Ben Haper Live
Andrea Di Gennaro
La scena odierna del blues è quanto mai poliforme, e con sempre
maggiori difficoltà si riesce a trovare qualcuno che, a circa un secolo dalla nascita o
quantomeno dalla codificazione del genere musicale, riesca a darne un'interpretazione
originale senza cadere in facili manipolazioni da cliché ormai logori. A emergere da
questo magma di incertezze, lasciandosi alle spalle questioni razziali, facili conformismi
e soprattutto concessioni al mercato, è senza dubbio Ben Harper, californiano di nascita,
infaticabile proseguitore della lezione impartita ormai trent'anni or sono da Jimi
Hendrix.
Schivo nei confronti dei vezzi dello show business, Harper riesce a mantenere l'ironia e
la carica espressiva tipiche della musica afroamericana senza però assumere quegli
atteggiamenti un po' plateali che hanno reso famosi tanti bluesman del passato; suoni
urbani, i suoi, che nel passaggio dalle sedute díincisione alla dimensione live fanno
assumere ad ogni sua apparizione i connotati dell'evento, come Ëè accaduto nel corso del
suo ultimo tour italiano.

Quello che segue è il resoconto di una sua recente apparizione romana live.
Ore 20.00. Joseph Arthur riscalda l'ambiente con un set di mezz'ora in bilico tra ballate
dylaniane e pura sperimentazione sonora, grazie a tecniche di campionamento in diretta che
colpiscono per intensità e calore espressivo. Armato di sola armonica e una chitarra
"simil-dobro", Arthur si comporta sul palco come un factotum da studio di
registrazione; registra e campiona sul momento inserti vocali propri che ripropone
immediatamente come a voler umanizzare un impasto ritmico affidato all'evoluzione dei
loop.
Non stanca per due motivi; in primis per fervida inventiva, e poi perché capisce
l'impazienza per l'esibizione di Ben Harper. Perciò non si dilunga, come troppo spesso
accade ai gruppi spalla.
Siamo ormai oltre le 21.00, la sala è gremita e Ben Harper sale sul palco con quel modo
di fare che stupisce sempre per il suo apparente distacco: lo show si apre con Alone,
primo brano del nuovo album in cui dalle radici blues sale una crescita verticale e
inarrestabile. Tre brani in inizio di concerto suonati nella forma più classica e assolo
con Faded: Ben Harper comincia a regalare i primi sintomi di quel virtuosismo vocale che
è ormai un amabile marchio di fabbrica, espresso poi al livello più elevato nei brani
tratti dal celebre "Figth for your mind" quali Oppression e Gold To Me.

Brani sempre rinnovati negli arrangiamenti e nelle combinazioni strumentali come quelle
che hanno visto protagonisti il basso di Juan Nelson e le percussioni dell'infaticabile
David Leach, e stupore del pubblico per un atteggiamento dei quattro più festaiolo del
solito quando per Steal My Kisses sale sul palco la human beatbox di Nick Rich; in The
Woman In You, divisa in due sezioni, è invece il suono denso e pastoso del basso di Big
Juan a sostenere le catartiche ed ispirate linee melodiche create dall'interazione di voce
e chitarra.
Energia allo stato puro quella che sgorga dalle corde degli innumerevoli tipi di chitarre
che Ben cambia ad ogni brano, energia mista a sentimento quando si ritaglia uno spazio
solistico per le versioni acustiche di Power Of Gospel e People Lead, eseguite con un uso
del falsetto in grado di commuovere anche gli animi più monolitici. Due gli omaggi: il
solito e doveroso ad Hendrix e un intermezzo di Stand Up For Your Rigths di Bob Marley.
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