LIdiota di Giulio Scarpati
Antonia Anania
Si apre il sipario. In una botola al centro del palcoscenico buio e vuoto, un uomo, di
spalle, suona un mezzo-piano. Davanti a lui si apre un secondo sipario: un altro uomo,
sempre di spalle, osserva lenorme scenario di luminose e dorate montagne. Una voce
fuori campo "legge" linizio della storia.
Si entra così tra le pagine de "Lidiota" di Fëdor Dostoevskij,
interpretato da Giulio Scarpati,il "medico in famiglia" più famoso
dItalia, e dalla compagnia de Gli Ipocriti (uso ironico di una parola che in greco
antico significava "attori"
). La riduzione teatrale è di Angelo
Dallagiacoma e la regia di Gigi DallAglio. Gli Ipocriti, in giro dal 7 febbraio,
concludono la tournee teatrale a Roma, al Teatro Quirino, dove reciteranno fino al 21
Maggio.
Dostoevskij scrisse "LIdiota" tra la fine del 1867 e gli inizi del 1869,
nella frenesia delle periodiche consegne al "Russkij vestnik", "Il
messaggero russo" che pubblicava la storia a puntate. Un romanzo nato per necessità
economiche e che si sviluppò nel farsi, come si capisce dai materiali preparatori
e dalle lettere inviate agli amici: problematico e semplice, oscuro e chiaro, analitico e
caotico, che fece preoccupare lo stesso Dostoevskij, come lui stesso ha ricordato:
"Da tempo ormai mi tormentava unidea, ma avevo paura di trarne un romanzo,
perché è unidea troppo difficile e ad essa non sono preparato, anche se è
estremamente seducente e la amo. Questa idea è raffigurare un uomo totalmente bello.
Niente, secondo me, può essere più difficile di questo (
) Soltanto la situazione
disperata mi ha costretto a prendere questidea immatura. Ho rischiato come alla
roulette: 'Chissà che scrivendo non si sviluppi'".
"Lidiota", il principe Myskin, è bello nel senso interiore e spirituale,
ed è etimologicamente "estraneo" a chi lo circonda: viene dalla Svizzera,
dovè andato per guarire dallidiozia, e ritorna in Russia, dove trova una
società feudale e borghese dalla mentalità ipocrita. Il principe invece pensa, sente
e vede con occhi buoni e puliti, gli occhi di un bambino innocente; è un eroe fragile,
delicato, malato depilessia (come lo stesso Dostoevskij). La storia progredisce
attorno a due sentimenti contigui e complementari: la passione e la com-passione, perché
Myskin, ama soprattutto per compassione ("Non lamo di amore, ma per
pietà" spiega al violento e passionale Rogozin, riferendosi a Nastasja
Filíppovna). Un altro elemento è la conoscenza: Rogozin, per amore di Nastasja,
inizia a studiare la storia russa; Aglaja vuole conoscere larte e lEuropa, e
per questo fuggire con Myskin; Nastasja ri-conosce il principe nelluomo
sognato da bambina, "buono, onesto, bello, e anche un po sciocco": lo
stesso Myskin ri-conosce il viso di Nastasja.
Attorno al principe e alla società pietroburghese, si sviluppano e intrecciano idealismo
e sensualità, in discorsi, polemiche, storie e cronache di socialismo, ortodossia e
cattolicesimo, vita-morte, idiozia, mal caduco, amore; e con tensioni, sospensioni e punti
di svolta degni di una fiction televisiva ben scritta.
Una storia imponente, quindi, e immensa che in base alle edizioni varia dalle seicento
alle ottocento pagine. Angelo Dallagiacoma lha trasformata in un testo teatrale di
un centinaio di pagine, due atti per tre ore circa di spettacolo. Nel 1977 aveva già
drammatizzato il romanzo per la messinscena diretta da Aldo Trionfo. Quellanno
scelse di sperimentare e mutare la struttura del romanzo. Nel nuovo adattamento non perde
mai di vista lidiota e mantiene la linea narrativa delle storie damore che
coinvolgono il principe Myskin, il giovane arricchito Rogozin, la bellissima ed enigmatica
Nastasja Filíppovna, laristocratica e viziata Aglaja. Riassume racconti
mettendoli in bocca ad altri personaggi, tralascia le vicende politiche o le sparge sotto
forma di discorso, taglia soprattutto alcuni personaggi ritenuti secondari o comunque
svianti (il padre e il fratello di Ganja, per esempio), trasforma alcuni racconti in
dialoghi oppure in monologhi rivolti al pubblico (gli "a parte" tanto cari al
teatro), mantiene le battute di Dostoevskij spesso semplificandole e modernizzandole.
Soprattutto chi ha già letto il romanzo, però, nota un certo squilibrio tra i due atti:
volendo probabilmente offrire le premesse della storia, il primo tempo teatralizza solo la
prima parte del romanzo, e risulta lento sia come narrato che come narrazione; il secondo
tempo, invece, riassume la seconda, la terza e la quarta parte del romanzo, e si sviluppa
da una scena allaltra con maggiore velocità, troppa a confronto con il primo. Di
conseguenza la maggior parte degli spettatori è stanca alla fine del primo atto, e riesce
a seguire il secondo con difficoltà.

Gigi DallAglio e Bruno Buonincontri hanno deciso di dirigere e ambientare questo
testo teatrale "per sottrazione": la storia viene collocata in uno spazio
scenico fisico ma "nello stesso tempo mentale - scrive DallAglio - per la
totale rarefazione dei segni più distraenti". Contano il racconto e la conseguente
azione scenica, non gli oggetti o i mobili tanto inesistenti sulla scena quanto immaginati
dal pubblico e dagli attori che, in un piacevole gioco, fanno finta di mangiare, di stare
su un prato, di scrivere, di rompere un vaso cinese.
A livello scenografico, cè un continuo movimento di pannelli neri da cui balzano
fuori personaggi, qualche sedia, un tavolo; i pannelli suddividono il palcoscenico in tre
o quattro fasce dove "si girano" contemporaneamente scene diverse, che si
contaminano, si sovrappongono e sfociano a volte in ununica grande rappresentazione.
Sullo sfondo altri pannelli neri si aprono e si chiudono per far apparire personaggi o
raffigurazioni: le dorate montagne svizzere, il ritratto di Nastasja, la copia de
"il Cristo deposto" di Hans Holbein nella casa di Rogozin, il vaso cinese in
quella degli Epancín.
Il mondo di Pietroburgo è grigio, noioso, ipocrita: il nero domina in tutte le scene e
microscene, il grigio nei vestiti di tutti i personaggi della borghesia pietroburghese.
Solo gli "stranieri" possono "colorarsi" diversamente: Myskin mette
sciarpe e vestiti blu o marroni, Nastasja indossa un vestito rosso, tiene in mano un
fiore bianco regalatole da Myskin, prova un velo bianco, da sposa.
In mezzo al palcoscenico, il pianista (Andrea Bianchi) accompagna e interpreta le parole e
gli stati danimo dei personaggi con i temi musicali composti da Fabrizio Romano. Nel
primo atto cè un momento originale e gradevole: il pianista e lidiota,
luno di spalle allaltro, raccontano al pubblico le varie scritture dei
manoscritti europei, facendo coincidere le note musicali con i movimenti in aria delle
dita delle mani di Myskin: "Tramite la musica - ci spiegherà Giulio Scarpati -
abbiamo voluto fare di un romanzo un teatro da camera, un piccolo melodramma. La musica fa
conoscere il testo, fa da filtro tra noi e le parole. Io e il pianista, non potendoci
vedere in faccia, cerchiamo di sentirci: è un modo di giocare!"
Luomo seduto ad osservare i monti svizzeri, allinizio dello spettacolo, è
lidiota, interpretato da Giulio Scarpati: "Ho scelto di rappresentare
questuomo ridicolo in un tempo in cui contano più le medaglie che hai sul vestito.
Era un modo per dire che in un mondo che vive sotto il peso delle ipocrisie, cè
bisogno di idioti, di persone che dicano sempre la verità. Myskin è un po come il
Pulcinella che andavo a vedere da piccolo al teatro dei burattini: minacciato di morte,
malgrado noi bambini tentassimo di avvertirlo, finiva sempre tramortito. Myskin è così:
non reagisce alle cattiverie, perché è puro, di una purezza che non può essere scalfita
e che è una scommessa e un monito per chi non si sofferma a parlare con gli altri o a
guardare un tramonto, come si legge nel romanzo; è la scommessa che cè un modo
più autentico di vivere i sentimenti. Myskin è una persona buona, che non si offende mai
ed è disposto a perdonare. Con la sua ingenuità analitica mette in crisi tutte le
umanità e crea disagio. Si sente inadeguato mentre il mondo borghese gli restituisce
unadeguatezza soltanto formale, un perdono che in realtà è solo esteriore"
Giulio recita Myskin come se fosse un bambino: gesticola, allarga le mani, saffanna,
trattiene il respiro, sincanta, ha bisogno del contatto umano e quindi abbraccia,
accarezza, e poi è curioso, entusiasta, spaventato. Vittorio Strada alla metà del 1990
ha scritto: "Myskin, spesso sulla scena e sullo schermo impersonato da attori dallo
sguardo sognante e dal volto emaciato, avrebbe trovato il suo interprete più liberamente
fedele in Charlie Chaplin, in un Chaplin che con la tragicomicità della sua arte matura
avesse fatto rivivere dostoevskianizzandola, la patetica 'estraneità' di Charlot".
Linterpretazione di Scarpati è una riuscita via di mezzo.
Tra la folla dei personaggi-attori che attorniano Myskin, sono particolarmente convincenti
le interpretazioni di Leda Negroni e di David Sebasti. La Lizaveta di Leda Negroni è una
mamma-bambina che chiede continuamente baci, come nel romanzo. Linterpretazione è
stupendamente tenera, leggera, divertita e divertente per cui Leda-Lizaveta viene subito
amata dal pubblico. David Sebasti porta sulla scena un Rogozin fedele al testo e
teatralmente incisivo: un giovane mercante fascinoso, rozzo, violento, passionale,
istintivo fino ad uccidere.Vorrei ricordare altre due interpretazioni. Giancarlo Cosentino
nei panni di Lébedev recita perfettamente la parte del viscido parassita, appiccicoso ed
ipocrita, dalla vocina sottile e petulante.
Leggendo "Lidiota", non avevo immaginato una Nastasja come quella di
Mascia Musy. Devo però ammettere che l'interpretazione dell'attrice ha una notevole resa
scenica. Io lavevo letta come una figura pallidissima seppur gaia, simile al suo
volto nel ritratto osservato da Myskin. Limmaginavo più interiorizzata e
contraddittoria, più austera e orgogliosa, più fragile ed enigmatica. Quella di Mascia
invece mi è sembrata una Nastasja esteriorizzata, che amplifica il suo dolore ed è
più compiacente e sfrontata; ne ho apprezzato lalterità e lalterigia, la
tristezza, la disperata tirannia. Pieno di tenerezza, malinconia e sofferenza il momento
della ninna-nanna russa
Come si conclude la storia? Per rispetto di chi non ha ancora letto il libro e visto lo
spettacolo, non voglio raccontare troppo. Pensate solo allinizio del primo atto, ad
una voce che "legge" la fine e chiude un libro.
D'obbligo qualche domanda a Giulio Scarpati:
Teatro e TV sono gli estremi di uno stesso percorso?
"Oramai il passaggio dalla Tv al teatro e viceversa è normale e serve a fare scelte
diverse. Un attore dovrebbe avere la possibilità di fare tutte e tre le cose:
televisione, cinema, teatro"
Quando recita la parte di Myskin, pensa mai che gli spettatori vedano in lei "Il
medico in famiglia"?
"Lo penso all'inizio: so che molti vengono a teatro dopo aver visto Lele in Tv e
quindi devo lottare contro unimmagine molto forte. Ma è una scommessa quella di
farli affascinare a un personaggio diverso, problematico e tragico"
Che cosa vorrebbe prendere a prestito dal principe Myskin?
"Vorrei possedere la sua capacità di comprendere le persone; Myskin però non riesce
ad utilizzare questo dono per generare effetti positivi. Io invece spero proprio di
sì".
Gli Ipocriti presentano: LIdiota di Fëdor Dostoevskij, Traduzione e adattamento di
Angelo Dallagiacoma, con Giulio Scarpati
e con Leda Negroni, Piero Sammataro, Mascia Musy, David Sebasti, Frida Bruno, Giancarlo
Cosentino, Mario Salomone, Luca Della Bianca, Teresa Ronchi, Patrizia Bracaglia, Stefano
Cenci, Chiara Baffi
al pianoforte Andrea Bianchi, musiche Fabrizio Romano
scene e costumi Bruno Buonincontri
Regia Gigi DallAglio.
REPLICHE: Roma, Teatro Quirino fino al 21 Maggio. Mercoledì 17 maggio alle ore 20,
incontro con il pubblico.
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