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La nuova Tate di Arte Moderna

Daniela Mecozzi

 

In perfetto rispetto dei tempi e dei costi previsti, Tate Modern apre al pubblico il 12 maggio, decisa a evitare le critiche cui son stati sottoposti altri grandi progetti realizzati a Londra in occasione del nuovo millennio, quali il Dome a Greenwich e la grande ruota panoramica del South Bank.

Sede di questo museo è una delle due monumentali centrali elettriche disegnate da Sir Giles Scott, autore peraltro anche della celebre cabina telefonica rossa inglese. Costruita nel 1963, la centrale di Bankside ha cessato di essere operativa nel 1981. Nel 1995 lo studio svizzero di architettura Herzog e de Meuron si è aggiudicato l’appalto per il progetto di trasformazione della centrale in museo.

Contemplando dall’esterno questo cupo e imponente edificio che si affaccia, come il suo gemello di Battersea, sul Tamigi, non si può non riconoscere il genio intuitivo e manageriale di Nicholas Serota, direttore della vecchia sede della Tate e principale artefice della realizzazione di questo nuovo spazio, destinato a essere ulteriormente esteso per contenere l’intera collezione di arte moderna e contemporanea fino ad ora stipata negli spazi angusti e nei depositi della sede precedente. Ribattezzata Tate Britain, il nuovo museo torna a ricoprire il suo ruolo originale, stabilito nel 1897, quello di ospite delle collezioni di arte britannica dal 1500 ad oggi.

Cupo ed imponente, con la sua vertiginosa ciminiera, rappresentativo della classe operaia e popolare che abita in quest’area economicamente depressa, l'edificio ha rappresentato per decenni il contraltare architettonico, ideologico ed economico dell'altra sponda del Tamigi, dove è situata, infatti, in linea diretta, la cattedrale di S. Paul circondata dagli alti edifici delle corporazioni della City londinese.

Oggi trasformata in Tate Modern, la centrale elettrica simbolizza il rilancio e la rivitalizzazione economica di quest’area, dove la realizzazione di progetti culturali, quali il Design Museum e la ricostruzione del Globe Theatre di Shakespeariana memoria, hanno creato nuove opportunità di lavoro ai residenti e un itinenario culturale che dal complesso del South Bank si estende fino alla torre di Londra. Così il rapporto di polarità delle due sponde si è evoluto in uno complementarità, siglata questa dalla costruzione del ponte pedonale, disegnato da Sir Norman Foster e dallo scultore Anthony Caro.

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Il progetto di ristrutturazione di Herzog e de Meuron, costato circa 400 miliardi, ha rispettato il carattere originale dell'edificio conservandone la pellicola muraria e la patina del tempo. All’esterno l’alterazione più evidente è rappresentata dalla inserzione di una struttura in vetro, lungo l’intero soffitto, che contiene i due livelli superiori del museo da cui si ammira lo splendido panorama del West End e offre luce naturale alle gallerie site al quinto piano. Di notte, emanana una bianca luce eterea, che si erge sulla volgarità delle migliaia di policrome luci al neon che punteggiano questa grande metropoli.

L’esterno di Tate Modern riassume l’approccio degli architetti: nessun tentativo di ingentilire la struttura industriale, ma piuttosto l’inserzione di elementi che bilancino e neutralizzino in parte la sua pesantezza e monumentalità. Perchè, per qualsiasi visitatore che acceda Tate Modern per la prima volta, l’effetto è impressionante. Una rampa conduce ad una bassa entrata che si apre sullo spazio originariamente occupato dagli enormi generatori elettrici. Lungo più di 150 metri ed alto 30, l'immenso viale coperto è dominato dalle altrettanto monumentali installazioni di Louise Bourgeois. Un enorme ragno in ferro, Maman, sovrasta il ponte di collegamento con le gallerie mentre tre torri, I Do, I Undo e I Re-do, anch’esse in ferro, si stagliano all’orizzonte. L’essenzialità del materiale usato dall’artista francese, con le grossolane saldature ben in evidenza, ci invitano a concentrarci sul senso della sua opera e ad interagire con essa.

Infatti, a dispetto della monumentalità dell'edificio, l’atrio di Tate Modern è concepito nella tradizione democratica del South Bank come luogo d’incontro e di sosta sia per il passante sia per il visitatore. L’elemento di interazione sociale è rafforzato dalla inserzione di balconi aggettanti sull’atrio che permettono al visitatore di trasformarsi da oggetto degli altrui sguardi in spettatore. Fasciati da pannelli in vetro e illuminati, questi balconi sono già stati ribattezzati "le nuvole." Da un punto di vista architettonico la loro funzione è quella di contrastare la simmetria e la verticalità dell’atrio e, allo stesso tempo, di definire i 7 livelli del museo.

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A vari livelli sono situati i 3 ristoranti-bar e le 3 librerie i cui proventi contribuiranno alla gestione del museo. Le pressioni commerciali non hanno alterato l’approccio di Herzog e de Meuron che, rifiutando qualsiasi eccesso, hanno creato ambienti sobri e discreti, servizi per l’appunto. Così nel ristorante al secondo livello, quello che si apre sul giardino e sul Tamigi, hanno sfondato l’intera struttura muraria e fasciato i pilastri portanti in vetro. L’effetto è quello di un continuo riflesso, come quello prodotto dal fiume, interrotto da grandi finestre.

Tra ristoranti, bar e librerie, le gallerie situate al terzo, quarto e quinto livello offrono un itinerario caratterizzato dall’alternanza di spazi monumentali, stretti corridoi, nicchie. La stessa varietà si trova nell’illuminazione degli spazi. Atmosfere diverse sono create dalla luce naturale delle grandi vetrate, da soffuse luci artificiali, da lucernari o dal buio completo. In questi spazi, dettagli come i battiscopa scompaiono e le grandi porte in noce diventano tutt’uno con le pareti. Questa è quella che Serota definisce "architettura al servizio dell’arte," dove nulla deve distrarre il rapporto tra visitatore e opera d’arte.

Arte come esperienza è l’approccio che ha determinato l’inedita scelta curatoriale di Tate Modern. Rifiutando il tradizionale approccio cronologico, inaugurato da Alfred H.Barr negli anni Trenta e basato su una suddivisione per movimenti artistici, gli 8 curatori, guidati da Frances Morris, propongono in questa sede un inedito allestimento tematico ripartito in 4 aree: Landscape/Matter/Environment; Still Life/Object/Real Life; History/Memory/Society; Nude/Action/Body. L'allestimento tiene conto di recenti contributi, quali quelli sociologici e psicoanalitici, al dibattito artistico. Oltre a questi itinerari, un intero livello è dedicato all’esposizione di opere di grandi dimensioni.

Questo allestimento suggerisce una nuova via rispetto alle limitazioni connesse con la presentazione cronologica e allo stesso tempo riflette la consapevolezza dei curatori del ruolo che i musei ricoprono nella società attuale. La loro è una scelta che privilegia l’esperienza rispetto alla nozione e che prevede un approccio dinamico verso la disposizione delle opere d’arte basata sul contrasto o sulla complementarità.

Il limite di questo approccio è dovuto non solo alla relativamente limitata collezione della Tate ma anche al fatto che, come indicato da Serota nel 1997, la politica di acquisizione dei musei è stata tradizionalmente orientata a completare i vari movimenti artistici. Assumendo che questa politica di acquisizione si evolverà di conseguenza è impossibile, al momento, giudicare la validità dell’approccio tematico. Questo può essere di grande effetto, come nella successione delle sale dedicate al nudo dove, alle opere di Picasso, Bonnard e Stanley Spencer, che propongono la tradizionale visione realistica o idealizzata della donna da parte dell’artista uomo, fa seguito il filmato di Sam Taylor-Wood dove un uomo nudo danza al ritmo della techno-music apparentemente ignaro di essere osservato dall’ artista donna.

A dispetto di tutte le teorie, il compito del curatore è quello di raccontare una storia. Sta al visitatore adulto o bambino apprezzare, contestare o rimanere impassibile. Nell’allestimento di Tate Modern ci sono oggi troppe assenze, troppi elementi mancanti e troppa didattica per mantenere la tensione e l’interesse del visitatore. Le emozioni provocate dal passaggio dalla sala dedicata ai dipinti di Rothko per il Seagram Building a quella che contiene Waterfall di Richard Long sono sporadiche eccezioni. I collegamenti suggeriti sono alquanto banali e scontati, a volte forzati nella ricerca di una spettacolarità e trasgressività che, essendo questo un museo, sono già obsolete.

Eppure questo è l’inizio del racconto di un nuova storia, sicuramente non meno parziale di quelle che l’hanno preceduta e che si svilupperà così come l’edificio che la contiene. Nel contesto di un paese tradizionalmente ostile e diffidente nei confronti dell’arte moderna come la Gran Bretagna, l’apertura di Tate Modern e la sua originale interpretazione dell’arte di questo secolo meritano non un affrettato giudizio ma rispetto e soprattutto tempo.


 

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