Il modello catalano
Fabio Severino
La Spagna, e Barcellona in particolare, sulla scia delle "nuove mode"
americane, ha adottato da tempo la filosofia del "siamo competitivi nel mercato di
oggi", puntando a una formazione universitaria di taglio pragmatico. Già fin
dalla fine degli anni Settanta, subito dopo la morte di Franco, la penisola iberica è
corsa ai ripari per rimediare allarretratezza accumuluta nel lungo quarantennio di
regime. Sopratutto la Catalogna, da sempre accanita fautrice dellindipendentismo, ha
cominciato a "riorganizzarsi", innanzitutto sul piano formativo professionale,
finanziando la nascita di nuove università da affiancare all'ateneo statale, la storica
UB, e rinnovando il corpo docente, adesso arricchito di tecnici presi in prestito dal
florido mercato locale. Si sono snelliti e allegeriti i corsi, cosicché la maggior parte
delle facoltà hanno addottato la suddivisione dellanno accademico in trimestri. Le
classi sono poco numerose mentre molti sono i laboratori. Ci sono compiti a casa, lavori
di gruppo e tesine di fine corso. Inoltre, sempre più spesso, è richiesto uno stage in
azienda per poter terminare gli studi.
Oggi la Catalogna, la regione più industrializzata e ricca della Spagna, che gode di un
regime di semi-autonomia rispetto al governo centrale di Madrid, con le sue cinque
università di Barcellona, si garantisce un elevato numero di llicenciados ogni
anno. In realtà i catalani non hanno inventato niente di particolarmente nuovo, perché
il loro modello universitario in definitiva è il sistema statunitense "di
massa". Mentre in Europa luniversità moderna nasce sul modello creato da Von
Humboldt agli inizi dellOttocento con luniversità di Berlino, e cioé
ununiversità di tipo elitario, incentrata sulla figura del professore che diffonde
il sapere ad un ristretto numero di allievi, la futura classe dirigente della società
industriale, negli Stati Uniti ormai da molti anni si attua una politica pragmatica
"anche" in ambito scolastico-formativo: studi più facili e per tutti, corsi
altamente specializzati e finalizzati, con lobiettivo di avere un livello culturale
medio più elevato e un migliore inserimento dei giovani laureati nel mondo del lavoro.

Il modello statunitense, che ovviamente si sposa bene con il liberismo, si sta diffondendo
anche in Europa: lInghilterra, il paese europeo più "vicino" agli
americani, ad esempio, dà numerosissime possibilità finanziarie per la prima laurea,
durante il corso di studi obbliga a fare un anno di stage, di laboratorio o di studio
allestero e, come negli Usa, differenzia le ultime classi di scuola media superiore
in funzione degli sbocchi prescelti; la Francia, patria, da sempre, della cultura, benché
ufficialmente mostri resistenze alle influenze a stelle e strisce, in verità subisce un
grande fascino dallOltreoceano, e così oltremanica si sono organizzati con un
biennio universitario generalista, diviso in grandi aree, seguito da diversi diplomi
annuali organizzati gerarchicamente, licence (laurea breve), maîtrise (laurea),
D.E.A. o D.E.S.S. (master), in funzione del livello di approfondimento che
si desidera dare ai propri studi.
Più o meno tutti i paesi europei si sono "adeguati", o si stanno
"adeguando", al modello americano; persino lItalia, dove la cultura è per
tradizione elitaria, ha in programma diversi progetti di "ristrutturazione" in
tale direzione. Tra meno di 18 mesi dovrebbe andare a regime il lifting:: tre anni
di laurea breve più due, facoltativi, di specializzazione.
Lidea generale di questa università di massa è "rendere le cose
facili". I programmi desame sono semplificati e di carattere
fondamentalmente introduttivo. Il professore fa una sua personale scelta di argomenti,
senza concreti riferimenti bibliografici, e li tratta in aula, addirittura a volte sotto
forma di dettato. Lo studente dal canto suo, trascrive la lezione del professore, spesso
senza alcun lavoro di sintesi o di elaborazione, accumulando così una "massa"
di appunti (per lo più schemi) sui quali verrà chiamato a rispondere in sede di esame
(rigorosamente ed esclusivamente scritto).
La visione, quindi, non solo è parziale (un solo punto di vista soggettivo), ma anche
decisamente povera; lo studente si riduce a memorizzare una sintesi della sua sintesi
trascritta dalla sintesi del professore: quindi, per lo più, soltanto nude ed aride
nozioni. Alcuni professori preparano essi stessi gli appunti da distribuire in
ciclostilato, e allora il compito dello studente si riduce ulteriormente alla sola
memorizzazione. Questo, per certi aspetti, equivale al sistema dei libri di testo scritti
dai professori (prassi diffusa in Italia), caratterizzati anchessi da un unico punto
di vista, quello dellautore. Ma il libro costituisce tuttavia unentità più
autonoma, rappresentando generalmente un lavoro di ricerca approfondito, sviluppato nel
tempo, ponderato, ragionato, sostenuto da fonti e bibliografia; anche il più scadente dei
manuali ha, insomma, una sua precisa identità.
Il professore, in ogni modo, indica sempre dei testi di approfondimento, però
sottolineandone lirrilevanza ai fini del superamento dellesame e la loro
mancata esaustività rispetto agli argomenti del corso nel suo complesso, motivando tale
prassi con il poco tempo a disposizione, rifacendosi a filosofie del tipo "meglio
poco che niente", "andiamo incontro anche ai meno dotati",
"chi lo desidera può approfondire a casa". Però, la
percentuale di coloro che acquistano, o solo consultano i testi, è non più del dieci per
cento (sostengono docenti e alunni), perché la stragrande maggioranza si presenta
allesame con poche frasi del professore imparate a memoria, che non solo sono
culturalmente e formativamente inutili ma anche rapidamente delebili. Pertanto il tutto
acquista la caratteristica di un vero e proprio esamificio, perché il livello si riduce
spesso ad essere quello di un corso per corrispondenza.
La "mala" abitudine ha le sue ritorsioni anche sul mercato delleditoria.
Le librerie sono poche e quasi prive di saggi, tutto ciò che si può trovare sono i
best-seller americani. Si traducono pochi testi (e molti anche male), e cè una
grande misconoscenza persino tra i librai. Tirature ridotte e elevati prezzi di copertina
che raramente corrispondono alla qualità delledizione. Ovviamente eccetto il
romanzo tutte le collezioni sono considerate di nicchia e specialistiche, giustamente non
essendoci domanda non cè offerta. Se già alluniversità, che dovrebbe
rappresentare il motore del sapere, si perde labitudine e linteresse a leggere
libri, chi si dovrebbe dedicare a questo prezioso mezzo?
La teoria quindi è poca perché gli interessi convergono in primo luogo sulla pratica. Si
lavora in gruppo, si fanno molti compiti in aula e a casa. Ma viene da chiedersi, "su
quali basi si lavora? con quali strumenti lo studente può realizzare questi progetti?",
perché mancano le capacità critiche di analisi e di selezione che si acquisiscono
soltanto lavorando da soli e con una notevole e pluralistica quantità di fonti. Soltanto
in tal modo si possono sviluppare le attitudini che in futuro potranno essere utilizzate
oltre per ciò che interessa, per intervenire su ciò su cui si lavora. Questa è la
formazione di base.

Si da invece molta importanza al lato pratico con lobiettivo di avvicinare
maggiormente lo studente al mondo del lavoro, a ciò che concretamente dovrà fare in
futuro. Obiettivo più che giusto, perché finalmente ci si rende conto che lo studente
deve preparasi ad un futuro "vero", non fatto solo di "poesie" o
"teoremi". Tuttavia non si può prescindere dalle teorie, la pratica ad un
livello formativo può avere solo una funzione complementare e non esclusiva o
predominante. Le tecniche cambiano, sono in continua evoluzione tecnologica e formale, se
ci si prepara a come funziona loggi, senza sapere più universalmente il "perchè
funziona", domani ci si ritroverà nudi, vuoti, senza capacità, né strumenti.
Non si possono preparare i giovani ad un ruolo dirigenziale senza dare conoscenze a tutto
campo. La cultura non può essere fine a se stessa ma deve essere finalizzata a produrre
cultura: e così, per esempio, si legge Shakespeare non solo per godere emotivamente dei
suoi versi, ma per formarsi una personalità, delle idee, per partecipare ad una cultura
nazionale e sociale, per imparare a ragionare, a riflettere, per conoscere il proprio
passato ed essere in grado di costruire il futuro.
La Catalogna è ancora oggi una regione culturalmente molto autocentrata, poco aperta a
causa del suo autonomismo particolaristico ancora fortemente presente, per cui in ogni
esempio trattato, sia esso storico, economico, sociale, politico o artistico, ci si
riferisce sempre e soltanto alla sua dimensione locale. Ma lisolazionismo spagnolo,
che ha radici profonde, difficilmente oggi deve continuare a trovare valide
giustificazioni. Cè un misto di orgoglio nazionalistico che di fatto impedisce di
andare al di là del proprio confine, portandoli ad essere molto autoreferenziali.
"Cè un misto di presunzione-ignoranza che non fa andare al di là del proprio
rione", queste sono le parole di professori con PhD alla Stanford University o a
Berkley, che così malinconicamente si esprimono ma che purtroppo sono anche i primi che
così agiscono. Loro, si sono specializzati altrove e, oltre a "tenersi per
sé", ne anche si impegnano a stimolare gli altri. Il localismo, tra le tante,
comporta che non ci sia interesse, curiosità, per la conoscenza di altre lingue, che non
si abbia neanche alcuna capacità fonetica e labiale almeno per la pronuncia. E nonostante
questo la Catalogna si propone come modello e punta di diamante della Spagna.
La Catalogna è sempre stata una regione ricca, perché storicamente, fin dal Medioevo, si
distingueva per essere aperta al mondo. Ma se un tempo poteva essere sufficiente
intrattenere soltanto rapporti commerciali con gli altri paesi per essere
allavanguardia, oggi, nellepoca della post-informazione e della
globalizzazione, gli scambi devono essere sopratutto culturali, a 360 gradi.
Ancora oggi la Catalogna gode di indubbi vantaggi: essere la regione più industrializzata
dei paesi di lingua spagnola comporta tanti immigrati, che significano forza lavoro a
basso prezzo e flusso continuo didee, oltre ad avere un intensissimo turismo in ogni
periodo dellanno.
Ma il vero motore economico locale resta limpresa familiare che però, per forza di
cose, ha le gambe corte. Non bisogna quindi preparare i futuri lavoratori in
questottica circoscritta dellimmediato presente, ma bisogna guardare più in
prospettiva, di più al domani, che si fa sempre più oggi, senza importare, imitandolo e
con il pericolo di distorcerlo per giunta, un sistema, solo perché altrove, nel paese
dorigine, esso funziona. Il vecchio continente deve usare la sua millenaria cultura
non solo per il prestigio del passato e la credibilità che gliene deriva, ma anche come
sorgente viva e generatrice di un "proprio" futuro.
Vi e' piaciuto questo
articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio Attualita'
|