che devono seguire le Sette Vacche Grasse. Ragionano più
o meno come ragionava il segretario del PCI italiano Enrico Berlinguer che, in quegli
stessi anni, in Italia, in un paese che aveva bisogno di investimenti, produttività,
innovazione, occupazione, predicava lausterità .Le biblioteche incominciano a
riempirsi di best sellers, che nel corso degli anni 80 diventeranno una valanga, su
tre filoni: la Crisi Americana (è questo il titolo di un saggio di Alberto Ronchey del
1975); il management giapponese come numero uno; la necessità di restaurare la
competitività americana nella produzione di beni.
Ma quando nel 1981 incontrai a New York un consulente economico di Reagan, un brusco
banchiere daffari, questi mi disse: "Lindustria tessile? Non ci
interessa. Lindustria siderurgica? Non ci interessa. Lindustria meccanica? Non
ci interessa".- Ma "allora , che cosa Vi interessa?" chiesi. "Ci
interessano solo cinque cose : chiudere con lOPEC la partita del petrolio; ritornare
ad essere "padroni" del valore del dollaro; la ricerca e sviluppo; le nuove
tecnologie; la finanza". Mi sembrò allora una posizione esasperata e, per vari anni,
la criticai ricordando questo episodio con qualche ironia. In effetti dovranno arrivare
gli anni 90 per farmi capire il senso profondo e la prospettiva lunga di quelle
parole e di quella visione, anche come via per rivitalizzare le industrie tradizionali.
Mentre saliamo lentamente verso il dosso dal quale potremo ammirare la sfolgorante parete
del Monte Rosa, Hyman Minskey mi spiega perché non dobbiamo "to sell America
short". Gli americani - mi dice - sono tenaci e quando le cose vanno male, mettono
giù la testa, si chiedono che cosa non va, dove hanno sbagliato, come è possibile
rimediare, che cosa individualmente ciascuna persona o ciascun gruppo può contribuire. Ed
incominciamo a rimediare, ognuno nella sua sfera, ognuno per la parte di sua competenza.
Il grande patto neocapitalista tra le elites politiche e del "business" ,
impostato da Roosvelt negli anni 30 ma che si perfezionò solo durante la guerra con
una nuova generazione di manager imprenditoriali, ha tenuto per circa venti anni,
producendo grandi frutti non solo per lAmerica ma per tutto il mondo. Nel frattempo,
ed anche grazie a questo successo, vi sono stati grandi cambiamenti, come il formidabile
sviluppo dellEuropa e del Giappone che hanno cambiato il quadro mondiale, mentre
altri grandi cambiamenti premono sulla soglia. LAmerica si è un po seduta ma
ora si è rialzata ed ha ricominciato a lavorare per il nuovo mondo, i cui profili sono
ancora incerti e difficili da decifrare, e per la sua posizione in esso. Lunica cosa
che sappiamo, perché le nuove tecnologie ce lo suggeriscono oramai con qualche certezza,
è che nel nuovo mondo gli spazi per lintraprendenza personale aumenteranno e non
diminuiranno; che le grandi strutture burocratiche saranno perdenti sino a quando non
ritorneranno ad essere flessibili e creative; che lo spazio per le innovazioni e per le
piccole imprese innovative è destinato a crescere; che l'America è lunico paese al
mondo che ha una rete di "venture capital" capace di affrontare queste tendenze
muovendo velocemente il capitale dai vecchi luoghi di accumulazione ed indirizzandolo a
fecondare i luoghi dove sta nascendo il nuovo. Tutte queste tendenze sono molto congeniali
allAmerica. Per questo non vendete lAmerica al ribasso. Questo mi diceva Hyman
Minskey, salendo lentamente sulle pendici del Monte Rosa allinizio degli anni
80. E non era un reaganiano che parlava; era un "liberal", un democratico,
uno che si era formato sulla scia di Roosvelt.
Ripenso alle parole di Minskey osservando la vitalissima New York di oggi, piena di
progetti, di slanci, di "aspettative crescenti" come non mai. Dove è finita la
New York fallita che abbiamo visto a cavallo degli anni 60 e 70, quando venire
a New York era diventata una sofferenza? Ho appena concluso una giornata di lavoro con un
gruppo di "venture capitalist" americani. Allinizio degli anni 80
quando discutevo con Minskey la quota del venture capital negli investimenti globali non
superava 1/10 dell1 per cento. Nel 1999 i fondi di "venture capital" hanno
investito lequivalente di quasi 50 miliardi di Euro, pari ad una crescita del 152%
rispetto al già elevato livello dellanno precedente. I due terzi sono andati a
imprese nuove che, in un modo o nellaltro, si ricollegano al commercio elettronico
ed alle nuove tecnologie informatiche. Dopo la giornata di lavoro ci accingiamo ad una
ottima cena in un affascinante ristorante ai piedi del ponte di Brooklyn. Davanti a noi
una Manhattan, sfolgorante di luci e bellissima come non mai, ci proietta limmagine
dellAmerica trionfante di oggi. Il "dinner speaker" è il presidente
esecutivo di uno dei più importanti Gruppi di fondi di "private equity e venture
capital" del mondo. Ha 45 anni. Guida un complesso che gestisce alcune decine di
miliardi di dollari. Ha avuto una giornata pesante e giunge con un po di ritardo; so
che ha dei problemi seri in famiglia; dopo la cena dovrà fare quasi due ore di macchina
per raggiungere la sua famiglia. Eppure non manca al suo appuntamento e sta con noi sino
alla fine; è gentilissimo, sereno, semplice e cordiale; fa un discorso altamente
professionale ed interessante sulla nuova America. Ma è proprio così nuova questa
America? Dopo 23 ore dal suo arrivo a New York, nel 1831, il ventiseienne sconosciuto
Tocqueville veniva ricevuto dal Governatore di New York e la sua prima nota del diario da
quando aveva messo piede in America fu la seguente: "Sembra che qui regni la più
grande uguaglianza, anche tra quelli che nella società occupano posizioni molto
differenti. Le autorità paiono straordinariamente avvicinabili".
Come non ricollegare tutto ciò, compreso il fatto che il "venture capital", in
un solo anno, abbia riversato tanto denaro sulla rischiosa "new economy", ai
temi delle origini, alle radici della cultura americana, ai grandi spazi liberi che,
forse, non esistono più ma che hanno stampato nel DNA americano limpronta
indelebile della spinta verso la nuova frontiera che da fisica si è fatta intellettuale,
morale, organizzativa? Come non ricordare e non fare un collegamento con le parole di
Alexis de Tocqueville (la democrazia in America 1835 - 40)? :
"Il problema difficile a risolvere è come mai gli americani possano navigare a
più basso prezzo degli altri: si è tentati dapprima di attribuire questa superiorità a
qualche vantaggio materiale che la natura abbia messo a loro sola disposizione, ma non è
così. La navi americane costano pressappoco nella costruzione come le nostre; esse non
sono meglio costruite e durano in generale un tempo minore. La paga dei marinai americani
è più elevata di quella dei marinai dEuropa e ne è prova il gran numero di
europei che si trovano nella marina degli Stati Uniti. Come avviene dunque che gli
americani navighino più a buon mercato di noi? Penso che invano si cercherebbero le cause
di questa superiorità in vantaggi materiali; essa proviene da qualità puramente
intellettuali e morali
Labitante degli Stati Uniti non è mai fermato da un
assioma di stato; sfugge a tutti i pregiudizi di professione ; non è attaccato a un
sistema di operazione più che a un altro ; né a un metodo antico più che ad uno nuovo;
non si è creata nessuna abitudine e si sottrae facilmente al dominio che le abitudini
straniere potrebbero esercitare sul suo spirito, poiché sa che il suo paese non
assomiglia a nessun altro e che la sua situazione è nuova nel mondo. Lamericano
abita una terra di prodigi; intorno a lui tutto si muove continuamente, ogni movimento
sembra un progresso. Lidea del nuovo è quindi nel suo spirito intimamente legata
con lidea del meglio. Da nessuna parte egli vede limiti messi dalla natura agli
sforzi delluomo; ai suoi occhi non cè nulla che non sia ancora stato tentato.
Il movimento universale che regna negli Stati Uniti, i frequenti cambiamenti di fortuna, i
frequenti e imprevisti spostamenti di ricchezze pubbliche e private, tutto contribuisce a
mantenere nellanimo una agitazione febbrile, che lo dispone mirabilmente a ogni
sforzo e lo mantiene, per così dire, al di sopra del livello comune dellumanità.
Per un americano la vita intera passa come un gioco dazzardo, un tempo di
rivoluzione, un giorno di battaglia. Queste stesse cause operando insieme su tutti gli
individui finiscono per imprimere un impulso irresistibile al carattere nazionale.
Lamericano, preso a caso, deve essere quindi un uomo ardente nei desideri,
intraprendente avventuroso ma soprattutto innovatore".
Qualità intellettuali e morali, dunque, basate, guidate ed alimentate da un forte
spirito innovatore, che ha ancora oggi le sue radici più autentiche nella spinta
innovatrice che animava gli uomini e le donne che hanno fondato lAmerica fuggendo
dalla vecchia Europa.
Nel 1981, centocinquantanni dopo, il giornalista Richard Reeves ha ripercorso il
viaggio di Tocqueville e Beaumont, confrontando, con gli stessi metodi, luoghi e persone
con le descrizioni risultanti da tutti i testi lasciati da Tocqueville e Beaumont,
comprese le interessantissime lettere. Al termine del viaggio, nel 1982, Reeves ha
pubblicato il suo resoconto: "Viaggio Americano, Sulle orme di Tocqueville alla
ricerca della democrazia in America " (originale 1982, traduzione italiana in
edizioni di Comunità 1983). Certamente tante sono le differenze tra quellAmerica di
13 milioni di pionieri visitata da Tocqueville e Baumont e lAmerica di oggi dove
solo gli impiegati delle varie amministrazioni pubbliche si aggirano sui 20 milioni.
LAmerica di allora era giovane, ora sta anchessa diventando vecchia.
LAmerica di allora era fortemente razzista ("Il maggiore di tutti i mali che
minacciano lavvenire degli Stati Uniti nasce dalla presenza dei negri sul loro
suolo" scriveva Tocqueville). Oggi il problema sembra se non eliminato, esorcizzato e
tante altre minoranze, soprattutto dallOriente e dal Sudamerica, hanno trovato in
America spazio e dignità e la stanno fecondando con i loro talenti. Allora i pionieri
erano europei. Oggi in America arrivano talenti da tutto il mondo; nella Silicon Valley
una società nuova su tre è diretta da un indiano. LAmerica di allora era basata
sui piccoli imprenditori. LAmerica di oggi, nonostante la rinnovata vitalità delle
piccole imprese è, pur sempre, lAmerica delle grandi concentrazioni, soprattutto
nellinformazione. Tocqueville teorizzava il pericolo della tirannide della
maggioranza. Ma il sindaco di New York afferma: "Se oggi esiste una tirannide, è la
tirannide di una minoranza. Dellélite". E Reeves commenta: "la potente
minoranza con cui se la prendeva il sindaco della più grande città del paese aveva poche
ricchezze e nessun soldato. Aveva soltanto una cosa: le informazioni". La posizione
della donna è profondamente cambiata. Il ruolo del governo federale è profondamente
cambiato, divenendo molto più pervasivo, penetrante e centralista. La differenza tra
luomo della città e della campagna è sparita. Oggi lAmerica ha il più
potente esercito del mondo; allora lesercito era di 6.000 uomini e la flotta di
poche navi.
Tantissime cose, quasi tutto è cambiato sul piano fisico e sul piano
dellorganizzazione economico - sociale da quellAmerica dove si potevano ancora
percorrere le piste degli indiani tra i boschi. E tante cose sono cambiate anche sul
fronte delletica pubblica e della psicologia sociale. Ma ciò che più mi colpisce,
sia nellesperienza quotidiana di lavoro che nei migliori libri che tentano una
lettura della complessa America di oggi, è la persistenza tenace e profonda di alcuni
valori di fondo, tutti individuati con chiarezza da Tocqueville e che costituiscono
lessenza dellidentità americana, del sogno americano, che vale ancora per i
vecchi americani e per i nuovi e, spesso, vale con più forza per i nuovi che per i
vecchi. Constatazione questa che porta Reeves a concludere, pur dopo aver evidenziato con
acume le differenze con lAmerica di allora, e dopo aver identificato nella
liberalizzazione delle immigrazioni (che iniziò nel 1965 dopo 50 anni di forti
restrizioni e che ha determinato la seconda maggiore ondata di immigrazioni dopo quella
del 1901 - 1910) uno dei fattori critici della rinnovata vitalità americana, con queste
parole: "E così che si ritiene funzioni lAmerica. Per molti anni e per
molta gente ha funzionato; per molti funziona ancora. Ma il Sogno ha bisogno di sognatori.
Non può reggersi sui lavoratori dellindustria automobilista che chiedono più soldi
per risarcirsi della meccanizzazione della vita di fabbrica, né sugli studenti del Mit
che sperano di dare una definizione nuova al termine ambizione, come modo di realizzare
senza sacrifici i loro sogni personali. Il Sogno americano ha sempre bisogno di nuovi
americani, e si possono creare molto in fretta, con gli inglesi, i polacchi, i messicani.
Le idee dellAmerica sono sufficientemente potenti. Sinora, per la maggior parte
della gente e per la maggior parte del tempo, niente sembra preferibile alla vita, alla
libertà e al perseguimento della felicità".
In effetti io trovo oggi unAmerica ancora più vicina, rispetto a quella del 1981,
al di là dellesplosione delle nuove modernità, agli antichi spiriti ed agli
antichi valori. In mezzo vi è stata, infatti, la rivoluzione reaganiana. Io penso,
infatti, che non si possa capire la rinnovata vitalità dellAmerica, lAmerica
trionfante degli anni 90, senza passare per lAmerica reaganiana, senza dare il
giusto peso alleffetto che la ripresa degli "old values" ha avuto nel
forgiare "the new politics", in quasi tutti i segmenti della società americana.
Nel 1959 il vice-presidente degli Stati Uniti Nixon scriveva ad un modesto sostenitore dal
nome di Ronald Reagan: "Lei ha labilità di tradurre temi complessi in termini
che tutti possono capire, Quelli di noi che hanno passato alcuni anni a Washington troppo
spesso perdono la capacità di esprimersi in questo modo, con tanta chiarezza".
Trentanni dopo, avendo trascorso alcuni anni a Washington, Ronald Reagan lascerà la
Casa Bianca senza aver perso la sua dote di saper parlare con chiarezza. Tanto che, anche
dopo il deplorevole ed infelice affare Iran-Contra la sua popolarità resta tanto alta
che, nel 1987, i sondaggi lo indicano nuovamente vincente se potesse ancora
"correre" per la presidenza nel 1988. Ma il successo reaganiano non è solo
questione di straordinaria popolarità; i sondaggi della Casa Bianca, nel 1984, momento di
vertice della popolarità di Reagan, indicano che solo lotto per cento dei suoi
sostenitori lo sostiene per il suo fascino personale e per le sue doti di grande
comunicatore. E anche questione di idee, di obiettivi, di credo. E questi vengono da
lontano, sono radicati in valori tradizionali molto sentiti dal popolo americano, sono
controcorrente rispetto alle tendenze dominanti da decenni, hanno fatto le loro prove,
come si usava un tempo, a livello di Stato e di governatorato, sono in sintonia con i
tempi. "Nel 1980 gli elettori avevano bisogno di una riconferma e riaffermazione
degli antichi valori " (J.K. White). Dal 1973 al 1980 non più del 20% dei cittadini
americani pensava che il paese fosse "on the right track". Nel 1979 la
maggioranza degli americani pensava che al termine dei prossimi cinque anni la propria
situazione personale sarebbe stata peggiore. "Un "gap" di valori tra
governanti e governati era diventata una delle caratteristiche dominanti
dellAmerica. Prima delle elezioni del 1980 "il gap" si era allargato sino
a diventare un Grand Canyon"(J.K. White). Nel 1976, correndo contro Ford, Carter
aveva lanciato "the misery index" ottenuto con la somma dellindice
dellinflazione e di quello della disoccupazione. Nel 1976 il "misery
index" era 12; nel 1980 era salito a 20. Troppo facile per Reagan fare ironia
sullindice della miseria di Carter. Le idee di Reagan sono chiare, pesate, coerenti,
sperimentate. Egli crede a queste idee che professa da quando, per la prima volta, si
impegna in politica negli anni 60. Ma egli non è un solitario simpatico cow-boy.
Egli è solo il grande comunicatore di un movimento di pensiero che si è andato forgiando
nella crisi degli anni 60 e 70 e che è formato da persone spesso di alto
valore intellettuale e molto influenti, che hanno riflettuto a lungo sul declino
dellautorità tradizionale, sugli eccessi di democrazia e di assistenzialismo, sulla
perdita didentità degli USA nelle relazioni internazionali. Sono i neo-
conservatori, così acutamente descritti da Peter Steinfels, nel 1979 nel suo libro:
"The Neoconservatives" I neoconservatori vogliono cambiare lAmerica,
vogliono ricuperare lAmerica. Reagan chiama i cittadini ad "a new
beginning" ,ad un nuovo consenso basato sul tradizionale credo americano sul valore
dellimpegno personale e sulla fiducia nello sviluppo e nel miglioramento continuo:
"Non permettete a nessuno di dire che i giorni migliori dellAmerica sono alle
sue spalle, che lo spirito americano è svanito. Noi lo abbiamo visto trionfare troppe
volte nelle nostre vite, per smettere di credere in esso
Noi siamo il partito delle
opportunità, il partito di tutti gli americani - donne e uomini, neri e bianchi - che
crediamo che lintrapresa individuale e non il grande governo sia alla base della
prosperità e della libertà" Lepoca della teoria delle aspettative eccessive
è superata. Nel 1984 il National Opinion Research Center scopre che l84 per cento
concorda nel ritenere che "lAmerica è una società aperta. Ciò che uno
realizza nella vita non dipende dal background familiare ma dalla sua personale capacità
e dalla sua istruzione". Siamo nel cuore del credo americano che Reagan rivitalizza.
" Nel 1985 Lance Tarrance, esperto di sondaggi del Partito Repubblicano, mette a
fuoco, con grande lucidità, il cambiamento portato dalla rivoluzione reaganiana:
"per trentanni il partito repubblicano ha tentato di vincere sui temi della
ridistribuzione del reddito. Abbiamo sempre perso. Così abbiamo creato un territorio
totalmente nuovo chiamato nuova crescita e futuro. Reagan è il leader simbolico di questo
movimento
I democratici invece stanno proteggendo lo status quo. E veramente
affascinante osservare ciò perché i repubblicani sono stati tradizionalmente status quo
e orientati a favore dellestablishment, mentre i democratici erano per il
cambiamento. Oggi la posizione si è ribaltata". E un fenomeno che abbiamo
visto anche altrove: i progressisti promuovono lo Stato sociale e lo Stato sociale,
debordando, trasforma i progressisti in conservatori, obbligandoli a difendere le
categorie più protette ed assistite. Non è un caso che nel 1984 Reagan raccoglierà la
grande maggioranza del voto dei giovani.
Nel 1972, per la prima volta nella storia americana, la spesa federale per il sostegno dei
redditi, per la salute e per leducazione supera la spesa militare. "Ora siamo
tutti keynesiani" commenta Nixon. Ma, otto anni dopo, nel 1980, Reagan dirà: "
Il Governo è diventato troppo grande, troppo burocratico, troppo dissipatore, troppo
irresponsabile, troppo noncurante della gente e dei suoi problemi". Ma Reagan non sa
solo dire parole, sa anche fare fatti. Nellagosto 1981, Reagan firma la legge che
realizza la più grande riduzione fiscale della storia: ventitré punti percentuali
tagliati in tre anni. Nel 1984 leconomia cresce vigorosamente; linflazione è
scesa dal 12.4 al 4.1 percento; gli interessi sono diminuiti dal 21.-5 al 12 percento;
lindice di disoccupazione è ancora al 7 percento, ma si tratta, pur sempre, di un
grande miglioramento rispetto al 10 per cento del 1982; lindice della miseria è
quasi dimezzato. Nel 1980 Reagan aveva detto: "uno dei miei sogni è di aiutare gli
americani a superare il pessimismo, rinnovando la fiducia in se stessi". E nel 1987
un imprenditore intervistato sulle ragioni della ripresa delleconomia americana
commenta: "la ragione per cui questo paese sta andando meglio è perché siamo stati
portati a credere che può andare meglio". Lo stratega politico di Reagan, Wirthlin
lo aveva ben consigliato: "La primaria funzione di leadership del presidente
americano è di riaffermare costantemente gli obiettivi più elevati del paese e la
possibilità per lindividuo di influenzare positivamente, grazie ai suoi sforzi, il
corso delle cose".
Altri grandi campi di azione furono la deregolamentazione di tante attività che, al di
là di alcuni eccessi, fu un grande successo e rappresentò un altro passaggio essenziale
per infondere nuovo dinamismo e competitività alle imprese americane, e lo sforzo per
ridare forza ed autonomia, anche finanziaria alle comunità locali ed agli Stati (quasi
spariti sotto il peso dello Stato federale sempre più invadente). Anche il principio del
"New Federalism" reaganiano è basato su un principio antico, il principio di
sussidiarietà, proprio della teoria e della pratica federalista: "dobbiamo usare il
livello di governo più vicino alla comunità interessata per tutte le funzioni che questa
può svolgere". Il movimento di rinascita delle città americane, che nel corso degli
anni 90 darà anche corpo al filone di pensiero "Reinventing Government
(Osborn, Gaebler, 1993) inizia dagli sforzi reaganiani di rilanciare il "New
Federalism". Il 79% percento della popolazione appoggia il "New Federalism"
di Reagan. Il 67 percento concorda sul fatto che: "negli anni 60 e 70 la
crescita senza controllo del Governo federale ha fortemente contribuito al collasso della
nostra economia, alla perdita di fiducia nelle nostre istituzioni ed ha messo in pericolo
i fondamenti della nostra libertà".
La riprova della profondità della trasformazione realizzata dai neo-conservatori di
Reagan, la si trova proprio nelle dichiarazioni e nei documenti del partito democratico.
Nel 1986 un documento emesso dal Democratic National Committee, denominato
"Democratic Creed" enumera i componenti di tale credo così: ""la
libertà di scelte personali è il cuore del sogno americano"; "gli individui
devono essere responsabili per le loro vite"; "il poter cogliere le opportunità
è fondamentale per una società libera"; "uneconomia in crescita è il
fondamento di una società che sia allo stesso tempo dinamica e giusta"; "il
raggiungimento di obiettivi personali e il progresso sono centrali per le attese degli
americani; governi locali e stati forti sono essenziali"; "lAmerica deve
essere forte per scoraggiare loppressione e mantenere la pace": "il
reaganismo è ormai diventato un fattore politico della vita ordinaria che trascende i
partiti" (J.K. White).
Certamente lepoca reaganiana ha lasciato un debito pubblico elevato. Si disse che il
debito accumulato da Reagan, un trilione di dollari, era più alto del totale debito
accumulato dalla presidenza di George Washington sino a quella di Jimmy Carter. Ma tale
debito non supererà mai il 30% del PNL, collocandosi sempre nella media dei maggiori
paese industrializzati ed a partire dall86, grazie alla crescita, tenderà a
stabilizzarsi. Questa è la riprova che nella vita dei Paesi non è tanto
lelevatezza del debito quello che conta, quanto la sua natura, le sue origini ed il
suo utilizzo. Anche lInghilterra che uscì vittoriosa nello scontro con Napoleone,
nel 1815, aveva un debito elevatissimo, molto maggiore di quello della sconfitta Francia.
Ma laveva bene impiegato, per battere Napoleone appunto. Ed iniziò il suo grande
sviluppo; iniziò il secolo degli inglesi (1815-1914). Già un altro presidente aveva in
campagna elettorale promesso un taglio della spesa del 25 percento sino a raggiungere
lequilibrio di bilancio e, per fortuna, non mantenne la promessa. Si chiamava
Roosvelt ed eravamo nel 1932. In seguito Roosvelt spiegherà che laumento anziché
la riduzione del deficit era dovuto alle agenzie speciali create per combattere la
disoccupazione e che lui aveva mantenuto la sua promessa di ridurre le spese governative normali.
La verità è che, come disse Hamilton, in una certa misura il debito pubblico è una
benedizione per le nazioni. LAmerica di Reagan non ha sperperato il grosso del
debito pubblico che ha generato (salvo in alcuni casi come quello dellincauta
deregolamentazione delle Savings and Loan e soprattutto dei tardivi interventi di
risanamento che hanno moltiplicato almeno per 10 la perdita iniziale di 15 miliardi di
dollari). Essa lo ha impiegato soprattutto per le spese militari che hanno contribuito a
schiantare lURSS ed a permettere ai "lucky men" degli anni 90 di
incassare il dividendo della pace e di iniziare ad incassare il dividendo della fine del
socialismo. E lo ha generato, in secondo luogo, diminuendo le imposte, fattore che ha
contribuito, a mio avviso, in modo determinante, alla rinascita dellintraprendenza e
dellimpegno personale degli americani, passaggio chiave per comprendere la rinascita
degli anni 90. Importanti risorse sono passate, soprattutto nei primi anni 80,
dal settore pubblico al privato e questo trasferimento ha dato grandi frutti. Per cui
sarà possibile prima a Bush e poi a Clinton (con una, invero, dura e meritoria battaglia
politica) riportare limposta federale ad un livello più adeguato, senza soffocare
leconomia, proprio grazie allo sviluppo nel frattempo riavviato con decisione.
Inizia quella graduale riduzione del debito pubblico, realizzata nel corso degli anni
90 e che è sicuramente vanto dellamministrazione di Clinton ed elemento
importante per capire la grande forza dellAmerica trionfante dei nostri giorni. Ma
senza il riavvio della crescita e dello sviluppo, senza il rianimarsi degli spiriti vitali
dellìAmerica, senza la parziale riduzione del "big government" degli anni
60 e 70, realizzata da Reagan sia sul piano ideologico che pratico, senza la
rinascita delle comunità locali, senza il crollo dellURSS ed il conseguente
dividendo della pace, loperazione di riequilibrio del debito pubblico degli anni
90 non sarebbe stata concepibile. Perché questo è un caso classico di riequilibrio
in avanti, attraverso la crescita e lo sviluppo delle forze vitali del paese, e non
attraverso una maggiore pressione fiscale ed un ulteriore appesantimento del Governo. E
senza tutto ciò anche lesplosione delle nuove tecnologie, le nuove imprese, tutto
il dinamismo innovativo che lAmerica ci fa oggi vedere non sarebbe stato possibile.
La diffusione imprenditoriale delle nuove tecnologie è una conseguenza non una causa
della nuova ondata di imprenditorialità e di innovazione che ha percorso lAmerica
(come chiunque ha avuto contatti di lavoro con lAmerica di questi ultimi anni non
può dubitare), che ha rivoluzionato sia la sfera privata che quella pubblica.
Sono stato in una cittadina del Michigan con un gruppo industriale italiano per
linaugurazione di una piccola fabbrica da cento posti di lavoro. E stato
necessario aprirla per servire un grande cliente americano. Il governatore del Michigan,
di sua iniziativa e senza che ne sapessimo nulla, ci invita per esprimere un
ringraziamento ufficiale, per avere creato cento posti di lavoro in Michigan,
allimprenditore italiano al quale dona una targa con inciso il ringraziamento. Egli
ci presenta i suoi principali collaboratori stimolandoci a chiamarli per ogni necessità.
Se penso a tutte le sofferenze e mascalzonate che ho dovuto subire quando mi sono
impegnato per creare del lavoro vero in Calabria, mi vengono i brividi.
E in questo contesto che possiamo riprendere i cinque punti indicati dal consigliere
di Reagan nel 1981. LAmerica ha sistemato la questione con lOPEC e questa è
stata alta politica. LAmerica ha sistemato la questione del Giappone e questa è
stata soprattutto una involuzione del Giappone stesso, dove una società ancora in buona
parte feudale non ha saputo superare le sfide sociali, culturali ed istituzionali della
modernità. LAmerica ha riacquistato forza e dignità nei confronti di tutto il
mondo e questo è frutto della grande politica di Reagan soprattutto nei confronti
dellURSS e poi dei suoi successori Bush e Clinton. Ma poi, nel quadro di questi
grandi fattori, la rinascita economica è frutto soprattutto del grande lavoro interno
individuale, che ha visto impegnati tutti i settori della società americana.
Ne parlo, in una lunga affascinante conversazione, con Blinder, (brillantissimo
economista, Università di Princeton, già vice-presidente del Consiglio dei Governatori
della Federal Reserve, vice presidente del G7) e con Penzias, premio Nobel della fisica
nel 1978 e, da alcuni anni, "venture capitalist" in società high tech"
nella Silicon Valley. Devo dire che Blinder concede poco o nulla alla politica reaganiana
ed agli spiriti vitali rianimati da questa politica. Su questo punto le nostre posizioni
sono divergenti. Ma per il resto lanalisi di Blinder è molto convincente. Nei primi
anni 80 lindustria tradizionale americana è molto appesantita e poco
competitiva. Nel sistema imprenditoriale il tasso di innovazione è bassissimo. Sono gli
anni in cui in Senato il progetto di legge National Technology Innovation Act viene
illustrato con le seguenti parole: "la tecnologia e linnovazione industriale
sono essenziali per il benessere economico, ambientale e sociale dei cittadini degli Stati
Uniti
Linnovazione industriale negli Stati Uniti è forse rimasta indietro
rispetto ai precedenti storici e alle altre nazioni industrializzate
Non esiste una
politica nazionale intesa a favorire linnovazione tecnologica ai fini commerciali e
pubblici". Ma la vera frustata venne, secondo Blinder, dal dollaro fortissimo. La
politica monetaria e creditizia della Fed di Volker, che temeva che la politica reaganiana
fosse inflazionistica e che, per anticipare tale rischio, aveva portato i tassi a livelli
assai alti, aveva spinto il dollaro (soprattutto a causa del grande afflusso di capitali
internazionali che si riversavano sul dollaro attratti dagli alti interessi) a valori
insensati, soprattutto nei confronti dello yen. Questo mise lindustria
manifatturiera americana con le spalle al muro, non tanto per la difficoltà di esportare
quanto per linondazione del mercato interno con merci estere il cui acquisto era
favorito dal fortissimo dollaro. Questo spinse lindustria americana ad una
ristrutturazione profonda, non solo del tipo taglio e dimagrimento, ma anche di vero e
proprio cambiamento. Si abbandonarono vecchie metodologie e se ne adottarono di nuove, si
ridisegnarono prodotti, si abbandonarono vecchi prodotti e se ne introdussero di nuovi.
Non solo si ridussero i costi, ma si aumentò la flessibilità e quindi la produttività e
la qualità. E questo ha permesso ai settori tradizionali americani di ricuperare
competitività. Ma la ristrutturazione portò anche molti gruppi ad una azione di
deindustrializzazione parziale dellAmerica e di industrializzazione soprattutto
dellEstremo Oriente. Le trasformazioni delleconomia americana verso
uneconomia sempre più di servizi, di ricerca, di progettazione, di finanza (secondo
lindirizzo strategico che mi illustrò nel 1981 il consigliere di Reagan) prese
corpo attraverso la grande ristrutturazione degli anni 80, ponendo così le basi per
lesplosione della "new economy" dei nostri giorni.
Leconomista non è quasi mai portato ad introdurre nelle proprie analisi la
variabile manageriale. E Blinder non fa eccezione. E Penzias, premio Nobel per le
ricerche di astronomia, ma con i piedi tanto per terra da diventare "venture
capitalist" ad introdurre questa variabile. In realtà in quegli anni - egli dice -
si è realizzato anche un grande miglioramento del management americano, il che
corrisponde anche alla mia esperienza. Del resto è del 1982 quel grande libro di W.
Edward Deming: "Out of the Crisis", che vuole contribuire a far uscire
lAmerica dalla crisi partendo dalla premessa che: "la causa principale della
malattia dellindustria americana e della conseguente disoccupazione, è il
fallimento del "top management" a dirigere
solo una trasformazione
profonda dello stile del management americano e dei rapporti tra governo e industria,
possono porre un freno al declino e ridare allindustria americana la possibilità di
ritornare a guidare il mondo". Si innesta qui leffetto rinnovatore dei
"take over" ostili con il metodo del "leverage". Confesso che quando
questa ondata partì, ero preoccupato ed ostile. Mi dispiaceva vedere grandi gruppi che
conoscevo e stimavo dagli anni 60, che erano stati campioni di buon management
assaliti, conquistati, fatti a pezzi, rivoltati da cima a fondo da degli oscuri
avventurieri. Non mi rendevo conto, come mi rendo conto ora con levidenza dei
consuntivi, che quei gruppi erano invecchiati, si erano impigriti e non erano più
campioni di management, sicché quegli oscuri avventurieri che li assalivano, nel fare i
propri affari, assolvevano alla positiva funzione di ridare dinamismo alla parte più
statica dellindustria americana.
E ancora Penzias che, in relazione al processo di cambiamento del management
americano, che si realizza nel cuore degli anni 80, sottolinea un altro aspetto
molto importante. In quegli anni, dice Penzias, si stabilirono in America numerose imprese
giapponesi, che avevano accumulato conoscenze, esperienze e metodologie molto serie sul
fronte del management della qualità, sviluppate in Giappone da grandi studiosi americani
della qualità, ed in primo luogo da Deming. Il management della qualità si sviluppò,
dice Penzias, quasi per caso in USA, sullemulazione del modello giapponese. Ci
troviamo tutti daccordo sullimportanza di questo passaggio. Ma non fu, dice
Blinder, uno sviluppo quasi casuale. Fu al contrario uno sforzo molto consapevole e
prolungato, che coinvolse il management americano, le migliori scuole di management, i
grandi centri professionali. Concordo totalmente con Blinder. A metà degli anni 80
la rinascita del management americano è caratterizzata dalla grande sfida con il
management giapponese sui temi della qualità e di tutte le metodologie connesse. Il
management americano ha capito che gran parte del successo giapponese era proprio legato
al management della qualità ed alle metodologie connesse e vuole impadronirsene. E ci
riesce. Oggi i temi della qualità sembrano spariti dalla lavagna, ma sino a dieci anni fa
ne occupavano più della metà. E, aggiunge Penzias, sono spariti solo perché sono stati
interiorizzati e largamente applicati con successo.
Ma è probabile che quello che dice Blinder sia vero. Senza la frustata del dollaro
sopravalutato, negli anni 80, e la conseguente accentuazione della sfida della
competizione giapponese ed europea, tutto ciò sarebbe rimasto, in buona parte, sulla
carta. Così come grande importanza assume la politica creditizia. Per fronteggiare la
recessione dei primi anni 80, gli interessi reali furono portati praticamente a zero
e furono mantenuti a questo livello per circa un anno e mezzo, il che favorì un grande
accumulo di risorse finanziarie nelleconomia privata che, accompagnato dalla
politica di riduzione fiscale, creò la premessa necessaria per finanziare la
ristrutturazione e la ripresa della crescita (operazione che non è riuscita in Giappone,
proprio perché avviata qui molto tardivamente, quando ormai il Giappone era caduto in una
vera e propria deflazione). Nel frattempo si mettono allopera, anche se non
immediatamente percepibili, gli effetti delle nuove tecnologie e delle strategie
dellinnovazione nelle quale tutto il paese è impegnato, sostenute e diffuse dai
grandi centri di ricerca e da una formidabile rete di "venture capital", il
denaro dei pensionati che va alla ricerca dei giovani, che, dopo una lunga incubazione, è
diventato un aspetto essenziale del rinnovato capitalismo americano che sta ritrovando,
dopo anni di lungo travaglio, un nuovo profilo allinsegna delle nuove tecnologie,
del venture capital, della gestione molto più flessibile, creativa e responsabile dei
grandi complessi, del dinamismo dei posti di lavoro, della diffusione della cultura e
dellapproccio imprenditoriale. Sono questi i fattori, certamente evocati e favoriti
dal contesto generale, che rimettono in moto la produttività americana. E, come ha
scritto Krugman: "la produttività non è tutto, ma, nel lungo periodo, è quasi
tutto". La prima volta che ho letto lespressione "New Economy" è
stata nel citato libro di Deming del 1982. Con questa espressione Deming intendeva
semplicemente dire che non ci si rendeva neanche conto di quali salti di produttività si
potessero realizzare con le nuove tecnologie, con le nuove metodologie organizzative e con
un impegno creativo e non gerarchico delle persone E così che quelleconomia
americana che, con Nixon aveva sperimentato il controllo dei prezzi e che nel corso degli
anni 80 aveva imposto le quote allimportazione di vetture giapponesi, si
rimette veramente on "the right track".
Secondo Blinder, nel 1996 leconomia americana è in "perfect shape".- Dopo
di allora inizia un periodo magico che va al di là di ogni previsione ed attesa. Sino a
qual momento, dice Blidner, possiamo parlare di perfetta politica economica e finanziaria.
Dopo di allora dobbiamo parlare anche di "luck", di fortuna. Tra i fattori
chiave di questultima fase egli cita, in particolare, i seguenti:
- Levoluzione della tecnologia che spinge continuamente verso il basso i prezzi al
consumo;
- Le nuove tecnologie che portano ad una grande accelerazione della produttività in tutti
i settori, in misura non ancora conosciuta, non ancora misurata, non ancora percepita
appieno. I grandi accordi di lavoro, ad esempio, non riconoscono ancora questo grande
incremento di produttività, il che contribuisce a tenere il costo del lavoro basso;
- La diminuzione ulteriore del costo dellenergia;
- La forza del dollaro;
- Gli effetti benefici del riequilibrio del bilancio federale.
Forse è anche fortuna, ma è una fortuna duramente conquistata da tutta lAmerica,
allinsegna dei suoi antichi valori, ai quali io voglio aggiungere un altro valore
centrale, quello della professionalità e della meritocrazia. Nel corso di questi decenni
in cui ho osservato lAmerica tanto da vicino, anzi nellinterno della quale ho
lavorato, io ho dato anche una mia risposta, forse semplicistica, alla difficile domanda
del perché, alla lunga, lAmerica, supera sempre, brillantemente, i suoi periodi
più difficili. La mia risposta è che non ho mai visto un Paese dove, a tutti i livelli,
la professionalità è così dominante e guida tutte le scelte, e dove essa viene così
correttamente, anzi generosamente retribuita.
E vero. A Louisville, nel Kentucky, nel maggio scorso quattro poliziotti sparano 22
colpi contro un giovane negro disarmato di 18 anni, ricercato per furto dauto,
Desmond Rudolph. Grande e giusta tensione per la morte del giovane. Ma poi la crisi si
stempera. Ma ora, a marzo 2000, proprio mentre mi trovo in America e sto visitando questa
città sempre fonte di tante tensioni, il capo della polizia premia "al valore"
i due poliziotti per tale azione. Ed il sindaco, bianco, licenzia subito il capo della
polizia. E un fatto grave. Tanti fatti gravi di questo tipo avvengono ogni giorno in
un grande paese. Ma oggi girando per la magnifica Chicago, vedo gente di tutte le razze e
classi "play together, listen to music together, eat together" come dice la
guida. Lontani sono i tempi (anni 60) dei grandi cruenti scontri sociali. Tutto è
rinnovato profondamente nell"hardware" e nel "software". Cerco
il mio vecchio albergo che pure era allora famoso. Non cè più. Come non ci sono
più tanti altri edifici, sostituiti da altri edifici più belli. Molto più belli. Il
più vecchio edificio di Chicago è del 1837, sei anni dopo larrivo di Tocqueville
in America. Ed ogni volta si cambia per il meglio. E vero; a Seattle è in corso, in
questi giorni, un lungo e doloroso sciopero degli ingegneri della Boeing, sino a poco fa
aristocrazia della classe tecnica. Reclamano e vogliono un aumento di paga perché gli
operatori della "nuova economia" sono pagati troppo e, per giunta, fanno
lievitare i prezzi delle case a livelli impossibili. E la stessa cosa che troverò
anche a San Francisco, dove ci sono interi quartieri che sono proibitivi per chi non
"navighi" nella nuova economia. Ma a Chicago non percepisco questa
differenziazione tra la nuova e la vecchia economia. Le nuove tecnologie e metodologie
organizzative si sono inserite ovunque: nei taxi, nei restaurant, negli hotel, nei musei,
nei meravigliosi negozi del "magnificent mile". E contribuiscono a rendere la
vita più facile, più gradevole per tutti. Ho camminato a lungo negli stupendi negozi del
"magnificent mile". Non esiste al mondo altra strada che contenga tanti negozi
così belli, così ricchi, così ben gestiti. Nessuno può capire cosa è la distribuzione
di beni di consumo oggi, senza passare molto tempo in questa strada. Io posso dedicare
alla stessa solo una giornata e mezzo, durante la quale imparo tante cose e mi diverto.
Gli italiani dellabbigliamento sono bene rappresentati, ma potrebbero fare molto di
più. Il direttore di un famoso negozio mi spiega il problema con queste parole: "
E importante che tutti i fornitori italiani capiscano che negli affari oggi la
parola chiave è "You are either quick or you are dead!" (oggi o si è veloci o
si è morti). In Italia lattitudine è spesso quella di rispondere: "prenderemo
cura delle cose non appena possibile" . Queste due culture degli affari sono
antitetiche e ciò rende più difficile per molti fornitori italiani operare con successo
in USA". E mi fa lesempio di un ottimo fornitore italiano che però è
discontinuo nelle consegne e ai suoi e-mail risponde dopo quattro giorni, anziché in
giornata. "Se va avanti così dovrò lasciarlo, dice con rammarico". Tutto
dunque è veloce, immediato, fremente. Tutto diventa nuova economia se è gestito con le
nuove metodologie, compreso il "friendly Art Institute". Così come si è
diffuso, ad ogni livello, lapproccio imprenditivo, chiaro segnale che buona parte
del reddito personale è, ad ogni livello, legato alliniziativa personale. Come
quando entrando il sabato sera in dieci persone in una "steack house" senza
prenotazione e con ben poche speranze di trovare posto, troviamo, in pochissimo tempo, un
eccellente tavolo, grazie ai cento dollari dati allanziano cameriere.
Ci saranno sicuramente problemi nei rapporto tra la vecchia e la nuova economia e tanti
valori della nuova si sgonfieranno come neve al sole. In fondo sino a poco fa i nostri
figli facevano la fila ai negozi di orologi "swatch". Ora hanno smesso. Ma tutti
quelli con cui parlo pensano che Santo Greenspan farà, ancora una volta, il miracolo di
evitare che la crisi faccia troppo male. In fondo è dal 1987 che Greenspan fa miracoli.
Lamico con cui ne parlo è un economista empirico che fa di mestiere il "Fed
watcher" cioè losservatore sistematico della Federal Reserve e dei suoi
comportamenti e che emette utili rapporti sulla stessa. E anche un buon conoscitore
dellItalia e mi dice: " se Greenspan operasse in Puglia potrebbe fare
concorrenza a Padre Pio. Ma per fortuna è a Washington, dove conduce una superba politica
monetaria a vantaggio di tutto il mondo".
Io ero a Wall Street il 19 e 20 ottobre 1987 e vissi quella crisi con lansia di chi
era responsabile di una società di fondi di investimento che gestiva molte migliaia di
miliardi di risparmi di piccoli e medi risparmiatori. E ricordo come fosse ora il momento
in cui sugli schermi apparvero le parole di Greenspan: daremo al mercato tutto il denaro
di cui ha bisogno. Fu il punto di svolta e di salvezza. E dopo di allora ho sempre seguito
con grande attenzione la Fed di Greenspan e non riesco a ricordare un singolo errore od
una singola intempestività di questa istituzione, sino al modo esemplare con cui essa ha
gestito lultima pericolosissima crisi finanziaria internazionale degli anni 97-98,
nella quale vennero a coincidere tante crisi diverse. Credo che Greenspan sia il più
lucido cervello economico dopo Keynes, e che possa contare su una organizzazione di
altissimo livello professionale. Ed è evidente che il loro contributo allAmerica
trionfante di oggi è stato decisivo.
Temo che a qualcuno questo mio scritto possa apparire apologetico. Ma non lo è. Conosco
se non tutte, molte delle cose che non vanno anche in America e nelle sue città. Ma il
mio obiettivo era solo di riflettere sulle ragioni di fondo che hanno ricondotto
lAmerica a pezzi degli anni 70 "on the right track" e non anche di
discutere se la società americana sia o meno il migliore dei mondi possibile. Era quindi
proprio del mio tema far affiorare soprattutto i fattori positivi. So anche che per molti
Europei lAmerica rimane quella definita da Freud nel 1909: "LAmerica è
gigantesca, ma è un gigantesco sbaglio". Rispetto questo giudizio, ma non lo
condivido. In ogni caso non è di questo che volevo discutere, ma solo dello strepitoso
cambiamento positivo degli ultimi 25 anni. La mia è, dunque, solo una testimonianza ed
una riflessione su un paese che ho amato e che amo, che ho frequentato a lungo, che mi ha
insegnato che cosa è la professionalità e perché, alla lunga, nel mondo moderno, vince
solo la professionalità. Io ho sofferto per il decadimento del sogno americano, perché
sapevo che questa decadenza era un impoverimento per tutti noi. Ed ho gioito nel vedere il
sogno americano rinascere piano piano, pur con tutte le diversità del caso, nel corso
degli anni 80 e 90, sino allAmerica trionfante dellinizio del
nuovo millennio, contraddicendo tante previsioni di decadenza irreversibile, enunciate da
grande parte degli intellettuali americani sino ancora quasi alla soglia degli anni
90.
Certamente, come sempre, nella storia delle nazioni, nuovi pericoli e nuove sfide
incombono anche sullAmerica trionfante dellinizio del nuovo secolo e
millennio. Ma non è facile, invero, vedere quali siano e da quali parte essi possano
provenire. Discutendo questo punto, Blinder si è chiesto: da dove possono venire i nuovi
pericoli per leconomia americana? Onestamente non riusciamo a vederlo. Ma poiché
sappiamo che essi ci sono e che verranno, possiamo solo affermare che i nuovi pericoli
verranno da una direzione che non riusciamo oggi a vedere né immaginare.
Sono totalmente daccordo. Le nuove sfide ed i nuovi pericoli verranno, ma da fronti,
per ora, imprevedibili (forse proprio dalla spaccatura tra new economy ed old economy o,
forse, dalleccesso di domanda interna che ha portato ad un indebitamento netto delle
famiglie americane e ad una crescita molto rapida del tradizionale squilibrio della
bilancia commerciale, o, forse, dalla crisi tra Cina e Taiwan). Ma una cosa credo di
sapere : quando i nuovi pericoli verranno lAmerica sarà, ancora una volta, sola
nellaffrontarli, con determinazione e professionalità, perché come scrisse Gilbert
K. Chesterton, al termine di un suo viaggio negli Stati Uniti negli anni 20:
"LAmerica è lunica nazione al mondo fondata su un credo". Ed il
cuore di questo credo è la fede nella capacità degli individui di modellare il proprio
futuro: "You can make it".
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